Un nuovo capolavoro nato dal dolore

Impossibile ascoltare qualcosa come Ghosteen, tra gli album usciti quest’anno. E questo non vuol dire che debba essere per forza il disco del 2019 (eccome invece se lo è), ma che nessun’altra opera di un grande artista potrà impegnare così l’ascoltatore e mettere alla prova i suoi numerosissimi fan. In Italia pare che questo abbia portato a divisioni nella critica (mah…), all’estero i grandi giornali lo stanno celebrando come merita, con una media voto molto vicina al 10, tanto per capirci, tanto per poter permettere a noi tutti di usare la parola “capolavoro”, indipendentemente dall’aspetto squisitamente musicale.

NickcaveCerto, il nuovo album di Nick Cave (uscito il 4 ottobre sulle piattaforme digitali, con le copie fisiche in arrivo dall’8 novembre) non è facile, nel senso che non offre nessuna concessione a chi cerca ancora qualcosa che sia vagamente rock nella musica sua e dei suoi Bad Seeds (che sono sempre più soprattutto Warren Ellis). Non ci sono (quasi) chitarre, non ci sono (quasi) batterie, non ci sono (quasi) cambi di ritmo. C’è la voce di Nick Cave in tutta la sua purezza, a tratti più che imperfetta (tanto da dover leggere in una recensione italiana che una sbavatura sarebbe “difficilmente perdonabile a un grande professionista come lui”, come se fossimo a X Factor). In alcuni momenti, coraggiosamente per un baritono come lui, perfino in falsetto. La sua voce, su un tappeto di loops, sintetizzatori, pianoforti, vibrafoni.
Per un risultato finale che non è neppure così vicino alla classica contemporanea, come si potrebbe evincere, diventando piuttosto qualcosa che ha a che fare con la musica ambient, in una versione sacrale, grazie in particolare ai testi, secondo alcuni commentatori i migliori mai scritti da Cave, sicuramente ancora più toccanti se si considera la morte del figlio 15enne, precipitato da una scogliera nell’estate del 2015. Pochi mesi dopo era uscito quell’altro grande disco che era Skeleton Tree, scritto però quasi del tutto prima della tragedia.

Qui, quattro anni dopo, il lutto è stato interiorizzato, elaborato, permettendo al grande artista australiano di fare un disco non certo sulla morte del figlio, ma sul dolore e la vita. Che sicuramente non è il migliore della sua straordinaria carriera, ma ha il merito di gridare disperatamente di essere ascoltato con attenzione.

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