Validi interpreti e scene emozionanti per “Pagliacci”, capolavoro del verismo musicale

Pagliacci Ph ZaniCasadio CIK6751okokAvanguardia è certamente l’ambito nel quale si può far rientrare lo spettacolo andato in scena mercoledì 22 novembre sul palco del Teatro Alighieri di Ravenna, secondo titolo della Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival 2017. L’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo era il pezzo forte della serata che si è completata con la rappresentazione di Pagliacci Remix, progetto nato per “Giovani Energie Creative per Ravenna Festival”.

Proprio questo ha aperto lo spettacolo: i giovanissimi ragazzi sul palco si sono distinti per l’impressionante serietà e perizia con la quale hanno affrontato il loro ruolo di interpreti: c’è, tuttavia, da considerare che quest’opera si pone come testa di ponte per avvicinare la musica colta ai giovani d’oggi e ci si chiede quale affinità possa legare il pianeta lirica al moderno rap. Leoncavallo, infine, era non solo valente musicista, ma fine letterato perciò adeguarsi ad un’anglofilia oggi imperante e ricorrere al turpiloquio appare non dignitoso verso il pubblico e manca completamente di rispetto nei confronti dell’artista, inficiando e travisando il profondo significato dell’opera.

Pagliacci è certamente la vetta indiscussa della produzione del compositore napoletano: essa è un paradigma del verismo musicale non lontano dalle odierne musiche da film.

La rappresentazione ravennate è un concentrato di bellezza: gli interpreti si distinguono per l’eccellente presenza scenica e la buona dizione (tranne Estibaliz Martyn nel ruolo di Nedda che, nonostante l’ottimo italiano, sceglie troppo spesso la via del vocalizzo a scapito della parola). Su tutti spicca Diego Cavazzin, visibilmente fasciato al braccio sinistro, ma per nulla limitato dall’infortunio, che nei panni di Canio giganteggia per tutto il palco.

L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini appare più solida rispetto alle ultime apparizioni, tuttavia la distrazione è dietro l’angolo ed il solido maestro Vladimir Ovodokov, direttore ancora troppo attaccato alla sua ascendenza pianistica, non sempre riesce ad avere il polso di un’orchestra che suona spesso troppo forte rispetto a ciò che succede sul palco. Notevole, invece, la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza e del ravennate Coro di voci bianche Ludus Vocalis. La regia di Cristina Mazzavillani Muti è essenziale e ficcante, senza fronzoli, ma che dona quel senso di reale anche alle proiezioni di ombre cinesi durante le quali si possono apprezzare le bellissime evoluzioni ginniche di Andrea Neyroz.

Piccola nota campanilistica: bravissimo Matteo Fiumara, trombettista ravennate, per l’occasione in scena con la biacca in viso.

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