Riverdale, efficace storia di crimine e pervasiva commedia nera

Riverdale (miniserie, 13 episodi, 2017)
Riverdale è una piccola e apparentemente tranquilla cittadina immaginaria degli Stati Uniti d’America. Come per Springfield dei Simpson, e,a differenza di Twin Peaks, non ne è stata mai fornita una locazione geografica precisa, tanto che per cercare di darle una posizione sono nate lunghe discussioni nei forum dei fan che hanno coinvolto anche parte del cast. In questa comunità viene ritrovato il cadavere del giovane rampollo della famiglia Blossom, la più importante della città, con una pallottola in fronte. La serie per 12 episodi (l’ultimo merita un discorso a parte) racconta tramite la voce di uno dei protagonisti, l’aspirante romanziere Jughead, le indagini compiute dalla polizia locale nonché dai giovani compagni di college della vittima, rivelando tutti i segreti e le cattiverie che gli abitanti di questo paesone avevano fin qui tenute nascoste. La stampa statunitense, nell’accoglierla con favore, ha subito definito la serie come una via di mezzo tra Dawson’s Creek e la “vecchia” Twin Peaks, per l’abile mix di thriller e spaccati di vita adolescenziale. Paragone assolutamente sensato,  ma tra i modelli (o le somiglianze, forse) mi sento di aggiungere anche Daydream Nation, un film delizioso e rimasto ignobilmente inedito da noi, che narra in un’ora e quaranta una vicenda dagli aspetti molto simili. La caratteristica più originale di Riverdale è che è tratto da una serie di fumetti editi dalla Archie Comics, i cui personaggi, gli stessi del serial, “vivono” nel mondo della carta da oltre settant’anni; l’adattamento televisivo riprende uno degli ultimi lavori della casa e lo porta sullo schermo mantenendo pienamente le caratteristiche dei personaggi e del racconto. I protagonisti sono tutti giovanissimi e semisconosciuti, mentre è sul versante genitori che la produzione ha deciso di ammiccare anche alla generazione dei quarantenni con protagonisti di altre serie a cui Riverdale si è ispirata: innanzitutto spicca in gran spolvero il mitico Luke Perry (il Dylan di Beverly Hills, seguito da Madchen Amick (la Shelley di Twin Peaks) e dai redivivi Molly Ringwald (da noi poco nota, in Usa icona dei film adolescenti anni ’80, come Breakfast Club) e Skeet Urlich (che molti ricorderanno per la sua parte assai rilevante nel primo Scream). Qualcuno, leggendo, storcerà il naso pensando che qui si stia parlando dell’ennesima serie adolescenziale, dopo i vari Tredici, Scream e Stranger Things… ebbene la situazione è esattamente questa, perché Riverdale, a parte la sua origine letteraria, è un abilissimo mix di serie tv di successo e reinventate perfettamente nel contesto contemporaneo, creando un’efficacissima storia di crimine associata al clima da commedia nera che pervade  i suoi protagonisti, che ne fa un must del genere. Un appunto finale lo merita l’ultimo episodio, l’unico che non mi è piaciuto, poiché la vicenda si risolve in linea di massima nel penultimo e questa chiusura non è altro che un lungo trailer per la seconda stagione che è già in lavorazione. Per quanto mi riguarda, amo le miniserie proprio perché hanno più tempo per raccontare una vicenda, e detesto i tormentoni televisivi sotto forma di zombie o di troni che durano anni e la loro fine la deciderà solo lo share televisivo. Quasi dimenticavo, però, che Riverdale è al momento inedita in Italia e la sua messa in onda è stata appena annunciata per il 9 novembre 2017 questa volta su Mediaset Premium, buon motivo per conservare il giornale.

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