“Edipo a Colono” di Cappuccio al teatro Alighieri, un’occasione persa

Una Scena Di Edipo A Colono Regia Di Rimas Tuminas 2In questi giorni di ripassi danteschi, vorrei utilizzare un’allegoria della Commedia per parlare di questo Edipo a Colono di Rimas Tuminas, riscritto da Ruggero Cappuccio. Parlo del “gran veglio di Creta”, figura minore e tutto sommato funzionale dell’Inferno, dalla lettura particolarmente oscura e discussa. Nei limiti di questa recensione, basti sapere che si tratta di una statua formata da diversi materiali: la testa d’oro, il petto d’argento, il busto di rame, le gambe di ferro e un piede di terracotta.

Lasciamo da parte la simbologia e concentriamoci sulla natura materica composita della statua citata da Dante: tale mi è sembrato lo spettacolo firmato dal regista lituano. Un’opera che, come la statua, tiene assieme materie nobili e diversissime, ma spesso in modo sgraziato o confuso.

C’è il testo di Cappuccio: una drammaturgia poetica complessa, barocca, impreziosita dalla metrica (per lo più settenari e endecasillabi) e da intarsi dialettali – siciliani per i personaggi principali (almeno Edipo, Antigone, Ismene, Creonte, Polinice) e napoletani per il coro. Un testo che, per essere compreso e goduto al meglio, ha bisogno di una soglia d’attenzione molto alta.

Cito a suffragio la notevole descrizione dell’incesto di Edipo con la madre Giocasta, sperando di non trascrivere male: «(…) e schiena, e reni, lascivia avventurosa | di flutti di sudore | e moribondo piacere | che incorona i seni opalescenti (…) e capelli sparsi all’ìnclito collo | di femmina cavalla | che scarta, impenna, invita ed offre | in mezzo alla scosciata | il cerchio di fuoco nell’oblio (…)».

Una penna indomita e spesso eccessiva come quella di Cappuccio, che a volte si fa trascinare dall’accumulo o cade in stonature (ho annotato ad esempio il paterno “nun chianciri” che Edipo si lascia scappare con Ismene, che suona estraneo nella psicologia edipica), questa scrittura alta e drammatica, dicevo, deve respirare, pena lo svanire della tensione e della credibilità.

Rischio che spesso lo spettacolo non riesce ad evitare, sia per l’agitazione della regìa di Tuminas, che ha privilegiato il movimento continuo, sfruttando in profondità la musica, i gesti, i giochi del coro, sia per la volontà di stemperare la tragedia sofoclea. La nota principale di questa regìa, dai costumi ai toni dei personaggi, sembra privilegiare una certa ironia macabra: prima dell’arrivo di Ismene, il coro napoletano si lascia andare a tarantelle e marcette sui trampoli, ninnananne e romanze; Teseo, abito bianco e bastone da passeggio, veste i panni di un sorridente e magnanimo signorotto in odor di mafia; Polinice, il figlio degenere, è trasformato in un viziato guerriero senza tempra, che batte i piedi e piagnucola sotto l’elmo; Creonte, re di Tebe prevaricatore e sfrontato, pare un ladruncolo di rione, che nel finale non esita a riprendersi uno stivale lasciato sulla “tomba” di Edipo.

Accanto ai primi due elementi compositi e non-dialoganti, testo e regìa, si aggiunge un’altra materia di questa statua, la splendida scenografia di Jacovskis, che contrasta singolarmente con l’ambientazione quasi bucolica della tragedia originale. In Sofocle ulivi, grano, mare limpido; qui uno scurissimo spazio decadente, perennemente nebbioso; là, un bosco sacro alle Eumenidi, sullo sfondo della prospera Atene; qui una torre di legno pericolante e semi-abbandonata, che non stonerebbe nel Macbeth, e manicomiali brande di ferro – letti dell’incesto di Edipo, letti di vita maledetta e allo stesso tempo letti di morte.

Se sommiamo questa oscurità scenografica alla tensione drammatica del testo di Cappuccio, l’effetto straniante di vedere stilizzati sulla scena personaggi quasi ridicoli si decuplica. Così, entrando in contrasto, entrambe le anime di questo Edipo a Colono si depotenziano: la tragedia ci appare meno tragica, e non innesca la catarsi; il ridicolo ci appare meno ridicolo, e non innesca il riso.

Al netto delle difficoltà contingenti – qualche sbavatura tecnica dovuta probabilmente ai tempi ristretti del festival e al nervosismo del debutto al chiuso – rimane comunque la sensazione di aver perso un’occasione ghiotta per questa riscrittura, soprattutto a fronte della qualità delle diverse maestranze. Il veglio di Creta non è un Fidia.

 

Edipo a Colono
di Ruggero Cappuccio
liberamente ispirato all’opera di Sofocle
regia Rimas Tuminas
con Claudio Di Palma, Marina Sorrenti, Fulvio Cauteruccio, Franca Abategiovanni, Giulio Cancelli, Davide Paciolla, Rossella Pugliese
coro Nicolò Battista, Martina Carpino, Cinzia Cordella, Simona Fredella, Gianluca Merolli, Enzo Mirone, Francesca Morgante, Erika Pagan, Alessandra Roca, Piera Russo, Lorenzo Scalzo
scene e costumi Adomas Jacovskis
disegno luci Eugenius Sabaliauskas
musiche Faustas Latenas
aiuto regia Gabriele Tuminaite
direzione del coro Tadas Sumskas
coreografie Andzelica Cholina
assistente di produzione Alina Frolenko
costumista assistente Giuseppe Avallone
direttore di scena Silvio Ruocco
macchinista e attrezzista Marco Di Napoli
elettricista Francesco Adinolfi
sound designer Ruslan Knushevitsky
fonico Salvatore Addeo
datore luci Gintas Valuntonis
sarta Roberta Mattera
trucco Veronica Bottigliero
interprete di scena Antonio Vladimir Marino
foto di scena Ivan Nocera
produzione Teatro Stabile Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia

Visto all’Alighieri l’8 luglio 2019

 

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