Souleiman legge Naipaul e scrive racconti: «La lingua italiana ha fascino»

Italo-marocchino, a Ravenna da 12 anni: «Mondo ribaltato dal Covid: non potevo tornare al mio Paese»

Soulemandi Matteo Cavezzali

«Le parole a volte cambiano significato. In questi giorni sui giornali si legge la preoccupazione di molti che non arrivino più stranieri in Romagna. Parlano dei turisti, non più degli immigrati, però leggere quei titoli ‘Temiamo non arrivino più stanieri’, fa un certo effetto. Il mondo si è rovesciato».

A parlare è Souleiman Hasan, operaio italo-marocchino, che vive a Ravenna da 12 anni. Ci incontriamo al bar, con tanto di distanza di sicurezza e mascherina, che viene tolta solo per bere il caffé con mezza bustina di zucchero, mescolato velocemente. Conosco Souleiman da due anni, è la prima volta che ci vediamo dopo il lockdown, la prima volta che lo incontro nei panni di “intervistato”. «Che il mondo fosse finito a testa in giù l’ho capito quando per la prima volta ho avuto problemi per andare in Marocco e non per tornare in Italia. Non mi volevano in Marocco perché ero italiano, per via del Covid. Il mondo è strano».

Souleiman ha la passione della scrittura e ha frequentato anche un corso. Il suo autore preferito è V. S. Naipaul. «Mi piace leggere e scrivo racconti, ora ho iniziato un romanzo che prende spunto da questo episodio. Tutti gli europei sono costretti ed emigrare in Africa per via del forte inquinamento. Così partono ogni notte navi piene di tedeschi, di olandesi, di svedesi che sognano di vivere nella natura in Senegal, in Nigeria e in Marocco. Non è un romanzo di fantascienza però, è molto realistico, credo che possa accadere davvero, forse non adesso, ma magari tra quaranta o cinquanta anni non lo escluderei. Il razzismo non è una cosa dei bianchi contro i neri, come pensano alcuni, è semplicemente degli esseri umani che sono in una posizione di superiorità, verso chi è in una situazione di sudditanza. Dal periodo coloniale siamo abituati a vedere i neri schiavizzati dai bianchi, ma non è sempre stato ovunque così, basti pensare a quanti schiavi romani ci fossero nell’impero persiano».

Souleiman racconta che sta scrivendo il romanzo in italiano. «Non è la mia lingua madre, ma è una lingua che mi piace molto, in cui le parole hanno un certo fascino per me. Chi impara una lingua da adulto forse ne apprezza aspetti di cui non si accorge più chi la conosce fin dalla nascita. Ricordo alcune parole che mi impressionarono la prima volta che le sentii, come quando mi dissero “chiacchierone”, è una parola che mi sembrò molto buffa che imita il suono delle voce che fa “chia chia chia”. È vero più uno parla più la sua voce sembra un suono senza sostanza». Per concludere la nostra conversazione gli chiedo se ha già in mente un titolo per il suo romanzo. «Sì: la terra promessa».

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