Da un potenziale cult movie al film invecchiato bene sui Doors

Baby Driver (di Edgar Wright, 2017)
Baby è un ragazzo che guida in maniera stupefacente e si guadagna da vivere mettendosi al servizio della malavita, mentre quando è a casa si occupa affettuosamente del padre adottivo muto e disabile. Il giorno che si innamora vuole guidare solo per questa “lei” e inizia un rifiuto verso le sue abitudini. Edgar Wright fa parte della schiera di registi a cui si deve dar fiducia ciecamente, perché film come Shaun Of The Dead, Hot Fuzz, Scott Pilgrim e La fine del mondo sono quattro grosse chicche di questo millennio di cui ho parlato nelle puntate precedenti. Nella poetica di Wright ci sono, da sempre, due capisaldi: azione e ironia, quest’ultimo leggermente meno presente in questo suo ultimo film; si inserisce però un grande elemento di novità nell’uso della colonna sonora, non originale. Baby ha perennemente (come molti suoi coetanei, ma qui c’è un motivo) le cuffie nelle orecchie e i tempi e i modi da “driver” nelle rapine sono esclusivamente dettate dalla musica, da canzoni dal forte battito soul e funky che danno il ritmo non solo all’azione, ma a tutto il film, coi suoi protagonisti incastonati in questo meraviglioso e piacevolmente martellante balletto: operazione, musical a parte, inedita e riuscita in maniera perfetta. La sceneggiatura è molto classica, comunque condita di ironia e la trama non presenta particolari sussulti. Siamo poi nel campo dei film d’azione in auto, quindi ciò che dobbiamo aspettarci sono soprattutto inseguimenti e velocità, perché Wright gioca con il suo talento dentro il genere, senza alcuna pretesa di snaturarlo o stravolgerlo. Lo fa con un terzetto di comprimari d’eccezione come Nick Hamm, un grande Jamie Foxx e il sempre geniale Kevin Spacey, per l’occasione piuttosto imbolsito tanto da somigliare  a Clemente Mastella. Il protagonista è il giovanissimo Ansel Elgort, proveniente da Colpa delle stelle, che regge benissimo sia il peso del film che del cast di mostri sacri, tanto da ritagliarsi la finestra principale del film mettendo realmente in secondo piano tutti gli altri… d’altronde, come si diceva profeticamente in Dirty Dancing, “nessuno può mettere Baby (Babe) in un angolo”, nessuno tranne la musica stessa. Le conclusioni quindi sono scontate, perché Baby Driver è un potenziale cult movie anche per il grande pubblico, caratteristica che farà storcere il naso ai cinefilini più rigorosi, della cui opinione però qua non interessa nulla. Il punto di partenza è l’apprezzare anche alla lontana (io stesso non ne vado matto) l’azione, e lo spettacolo è assicurato, gli 8 euro ben spesi e la curiosità di capire con gli anni se Wright avrà spalancato le porte a un nuovo sottogenere. Andate, divertitevi!
The Doors (di Oliver Stone, 1991)
R&D ha una splendida rubrica di musica, perché non arricchirla di tanto in tanto di film a tema? The Doors, 26 anni ben portati, è la visione di Stone della fulminante (in tutti i sensi) carriera di Jim Morrison con il gruppo che lo ha messo sotto i riflettori. Il film spazia dai primi anni sessanta fino all’ultimo anno di vita dell’artista (1971), risulta molto pesante nelle troppe scene oniriche e metaforiche  su cui il regista, in linea con la poetica dell’artista, non lesina. La bellezza oggettiva del film sta nei Doors, in Morrison e nella loro splendida musica, che fortunatamente non lascia mai la scena. Notevolissimi i protagonisti. Il film, invecchiato bene, è disponibile in Dvd e streaming.

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