Uno Stabat Mater fedele a Rossini diretto dal giovane (e bravo) Valentini

Nicola ValentiniStabat Mater dolorosa: questo il primo verso della celebre sequenza recitata durante il rito della Via Crucis. Schiere di musicisti si cimentarono, nel corso della storia della musica, con il celebre testo della preghiera attribuita a Jacopone da Todi, tuttavia in pochi raggiunsero risultati così mirabili quanto Giovanni Battista Pergolesi.
Questo fu uno dei motivi per i quali Gioacchino Rossini si risolse molto tardi a cimentarsi in questo genere di composizione e solo nel 1841 il compositore permise la stampa di questa preghiera. Tuttavia la prassi esecutiva, in seguito, venne stravolta e raramente oggi si seguono alla lettera le indicazioni della prima stampa.

Proprio questo genere di fedeltà alla scrittura rossiniana è stato il fondamento del concerto che ha visto l’Orchestra Sinfonica Rossini, il Coro San Carlo di Pesaro e il Coro Ludus Vocalis di Ravenna esibirsi sul palco del teatro Alighieri lunedì 26 marzo per la rassegna “Ravenna Musica”, organizzata dal­l’associazione Angelo Mariani. A condurre i tantissimi musicisti è stato il bravo Nicola Valentini, bacchetta giovane ma già affermata. Proprio il maestro ravennate, a inizio concerto, si è speso in una breve e opportuna spiegazione di ciò che il pubblico avrebbe avuto il piacere di ascoltare di lì a poco: un’ottima sintesi dell’idea sacra dell’Ottocento alla luce dell’importanza dell’opera lirica nel tessuto sociale del romanticismo italiano.

Oltre ai cori, diretti da Salvatore Francavilla e Stefano Sintoni, che non sempre dimostravano di aver trovato una stessa intenzione, i protagonisti sono stati i quattro solisti. La bella voce del soprano Elisa Balbo era sicuramente la più interessante del quartetto di cantanti, anche se bisognosa di misurarsi con una vocalità più drammatica. La pronuncia della mezzosoprano giapponese Nozomi Kato, invece, era la più precisa nonostante qualche aspirazione che ricordava da vicino la gorgia fiorentina. Il tenore Gior­dano Lucà e il basso Pablo Ruiz risultano, invece, deboli nel registro grave tanto da essere costantemente coperti anche da una soffice orchestra. I quattro solisti si sono scontrati, poi, con una delle pagine più ardue della produzione rossiniana, quando, nel quartetto Quando corpus morietur nel quale il compositore prescrive che i solisti cantino a cappella, si sono palesati tutti i rischi del canto senza sostegno strumentale: imprevisti del mestiere che sicuramente Rossini aveva preventivato durante la composizione, da fine musicista quale era.

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