Quei Comunisti di Fedez e J-Ax

Fedez JAxSolo una settimana dopo l’uscita, debuttando naturalmente al primo posto tra gli album più venduti in Italia, ha conquistato il disco d’oro e tutti e sedici i pezzi che compongono l’album sono finiti nella classifica dei singoli più venduti. Il tormentone che lo ha preceduto in questi mesi (“Vorrei ma non posto”, qualcuno sa di cosa parlo) pare sia tra i 15 più ascoltati in assoluto in Italia negli ultimi vent’anni e il suo video ha qualcosa come 130 milioni circa di visualizzazioni su Youtube. E ancora, il nuovo video ha ottenuto, sulla piattaforma Vevo, il record di visualizzazioni per un artista italiano nelle prime 24 ore dalla messa online, 1.404.954 per l’esattezza. Uscito il 20 gennaio Comunisti col Rolex di J-Ax e Fedez, volenti o nolenti, non è un disco come gli altri. E non è solo l’ennesimo album commerciale telefonato di un artista nazionalpopolare. No. È innanzitutto la prima collaborazione tra due giudici di talent show musicali di (più o meno) successo. Due rapper, oltretutto. Solo questa cosa dieci anni fa non era neppure immaginabile. La definitiva trasformazione del rap, in Italia, in pop, dell’arte in marketing, della critica sociale in intrattenimento. Il tutto scientemente da due personaggi che, in fin dei conti – cito la parola usate da Ernesto Assante su Repubblica – sono semplicemente e sorprendentemente «bravi». Bravi non in senso strettamente musicale ma  – cito ancora Assante, mi scuserete ma ha espresso meglio di me quello che ho pensato dopo aver addirittura ascoltato un album del genere – nel «cercare di mettere a fuoco quale potrebbe essere il pop italiano del secondo decennio del secolo unendo popolarità e contenuti, idiozie e colpi di genio». Insomma, sorprendentemente, questa non è «merda», tanto per usare una definizione di un altro giornalista “mainstream” come Michele Monina. Piuttosto una grande operazione di marketing (pensate solo alle collaborazioni: Calcutta e Levante per gli “indie”, Loredana Berté, Giusy Ferreri, eccetera eccetera…) che a volte riesce, a volte provoca addirittura un brivido di quelli facili facili, a volte (ok, spesso) ti fa anche venire voglia di spaccare la faccia a chi canta, d’accordo. In generale certo non mi sentirei di consigliare questo disco a nessuno, se non a figli piccoli di conoscenti, non per niente il target è il pubblico dei giovanissimi. Che però non si può sempre ignorare. In questo caso poi, dietro al marketing, in fondo, è bene dire che c’è anche la musica. E due artisti che – pur tra giochi di parole spesso scemi – non hanno paura di schierarsi, almeno un po’. E non è poco, quando si parla di 130 milioni di clic.

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