Guerra, Usa e ironia. Parte seconda

1941 SpielbergNel 1941 l’esercito giapponese attaccò a sorpresa il porto di Perl Harbor nelle Hawaii, dichiarando di fatto guerra agli Usa. Nelle settimane successive nella non lontana California si diffuse un senso di nevrosi collettiva per il timore di subire un attacco, soprattutto dopo la solitaria incursione di un sottomarino giapponese. Buona estate, andate al cinema nelle arene.

1941 – Allarme a Hollywood (di Steven Spielberg, 1979)
Il contesto storico spiegato fa da cornice alle scanzonate vicende che accadono nei dintorni della città del cinema, con un sottomarino giapponese che la confonde con un contadino “cowboy” locale (ancora lui, Slim Pickens!), un capitano (Tim Matheson, che replica il suo seduttore di Animal House) che prende il volo solo per sedurre la sua ex e viene scambiato per un caccia nipponico, un asso dell’aviazione matto da legare (John Belushi, e chi se no), e un cuoco ballerino che vuole partecipare a un contest riservato ai militari.
Le situazioni non finiscono qui ma raccontare la trama è impossibile. Spielberg dopo alcuni classici del brivido (Duel e Lo squalo, entrambi citati, soprattutto il secondo nella scena iniziale), e gli splendidi Sugarland Express e Incontri ravvicinati del terzo tipo, spiazza tutti con una commedia anarchica che sbeffeggia il popolo americano e l’allora sentimento antinipponico, e demolisce una qualsiasi proposta ideologica di guerra. Lo fa rileggendo la commedia degli anni 70, dal già citato Animal House ai musicali Grease/Hair, senza dimenticare classici di qualche anno prima come American Graffiti e spettacoli come Saturday Night Live, dal quale prende la coppia Belushi-Aykroyd, un anno prima che si vestissero di Blues. Non manca neanche un omaggio alla Disney, visto che il 1941 è anche l’anno di Dumbo.
Il cast è incredibile, ed è una sorta di citazione-omaggio sia alla commedia di quegli anni (citiamo anche il Treat Williams di Hair, il cameo di Harrison Ford e il piccolo ruolo per John Candy), sia ai mostri sacri del cinema che il regista ama, dal samurai Toshiro Mifune, al gotico Christopher Lee, passando per icone come Ned Beatty, Lionel Stander e Robert Stack. E non finisce qui.
Il film è nel pieno spirito della comicità demenziale e anarchica di quegli anni, e, sebbene non piacerà a tutti, a detta di chi vi scrive è ai vertici sia del suo genere, sia della commedia in generale, sia nella cinematografia di uno Spielberg diventato ancor più mostro sacro del cinema. Un gioiello da recuperare, tenendo conto che in streaming c’è il film originale che dura già quasi due ore, mentre in rete circola una fantastica director’s cut (uscita ai tempi su supporto fisico difficilmente reperibile) di mezz’ora più lunga e non del tutto doppiata. Pietra miliare del cinema demenziale, come demenziale è il sottotitolo inventato.

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