David Fray solista al piano e direttore insieme, ma la sintonia con l’Orchestra Cherubini talvolta si smarrisce

David Fray

David Fray (foto SIlvia Lelli)

La fruizione dell’opera d’arte sonora è legata alla natura effimera insita nella musica stessa. L’unica tecnica per tener viva l’esperienza è quella di perpetuarne le sensazioni nella memoria, scrigno dalle perle più rare: in esso si ripongono gli ascolti più cari, legati all’importanza delle opere o delle esecuzioni. Alla prima categoria appartiene il concerto andato in scena il 26 giugno al teatro Alighieri all’interno del Ravenna Festival 2018. Sul prestigioso palco era protagonista il pianista francese David Fray, solista e direttore dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.

I brani , eseguiti in un teatro considerevolmente riempito da un pubblico a dir il vero poco attento ed indisciplinato, erano tra le pietre miliari della letteratura concertistica per tastiera: i concerti n. 1 e n. 4 per tastiera e orchestra d’archi di Johann Sebastian Bach e il concerto n. 24 per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart. Proprio al genio del compositore tedesco si può far risalire la genesi del concerto per tastiera solista e nel corpus delle sue opere ampio spazio è proprio per questo genere. Vi è, inoltre, da considerare la prassi tutta bachiana della trascrizione, perciò non stupisce che i tanti concerti per tastiera siano frutto di trascrizione da opere dedicate ad altri strumenti: in questo caso il n. 1 deriva da un concerto per violino andato perduto e il n. 4 da un a composizione per oboe. L’interpretazione delle pagine bachiane è sempre spinosa e la lettura che Fray propone al pubblico ravennate appare assai soffocante, oscurando il lavoro di cesello del compositore tedesco.

Più nei canoni, invece, l’esecuzione del concerto mozartiano nel quale, però, la tonalità di Do minore viene vissuta troppo in stile beethoveniano, non restituendo quella freschezza che, invece, è tratto precipuo della scrittura mozartiana.

Alla guida della Cherubini, il pianista francese appare eccessivamente attento alle parti più vicine a sé, perdendo talvolta il contatto con il resto dell’orchestra, non esente da colpe. In particolare nell’esecuzione dei concerti di Bach la compagine dà l’impressione di non aver compreso le intenzioni del direttore, utilizzando solamente la giustapposizione di (pochi) piani sonori e dimenticando direzione e fraseggio che sono il vero fondamento di questa musica e che appaiono ben evidenti nell’esecuzione del pianista francese.

Vi è da anni un movimento vòlto al recupero della prassi esecutiva storicamente informata: i tempi sono maturi per abbracciare questo cambiamento.

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