Radian, qualcosa di veramente contemporaneo

Radian – “On Dark Silent Off” (Thrill Jockey, 2016)

RadianIn molti si lamentano della morte del rock. Di certo quella musica che si suona con gli amplificatori e “la batteria vera” vive una fase di profonda involuzione, probabilmente di tramonto temporaneo, in cui sopravvivono gruppi di manieristi che si rivolgono ad un pubblico nostalgico, troppo vecchio per volersi rinnovare e rimettere in gioco, aspettando che una qualche prossima moda o riscoperta ne prolunghi l’esistenza (o l’agonia). In questa melma annaspano invece gruppi che cercano di dire qualcosa di nuovo e diverso, di parlare un linguaggio che sia contemporaneo, non necessariamente diventando digitali, ma continuando a suonare gli strumenti rock con sensibilità fluida e vitale. Tra questi mi sembrano spiccare particolarmente i viennesi Radian, trio formato da Martin Brandlmayr (batteria e programmazione), Stefan Nemeth (synth e chitarre) e John Norman (basso). Sin dal loro esordio omonimo nel 1998, passando per il più celebre Juxtaposition del 2004, fino al più recente On Dark Silent Off (2016), si mantengono in bilanciato quanto acrobatico equilibrio tra il linguaggio del cosiddetto post-rock ed il gusto della musica elettronica di ricerca. Non diversamente dai più recenti Tortoise, risulta difficile ed in fondo inutile cercare di capire cosa è “suonato” e cosa è programmato. In ogni caso, è praticamente tutto suonato e poi processato, ma a differenza dei Tortoise qui non guasta affatto quel po’ di “gelo” teutonico che dà subito un funzionalissimo senso di robotico, laddove invece i padrini del post rock tendono a virare sul jazzy. Ogni disco dei Radian merita, ma l’ultimo On Dark Silent Off arrivava 7 anni dopo il precedente (escludendo un interlocutorio disco insieme ad Howe Gelb), ed è quindi il loro unico negli anni 10. Consiglio ascolti di ogni tipo: attenti, distratti, in auto, in cucina, sul divano… Cresce sempre, di minuto in minuto, di ascolto in ascolto, e ogni volta, arrivati all’ultima, lunga “Rusty Machines, Dusty Carpets”, avrete la netta sensazione di aver ascoltato qualcosa di magistrale. E di contemporaneo.

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