Wilco, il momento magico è svanito

È uscito a sorpresa il nuovo album dei Wilco. Ne parlano tutti (sempre quei tutti che parlano di un certo tipo di musica, si intende) su Facebook, la gente (sempre quella gente lì) si è emozionata parecchio e sono uscite recensioni on line già dopo poche ore. Ha senso ripetere tutto questo anche qui? Forse sì, ma solo perché stiamo parlando di uno dei grandi gruppi americani tout court degli ultimi vent’anni, non certo per il fatto che il suddetto gruppo abbia deciso di regalare per qualche giorno a chiunque lo volesse via mail il proprio nuovo album uscito a sorpresa, che ormai a queste cose dovremmo esserci tutti più o meno abituati. Oltretutto due giorni dopo l’annuncio di Jeff Tweedy (senza che prima avesse mai detto di essere al lavoro coi Wilco per un nuovo album, come se quattro anni dal precedente non fossero un buon indizio) il disco era ascoltabile già anche su Spotify. E oltretutto dopo che gli stessi Wilco una quindicina di anni fa avevano già fatto un’operazione simile con il loro leggendario (anche per questo) Yankee Hotel Foxtrot, rifiutato dall’etichetta discografica e dato in pasto ai fan in streaming prima che un’altra etichetta più sveglia (la Nonesuch) ne approfittasse per dare alle stampe nel 2002 uno dei capolavori assoluti del folk-rock americano di questa prima parte di ventunesimo secolo.
E il nuovo disco? Il concetto è quello espresso già qui due settimane fa cazzeggiando su Neil Young: è il loro nono album, ormai il momento magico è inevitabilmente svanito. È un buon disco, ma che si dimenticherà tra pochi anni. Più vario degli ultimi, con tante parti volutamente bizzarre a sporcare canzoni che fondamentalmente sono sempre quelle dei vecchi Wilco, con qualche citazione nuova (Sonic Youth?). L’impressione è che si siano divertiti a registrare l’album, che va bene, ma secondo anche quello che dicono gli esperti, non basta. In definitiva, quindi, cosa ce ne facciamo di questo nuovo disco dei Wilco? Speriamo che lo vengano a promuovere in Italia, che dal vivo sono sempre uno spettacolo. Sul disco, boh, l’impressione degli ultimi anni è quella un po’ sgradevole che stiano prendendo un pochino la piega del rock per ascoltatori maturi, in cerca di piccole sperimentazioni in grado di dar loro qualche brivido. Non credo di essermi spiegato, ma non riesco a farlo meglio. Nessun dramma comunque, io continuerò ad avere una venerazione per Jeff Tweedy e se qualcuno invece dovesse imbattersi per caso in album come Summerteeth, Yankee Hotel Foxtrot o A Ghost is Born non sarà mai troppo tardi.

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