Quei riots tra fiction e realtà

Giorni Di FuocoI sei giorni che sconvolsero Los Angeles. Era il 1992 e l’assoluzione degli agenti di polizia bianchi accusati della morte del nero Rodney King scatenarono una serie di riots nei quartieri centrali di Los Angeles con incendi, rapine, omicidi, regolamenti di conti. Una sessantina i morti ufficialmente registrati. Riots che seguivano quelli di Watts, sempre a Los Angeles, nel 1966. E che, a quanto pare, non avevano comportato alcun cambiamento reale. Questo colpisce nel romanzo di Ryan Gattis, Giorni di fuoco, pubblicato da Guanda per la traduzione di Katia Bagnoli. La consapevolezza di tutti che quella situazione sarebbe durata un lasso di tempo determinato e non avrebbe procurato alcun reale beneficio a nessuno, perché nessuna lezione sarebbe stata imparata. Dunque, meglio valeva approfittarne per regolare conti, portarsi a casa qualche bomboletta spray o riempire il baule di carne per un barbecue. Nessun pensiero politico, nessuna visione, nessun desiderio di cambiamento, perché, sembra quasi, non si può desiderare ciò che non è dato. E quando un sogno c’è, quando c’è un tentativo di riscatto è sempre individuale e deve implicare una fuga, pena la morte. Si apre così infatti il romanzo, con un morto ammazzato, Ernesto, per la sola colpa di essere il fratello di qualcuno. E da lì si innesca una vicenda di vendette incrociate tra cliché, bande locali, in questo casi vicine ai Crips, di latinos. Conosciamo i modi di ragionare, di pensare, di ognuno di loro, li sentiamo parlare di volta in volta scoprendo un’umanità che per tanti versi fa semplicemente spavento. Ragazzi giovanissimi, sotto i vent’anni, cresciuti in un territorio di guerra, senza poter immaginare un’alternativa. Quartieri di decine di migliaia di abitanti mossi da uno spirito di sopravvivenza, da una sorta di legge della giungla nonostante siano abitualmente considerati “mondo occidentale”. Ma c’è davvero da chiedersi cosa vi sia che possa essere considerato “mondo occidentale” quando con questo si intende “mondo democratico, laico, basato sul diritto”. Perché qui il diritto non c’è e la legge è quella del più forte. Un mix di droghe, armi, affari loschi da cui qualcuno cerca a fatica di liberarsi ma in cui quasi tutti rischiano di restare perennemente imbragliati. Un mix di provenienze e differenze (notevole il capitolo ambientato nei quartieri koreani, tra quelli più colpiti dai riots). Un romanzo che tiene con il fiato sospeso, che potrebbe sembrare fiction d’azione delle più spinte ma che invece si basa su un lavoro di documentazione di due anni e mezzo dell’autore.

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