Intensità, originalità e urgenza per andare oltre i confini

Kill The Vultures – “Carnelian” (2015)

Mi capita ancora di dovermi ricordare il perché. Perché ho iniziato ad amare la musica in quel modo fisico, dalle budella prima ancora che dal cuore e dal cervello, che l’ha resa indispensabile alla mia sopravvivenza? Ogni tanto arriva quel concerto che mi ricorda come è iniziato tutto. L’ultimo in ordine cronologico è stato quello dei Kill The Vultures a Ravenna, dove non succede mai niente secondo la maggior parte dei locals. In due hanno riempito il palco come giganti. Se poi consideriamo che si tratta di un duo hip hop, e che Anatomy, il responsabile delle basi, se ne sta seduto a gambe incrociate su un tavolo, per lo più immobile ed impassibile, possiamo quasi dire che sia il solo MC, Crescent Moon, a riempire il palco. Non sarebbe giusto, perché quella presenza alle sue spalle è carismatica assai. Ma l’intensità dell’interpretazione di ogni brano del rapper di Minneapolis è strabiliante. Recentemente ho visto al cinema (a Ravenna, dove non succede mai niente) un Amleto teatrale interpretato da Benedict “Sherlock” Cumberbatch. Intervistato, gli chiedevano cosa si provasse a ripetere per l’ennesima volta la frase “to be or not to be…”. Lui ha risposto che non è la frase in sé ad essere pesante, quanto la concentrazione, l’intensità, che rendono “necessaria” quella frase, da secoli e nei secoli. Dirla ogni volta come fosse la prima volta. Ecco, Crescent Moon aveva quel demone in corpo quella sera, ogni cosa che diceva era necessaria, era vita vera. Ma mi rendo conto che sto parlando del concerto più che dell’album. Carnelian è un disco hip hop, senza dubbio. E nemmeno troppo di avanguardia. Eppure si fa fatica a contenerlo in un genere. Mancano i cliché. Si capisce perfettamente che è il risultato di un discorso consapevole e personale, che non tiene in alcun conto le aspettative del pubblico e le esigenze del mercato, e, riuscendo in pieno, fa proprio di questo il suo punto di forza. Mi ricorda in ciò i nostri Uochi Toki, anche se musicalmente siamo in territori abbastanza lontani. Le basi sono per lo più suonate e poi rimanipolate da Anatomy, le liriche di Crescent Moon sono criptiche e intime, piuttosto cupe come da tradizione del duo. Intensità, personalità, originalità, urgenza comunicativa unita a profonda consapevolezza, tutto molto a fuoco. Ecco perché questo disco supera i confini dei generi e, credo, supererà quelli del tempo.

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