L’organo perduto di Nantes come la Venere di Botticelli

Nantes Cattedrale

Cattedrale di Nantes in fiamme

La notizia è che il 18 luglio scorso, nella cattedrale gotica di Nantes, intitolata ai santi Pietro e Paolo, è andato in cenere l’organo maggiore. Letteralmente. Il rogo pare essere stato doloso e i vigili del fuoco hanno impiegato diverse ore per domare le fiamme.
Un disastro di proporzioni monumentali. Già, perché il grande organo di questo tempio era considerato uno dei più importanti di Francia e dei più antichi del mondo. Detto ciò, lasciando da parte le indagini che competono, giustamente agli inquirenti, vale la pena prendere spunto da questo drammatico accadimento per riflettere un po’.

Leggendo le varie dichiarazioni sparse per la rete è interessante notare come il presidente francese, Emmanuel Macron, ponga l’accento sulla questione religiosa mentre il parroco della cattedrale, François Reanaud, sembra più colpito dalla perdita culturale. Il rischio demagogico è ben cavalcato dai politici tutti e questa vicenda, che colpisce uno dei simboli cristiani più importanti di Francia, è davvero un’occasione ghiotta.
Tuttavia non è l’identità religiosa, già ampiamente slavata, ma quella culturale la ferita. La stessa identità che quotidianamente violentiamo e svendiamo, proprio quella che non riconosciamo, offrendoci come i marinai di Odisseo al canto delle sirene.

La letteratura organistica è una delle più importanti e antiche della storia della musica. L’organo, infatti, affonda le sue origini addirittura alla fine della Grecia classica. Ha attraversato i tempi e ha accompagnato la vita dell’uomo occidentale per quasi 2500 anni prima di essere considerato solo un orpello ecclesiastico sostituibile con qualche “chitarrino”. Per questa perdita, dunque, si dovrebbero piangere calde lacrime come se si fosse persa la Primavera di Botticelli o la Scuola di Atene di Raffaello.
Il fatto che questo rogo, a quanto pare, sia un atto doloso, è un ulteriore campanello di allarme: è il segnale che la società moderna ha fallito la comunicazione del rispetto verso l’antico, quella deferenza che persino gli antichi romani avevano codificato nel mos maiorum.

Che la società stia cambiando è vero (e sacrosanto), tuttavia tramandare la cultura alle generazioni future non può e non deve essere un atto intellettualistico affidato a pochi, ma un continuo esercizio sociale affidato a tutti.

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