Il fascino dell’esotica Mongolia di Yeruldelgger

ManookÈ annunciata nei prossimi mesi l’uscita del terzo e ultimo volume della trilogia e dunque sarà bene arrivarci preparati, partendo naturalmente dal primo. Il titolo in questione è Yeruldelgger – Morte nella steppa di Ian Manook (Fazi editore, traduzione di Maurizio Ferrara) ed è senza dubbio un libro curioso, questo giallo, che mescola indagine, azione, tragedia e sentimento a profusione, momenti di comicità, personaggi tutti un po’ sopra le righe ma tutto sommato convincenti.

Naturalmente, un po’ come in Qiu Xiaolong con il suo ispettore Chen (tutti editi da Marsilio) e la Cina contemporanea, a renderlo quanto mai intrigante è soprattutto l’ambientazione che è quella della Mongolia d’oggi e di tutte le sue contraddizioni. Scritta e descritta (come la Cina di Xiaolong) a uso e consumo di occidentali profani e in molti casi prigionieri di più di un cliché.

I protagonisti, Yeruldelgger e Solongo (medico donna che vive in una yurta), sono in equilibrio tra tradizione e modernità, capaci di coniugare l’antico senza sclerotizzarlo in un paese in rapido mutamento. Le steppe infinite, i cieli magnifici, la pratica buddista, la yurta, la cucina tradizionale dei nomadi, i riti per entrare e uscire dalle tende si mescolano in una metropoli, Ulan Bator, dove intanto sorgono anche grattacieli e dove le periferie sono ancora fitte dei palazzoni di sovietica memoria e dove nelle fogne, che fogne non sono, vivono i derelitti ai margini. Ma in Mongolia, e nel libro, c’è anche il nuovo turismo, ci sono le ricchezze minerarie che attraggono gli stranieri soprattutto cinesi e coreani, l’orgoglio di una terra magnifica, una rilettura di Gengis Khan decisamente lontana dal mito, la corruzione di un sistema fragile e penetrabile. C’è tutto questo, ma ci sono ancora sofferenze individuali, ricerca personale, rinascita e riscatto, storie di padri e figli, amanti, tradimenti, scene di atroce sofferenza e torbida violenza, ma anche di delicata poesia con le marmotte da mangiare attorno al fuoco bevendo latte di yak. Un viaggio esotico e allo stesso tempo così umano da diventare in fretta familiare.

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