Dieci grandi album del 2016

Bowie BlackstarIl 2016 in campo musicale è stato un anno funestato da lutti ma anche caratterizzato da grandi dischi. Così nel fare una lista dei dieci album più importanti non si può non partire da Blackstar, ultimo disco della parabola artistica di David Bowie, pubblicato in gennaio due giorni prima della sua morte ma soprattutto tra i suoi migliori di sempre, un manifesto tra rock e arte fuori dal tempo, finito nella top ten di quasi tutte le classifiche delle riviste specializzate del mondo. E osservando il “resto del mondo”, dove gli steccati tra i generi sono già stati abbattuti da tempo, è un trionfo della “negritudine”, a partire da Frank Ocean (di cui si sono accorti a questo giro a dire il vero anche le riviste italiane, meglio tardi che mai…) con il suo stilosissimo esercizio di moderna musica (post) soul di Blonde, tutt’altro che commerciale nonostante il successo planetario del suo debutto di quattro anni prima; e per proseguire con lo stranissimo caso delle sorelle Knowles (in grado di debuttare a distanza di pochi mesi una dall’altra con il loro nuovo album direttamente al numero uno della classifica di vendita americana). Una è Beyoncé, che con Lemonade completa una maturazione che ha del sorprendente, tanto da renderla, come scrivono in molti, la regina pop dell’orgoglio afroamericano, mica poco. E si resta in territori R&B (tanto per rendere l’idea, anche se è molto limitante), con il disco della sorella Solange, A Seat at the Table, che è ancora meglio, elegante, a tratti minimalista, non così semplice eppure quasi radiofonico, un capolavoro di misura e confezione. Il quinto album di questa lista è quello esplosivo di Chance the Rapper (a proposito di negritudine), Coloring Book, che dovrebbe essere hip hop, dovrebbe essere gospel rap, ma in realtà è solo qualcosa di trascinante che potrebbe piacere anche a chi crede di odiare il rap e che per questa volta spazza via pure Kanye West. Tornando al tema iniziale, la morte, ne è pieno un altro grande disco, Skeleton Tree di Nick Cave, tornato quest’anno così come altre due icone del rock mondiale, i Radiohead e Pj Harvey, ispiratissimi rispettivamente con il fin troppo radioheadiano (ma chissenefrega) A Moon Shaped Pool e un’opera d’arte totale come The Hope Six Demolition Project. Le ultime due segnalazioni sono per dischi più ostici: uno è quello coraggioso, non proprio riuscito, ma con una tensione emotiva fuori dal comune, di folk robotizzato di Bon Iver, 22, A Million; l’altro è l’unico di elettronica (anche se in questo caso si parla di un maestro che gioca a ricomporre e manipolare cori e musiche antiche), l’enorme Love Streams di Tim Hecker.

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