Dalle perplessità sulla Napoli di Özpetek fino alla serie tv simbolo dei nostri giorni

Napoli VelataNapoli velata (di Ferzan Özpetek, 2017)
Non ho mai amato eccessivamente Özpetek, però ho visto quasi tutti i suoi film e spesso mi è capitato di ridere o piangere, durante la visione. L’ultimo film ci mostra una Napoli che fa da sfondo a una vicenda gialla, che vede il medico legale Adriana incontrare un uomo che la seduce e che le fa passare una notte molto più d’oro del solito. Il giorno successivo quest’uomo sparisce e… null’altro vi è dato sapere, se non che si apre un’indagine che costerà alla protagonista un dispendio di energie psicologiche più alto del normale. Napoli velata è un titolo azzeccatissimo perché oltre alla citazione visiva della straordinaria opera del Cristo Velato, il regista ci mostra una città molto diversa dalla solita che conosciamo, pur mantenendo le caratteristiche per cui è nota, dal teatro alle cabale, infilandosi spesso in strade e luoghi affascinanti e misteriosi che creano un’atmosfera ideale e nuova. Detto quindi di fotografia, scenografia, costumi come elementi molto validi, passiamo alle note dolenti, che partono da una ritrovata Giovanna Mezzogiorno non adeguata alla parte della protagonista, inghiottita da una città non sua, e arrivano al resto del cast poco espressivo e credibile, tranne i veraci Anna Bonaiuto e Peppe Barra che cercano di reggere il peso; la regia è (come spesso accade) sgangherata e fatica a seguire una sceneggiatura altrettanto disordinata e con momenti inutili. Infine la vicenda gialla si presenta bene e ha una buona chiusura, ma in mezzo manca totalmente di spessore ed è presentata con poca credibilità e con temi (che non svelo) cari al regista che sarebbe stato il caso di non riproporre. Nota di merito, come sempre nei film di Özpetek, è la musica, sia la partitura originale che la meraviglia dei pezzi scelti. Un film che ha molti difetti, che dividerà i suoi spettatori e piacerà poco ai critici. E le perplessità in questo caso sono lecite e innegabili.

Black Mirror 4×01: USS Callister
Quarta stagione per la serie creata da Charlie Brooker e dal sottoscritto considerata la più bella del nuovo secolo (escluso Twin Peaks che comunque è un’entità metafisica), che ricordiamo presenta tutti episodi autoconclusivi e legati dalle tematiche che ruotano attorno a tecnologia, futuro, distopia e tanta angoscia. Il primo episodio si tuffa nella fantascienza, è diretto da Toby Haynes, ed omaggia i capisaldi del genere a partire da Star Trek. Il talentuoso programmatore Robert Daly ha dato alla luce il videogioco interattivo Infinity, che permette in poche parole, di crearsi una vita alternativa in un qualsiasi scenario. Nel pieno rispetto della poetica della serie, il gioco verrà usato per fini poco edificanti, i buoni non sono quello che sembrano e, novità, il racconto utilizza forme di azione e strategia per riportare la tanto agognata normalità. Black Mirror parte benissimo e non si smentisce mai, è la serie simbolo di questo decennio e speriamo anche a venire. Il paragone con Ai confini della realtà continua a starci, ma di questo passo l’allievo ha già forse superato il maestro, anche per la versatilità degli episodi successivi, che spaziano su vari generi. Ne parleremo settimanalmente, l’occasione è di quelle da non perdere, ma voi intanto guardate tutti i sei episodi della quarta stagione, e se non lo avete fatto, recuperate le precedenti, perché se la gente non perde la testa, è Black Mirror il simbolo visivo (televisivo, ma è cinema a tutti gli effetti) dei nostri giorni. Cult.

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