Il “Requiem” di Mozart diretto da Olmi con fermezza e maestria, forse è mancato un po’ di pathos

Paolo Olmi DirigeQuello cui si è potuto assistere il 17 aprile nel tempio della Basilica di Sant’Apollinare in Classe non ricade meramente nella categoria del concerto musicale, ma si può considerare una esperienza trascendente dalla netta valenza demiurgica. Nell’aria risuonava il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart, ultimo capolavoro del musicista salisburghese: l’unione del tesoro musicale e di quello artistico bizantino, sede dell’esecuzione, dava la possibilità ai presenti di gioire per una bellezza polisensoriale.

Tedofora del bello è stata il soprano Arianna Venditelli che ha incantato le tre navate della chiesa, gremite come nelle occasioni più importanti, con un fraseggio dolce e ben educato, con la sua soffice voce e con un latino ecclesiastico impeccabile. Brilla anche il mezzosoprano Victoria Yarovaya nonostante in qualche assieme la sua voce, forse poco proiettiva, era mascherata da altre sonorità. Simile sorte anche per il tenore Manuel Amati che, invece, oltre ad una certa debolezza vocale incappa in qualche imprecisione d’intonazione di troppo. Molto chiaro il basso Gabriele Sagona che comunque non sfigura nonostante qualche momento di indisciplinatezza redarguito con significative occhiate dal direttore.

Proprio il direttore, Paolo Olmi, si è distinto per la fermezza e la maestria con la quale ha coordinato le tre macrosezioni – solisti, coro e orchestra – protagoniste del Requiem. La sua lettura dell’opera mozartiana è assai rispettosa della dimensione sacra, tuttavia forse avrebbe potuto osare di più evidenziando maggiormente gli aspetti affettivi e retorici presenti nella composizione. Se ciò non è stato fatto, probabilmente, è dovuto all’orchestra, formata da tantissimi giovani musicisti provenienti da tutto il mondo, verso la quale ha riversato la maggior parte delle sue attenzioni.

La Young Musicians European Orchestra si dimostra un gruppo piuttosto interessante nonostante qualche malizia sia ancora sconosciuta ai suoi componenti che, però, hanno dalla loro la verdissima età.
Dulcis in fundo, il Münchener Bach – Chor. Poche sono gli aggettivi che riescono a descrivere la bellezza che questo coro riesce a profondere grazie alla perizia con la quale è curato dal suo maestro, Johanna Soller. Gli acuti nel piano dei soprani sono la dimostrazione della dolcezza celeste, mentre la possanza con la quale bassi e tenori scolpiscono le parole trascina l’ascoltatore verso la crudezza del peccato mortale.

In chiusura gli esecutori hanno offerto come bis il celebre Ave Verum Corpus del compositore austriaco: interessante, oltre alla ricercata lentezza d’esecuzione, è stato, però, il diverso approccio con il quale coro e orchestra si sono accomiatati dal pubblico.
Se i giovani musicisti hanno lasciato il palco sotto uno degli absidi più belli del mondo in maniera raminga, i coristi hanno ordinatamente abbandonato i gradini in rigorosa fila indiana mantenendo un contegno in perfetta sintonia con il tema del concerto.

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