«È strano», ma autentico: Verdi negli insegnamenti del Maestro Muti

Muti Academy

«È strano». Con queste parole, ripetute da Violetta in ogni atto de La Traviata di Giuseppe Verdi, si può riassumere l’esperienza del secondo anno dell’Italian Opera Academy, masterclass organizzata a Ravenna per giovani cantanti e direttori d’orchestra, ideata e guidata dal maestro Riccardo Muti, quest’anno incentrata sull’ultima opera della Trilogia Popolare del compositore emiliano.
Nei quindici giorni, dal 23 luglio al 5 agosto, passati sotto le sapienti mani del Maestro, coadiuvato dalla celeberrima soprano Renata Scotto, i giovani musicisti hanno potuto attingere direttamente dai 50 anni di esperienza operistica trascorsi dirigendo i migliori cantanti al mondo. Non è un caso che gli esempi utilizzati dal docente affondino le radici nella storia del melodramma dell’ultimo secolo, come gli aneddoti riguardanti la messa in scena de La Traviata a La Scala nel 1990 o come l’incessante elogio del fraseggio di Aureliano Pertile.
Nelle due serate finali il lavoro di approfondimento costante della partitura verdiana dà i frutti sperati ed al primo saggio è il maestro Muti che, bacchetta alla mano, traccia una luminosa via. Come anch’egli afferma più e più volte, la sua interpretazione non è la verità, ma un tentativo di avvicinarcisi affrontando con serietà ed onestà intellettuale la partitura.
Il discorso sui i cantanti selezionati per questo corso è ampio: convincente ancorché un po’ algida la Violetta della russa Venera Protasova, leggermente provata dalla difficoltosa pronuncia italiana, ma completamente a suo agio nell’ultimo atto; altalenante il giovane tenore Ivan Defabiani il quale alterna momenti di pura estasi a errori marchiani che ne inficiano l’esibizione; ma su tutti splende la voce di Claudia Pavone, Violetta nella prima metà del concerto, morbida ed omogenea, senza sbavature e dalla dizione quasi impeccabile, merce molto rara tra i cantanti d’oggi, al punto che non si vorrebbe smettere di ascoltarla mai tanta bellezza spande.
Diversi sono stati i cantanti chiamati per ricoprire ruoli scoperti, il più importante dei quali è quello di Giorgio Germont, interpretato dal baritono Sergio Vitale. la cui voce, a dirla tutta un po’ chiara, è raffigurazione perfetta dell’animo paterno; non meraviglia, dunque, che il vertice di queste rappresentazioni si sia toccato durante il duetto del secondo atto con protagonisti proprio Violetta e Germont padre.
 Interessanti le bacchette che si sono alternate sul podio: particolarmente acerba quella di Dawid Runtz, troppo impegnato dalla sua chioma fluente e dalla bellezza del gesto per guidare l’orchestra nel delicatissimo Preludio del primo atto; molto convincente Alberto Maniaci, unico italiano tra i direttori ammessi: è con lui sul podio che l’orchestra Cherubini viene pervasa da una linfa simile a quella che scorreva nella serata diretta dal Maestro; molto discutibile l’utilizzo dell’orchestra da parte di Giedré Šlekyté, forse troppo abituata all’opera d’oltralpe, dimentica che il forte operistico è sempre relativo alla intellegibilità delle parole e non una gara a chi fa fischiare più forte le orecchie al pubblico; chiude la serata un essenziale Yang Jiao che ridimensiona gli eccessi e smussa gli angoli non dando l’impressione, però, di aver profondamente compreso quale sia il vero dramma dell’opera.
Come in tutti i corsi, la passerella finale è la classica consegna dei diplomi con il maestro Muti che fa gli onori di casa alla presenza della grandissima Renata Scotto. 
Ravenna rischia di sottovalutare il suo teatro e ciò che può dare: il neo più grande, messo in mostra da Riccardo Muti, è l’assenza delle istituzioni. È quantomeno disdicevole che la città nella quale riposa il Poeta italiano al quale è dedicato il teatro, teatro nel quale il più grande interprete verdiano al mondo tiene non un concerto, ma un corso di approfondimento su una delle opere più celebri di Giuseppe Verdi, non possa avere un’amministrazione sensibile alla cultura musicale, se non come risorse sempre più esigue, almeno come presenza e adesione autorevole. La platea dell’Alighieri, tuttavia, è figlia di questo modo di intendere la cultura. Alla recita diretta dal Maestro si è avuto più di un dubbio su chi fosse malato di tisi, se Violetta o il pubblico, tanto che durante il primo preludio Riccardo Muti stesso si è voltato verso la platea gettando giustificatissime occhiate di fuoco. Comunque, la presenza della camera acustica durante le esibizioni è stata una bella sorpresa: sarebbe opportuno che essa fosse presente anche in tutti i concerti, specialmente quelli di musica da camera, e non centellinata come un prezioso distillato, per straordinarie occasioni.
Un plauso va certamente all’orchestra Cherubini ed al coro del Teatro di Piacenza, e soprattutto una menzione al primo clarinetto Gianluigi Caldarola che stupisce oltremodo per la sua bravura nel suonare piano senza perdere in articolazione e pulizia. Il futuro è un po’ meno incerto e penoso se riusciamo a valorizzare ragazzi così bravi.

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