Il nuovo album di un alieno di nome King Krule

DownloadSe l’apocalisse coronavirus sta falcidiando la programmazione di concerti un po’ in tutta Italia, c’è una cosa che non ci potrà mai togliere, l’ascolto casalingo di un disco, vero o virtuale che sia.
E ce n’è uno, uscito in questi giorni, che è perfetto per questo periodo, da ascoltare in cuffia, da soli, lontani da chiunque e da qualsiasi fonte di contagio. Così come tutto da solo (fatta eccezione per la presenza del sassofonista Ignacio Salvadores e di pochi altri) ha fatto King Krule in questo Man Alive!, 14 tracce per 41 minuti di musica, pubblicato lo scorso 21 febbraio.

Uno degli album più attesi dell’anno dalla critica tutta, essendo l’autore quello che molto efficacemente è stato ribattezzato, tra le altre cose, come l’Anticristo del cantautorato britannico contemporaneo. Un modo piuttosto efficace per definire le sua musica fuori dagli schemi, che rifugge da strofe e ritornelli pur restando ampiamente dentro la forma canzone.

Archy Marshall, da Londra (ora trasferitosi vicino a Manchester) ha 25 anni e il suo terzo album a nome King Krule arriva a due anni dall’uscita dell’acclamato The Ooz (disco del 2017 per distacco per il sottoscritto, e chissenefrega, ma anche per molte riviste internazionali, nominato perfino ai “commerciali” Mercury Prize) e a uno dalla nascita del suo primo figlio.

Un momento cruciale per un nome cruciale di tutta la scena musicale inglese, che ne esce sempre senza alcun compromesso, senza cercare di ampliare il suo vasto ma non enorme culto, confermando invece di essere probabilmente il migliore della sua generazione. Un disco per nulla immediato, lo si sarà capito, e accolto a dire la verità con un po’ di freddezza, forse perché manca quell’effetto wow che qualcuno si sarebbe aspettato a questo punto.

Man Alive! è invece un lavoro che richiede attenzione e più ascolti per entrare nel mondo di un artista che toglie piuttosto che aggiungere e che è in grado di creare un’atmosfera personalissima e sempre coerente unendo influenze disparate, che vanno dalla new wave al free jazz, dall’industrial alla psichedelia, dal blues alla ballata scheletrica fino all’hip hop. Un altro grande disco di un alieno, in un mondo, anche quello che si autodefinisce alternativo, sempre più omologato.
La speranza, per una volta, è che possa restare sempre così.

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