Bon Iver e questo incredibile 2016

C’è un personaggio strano nella mappa del rock contemporaneo che dicevano potesse entrare nella storia dei grandi cantautori americani seguendo gli insegnamenti di un Bob Dylan (un nome a caso, ma è tutto quello che ho da dire sul Nobel, a parte il fatto che ne sono felice). Questo personaggio che volevano ingabbiare sotto il genere “folk americano” si chiamava Bon Iver e a quei tempi (2007) aveva inciso un disco in completa solitudine, in una capanna isolata sui monti, per riprendersi da malattia e delusioni sentimentali. Un disco di culto divenuto poi di gran successo, in realtà, di folk intimista e falsetti, di malinconia e storie da raccontare. Poi nel 2011 è uscito il secondo album e lui è tornato a essere semplicemente Justin Vernon, autore e leader dei Bon Iver, dando alla sua musica più sfumature e una dimensione quasi pop, tanto che nel 2012 ha vinto due Grammy Awards, seppur tra lo stupore generale e beccandosi gli insulti dei ragazzini sul web che non lo avevano mai sentito nominare. Ora i Bon Iver sono conosciuti invece davvero da un pubblico trasversale (grazie anche alla collaborazione con una star interplanetaria come il rapper Kanye West, che è stato il loro principale “promoter”) e l’uscita del terzo disco è diventata un affare gigante, tanto che – come faceva notare qualche settimana fa il Post – ha meritato ancor prima di uscire due articoli di ben 10mila battute ciascuno rispettivamente sul New York Times e sul New Yorker. Poi ne sono arrivate altrettante sul Guardian. E poi naturalmente è arrivato il disco, presentato in una conferenza stampa dove tra le altre cose Bon Iver, anzi, Justin Vernon, ha parlato pure del suo progetto fallito di ritirarsi su un’isola greca fuori stagione, anche per sfuggire, forse, agli stati d’ansia, alle fotografie, alla fama. Saranno pure cliché da artisti depressi, ma vi assicuro che il nuovo album – si intitola “22, A million” ed è uscito il 30 settembre – non poteva che scriverlo una persona altamente problematica. Fregandosone delle aspettative e spiazzando la maggior parte dei fan, ha pubblicato il suo disco più sincero, quello che lo stacca della scena “Americana” per metterlo da qualche parte insieme a James Blake nel cantautorato sperimental-elettronico, tra residui di folk melodico e sprazzi di Kanye West. La voce è spesso resa irriconoscibile, le melodie stentano a uscire, testi (e titoli) sono criptici. Però ci sono un coraggio e una voglia di mettersi a nudo e un’ambizione artistica, dietro a questo album, che lo rendono senza dubbio, seppur imperfetto, un altro dei grandi dischi da ricordare di questo incredibile 2016.

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