«Il mondo è stretto o dalla necessità o dalla cupidità nostra»

Sedici Architetturajpg03 Metropolis di Fritz Lang (1927)

Grandezza e destino della città contemporanea

Giovedì 16 novembre a Ravenna al Palazzo del Cinema e dei Congressi  si tiene un importante incontro del ciclo “SeDici Architettura” che vede protagonisti i filosofi Massimo Cacciari e Rocco Ronchi in un intervento/dialogo sul tema Angelopoli o Sin City? Realtà e destino della città contemporanea.

Introduce Alberto Giorgio Cassani, autore del testo di queste pagine che affronta l’argomento attraverso la lettura di un classico della filosofia politica rinascimentale.

 

Sedici Architetturajpg08Giovanni Botero, lo scrittore politico benese – celebre autore del monumentale trattato Della ragion di stato, pubblicato in dieci volumi a Venezia nel 1589 –, nel piccolo libro, edito solo un anno prima, dal titolo Delle cause della grandezza delle città libri III,1 alla domanda: «Che cosa sia città grande», così rispondeva: «Città s’addimanda una radunanza d’uomini, ridotti insieme per vivere felicemente,2 e grandezza di città si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura ma la moltitudine degli abitanti e la possanza loro».3 E, immediatamente dopo, chiariva quali fossero le cause di tale «radunanza»: «Ora gli uomini si riducono insieme mossi o dall’autorità o dalla forza o dal piacere o dall’utilità che ne procede».4 Inoltre, entrando subito in medias res col capitolo dedicato proprio all’«autorità», ricordava, en passant, come Caino fosse stato «il primo autore delle città»,5 racconto che è sicuramente all’origine di quella visione negativa del fenomeno urbano che ha sempre accompagnato, dalla Bibbia a certo cinema catastrofico americano, la storia dell’Occidente e che ha avuto anche straordinari critici come Friedrich Nietzsche e Oswald Spengler.
Sedici Architetturajpg10Sempre Botero, poche righe più sotto,6 utilizza una delle metafore più diffuse quando si parla di città, quella del “corpo”, tropo, quest’ultimo che porta con sé l’idea che una città, per ben funzionare, dev’essere come un organismo dotato di mente e organi tra loro armoniosamente collegati (immagine esemplificata da un celebre disegno di Francesco di Giorgio Martini). Essendo un uomo del Rinascimento, Botero non poteva sfuggire a indicare nel «piacere»,7 cioè nella bellezza dell’architettura, una delle ragioni di maggior attrazione della città: «Tutto ciò finalmente che pasce l’occhio e che diletta il senso e che dà trattenimento alla curiosità, tutto ciò che ha del nuovo, dell’insolito, dello straordinario e del mirabile, del grande o dell’artificioso, appartiene a questo capo».8 E dovendo fare il nome di due città sopra tutte le altre, non poteva che citare Roma e Venezia. Il piacere e il diletto, però, soccombono di fronte al vero “motore” attrattivo delle città e che rende queste ultime grandi: l’utilità. «È di tanto poter questa causa per unir gli uomini in un luogo che le altre cagioni, senza intervento di questa, non sono bastanti a far nessuna città grande».9 Senza la «comodità»,10 alcuna qualsivoglia «necessità»11 può valere, perché «la necessità ha del violento e la violenza non può produrre effetto durabile».12 E, apparentemente smentendo quanto appena affermato sul potere della bellezza, Botero conclude che assai poco valgono a far grande una città «il piacere e il diletto, perché l’uomo è nato per operare e la più parte degli uomini attende ai negozi e gli oziosi sono pochi e da poco e l’ozio loro si fonda sull’opera e sull’industria dei negoziosi».13
Botero, appurato che è l’utilitas che fa grande, più di tutto, una città, passa poi a esaminare le tante possibili «forme e maniere»14 di questa comodità: la comodità del sito, la fecondità del terreno, la facilità del movimento,15 in cui si legge, tra le righe, la futura globalizzazione del pianeta. Nel Libro II, poi, Botero prosegue la sua analisi, cercando di capire cosa convinca il popolo, «di natura sua indifferente a star qua o là»,16 a scegliere un luogo piuttosto che un altro, analizzando i metodi dei Romani, gran costruttori di città, attraverso la fondazione di colonie, o l’importanza della religione, senza la quale, ai tempi di Botero, Roma non sarebbe che «un deserto»17 e «una solitudine»;18 o quella degli studî, intesi come sedi universitarie – pur condannando egli quelle «impunità»19 e «licenze»20 che sembrano fiorire dove la gioventù si raduna per apprendere; o, ancora, le sedi di tribunali dove si esercita la giustizia. Ma, più di tutti questi fattori, Botero, con grande forza premonitrice, individua il vero elemento attrattore nel denaro: «Ora non è cosa più efficace per far correr le genti che il corso del denaro: non è di tanta forza la calamita per tirare a sé il ferro, come l’oro per volger qua e là gli occhi e gli animi degli uomini e la ragione si è perché contiene virtualmente ogni grandezza, ogni comodità, ogni bene terreno e chi ha denari si può dire ch’egli abbia tutto ciò che si può avere da questo mondo».21

Bozzetto

Metropolis, bozzetto

E qui Botero non è che il precursore di quel gran libro che sarà la Philosophie des Geldes,22 la Filosofia del denaro, scritto da Georg Simmel, un autore che sarà centrale nella riflessione sulla Metropoli del XX secolo. E, accanto al denaro, le due altre forze che determinano l’accrescimento e la ricchezza delle città sono l’«industria degli uomini e la moltitudine delle arti»,23 tanto che alla domanda di quale delle due cose conti di più «per rendere popoloso un luogo: la fecondità del terreno o l’industria dell’uomo»,24 Botero non ha dubbi sulla risposta: «L’industria, senza dubbio […]».25 Perché se «la natura dà la materia e il soggetto […] la sottigliezza e l’arte dell’uomo dà l’inenarrabile varietà delle forme».26 Ragion per cui, ogni principe «che vuol rendere popolosa la sua città, [deve] introdurvi ogni sorte d’industria e d’artificio, il che farà e col condurre artefici eccellenti dai paesi altrui e dar loro ricapito e comodità conveniente e col tenere conto dei belli ingegni e stimare le invenzioni e le opere che hanno del singolare o del raro e propor premi alla perfezione ed all’eccellenza».27 Che è, come diremmo oggi, accogliere i cervelli in fuga… Ma sono anche utili per le città la speranza di ottenere immunità, l’aver a disposizione prodotti ambìti, o il fatto che una città sia dominante sulle altre, o sia sede dell’aristocrazia, nota consumatrice dei prodotti di lusso. E qui Botero vede la città come una vetrina in cui i ricchi si mostrano e vengono emulati: «Ora, la stanza [i.e. il risiedere] dei nobili nelle città le rende più illustri e più popolose, non solamente perché vi si aggiungono le persone e le famiglie loro, ma di più perché un barone spende molto più largamente per la concorrenza e l’emulazione degli altri nella città, dove vede ed è visto continuamente da persone onorate, che nella campagna, dove vive tra le fiere o conversa coi villani e va vestito di panno lazzo [i.e. ruvido] o di tela».28 Come si vede, la contrapposizione città-campagna ha radici lontane.

Scena

Metropolis di Fritz Lang (1927)

Del resto, la città è il luogo di quel fenomeno che, proprio dal XVI secolo, caratterizzerà sempre il mondo occidentale: la moda.29 Ma ancor più di avervi sede le case dei nobili, ciò che fa grande una città è l’essere residenza del principe, «conciossiaché dove il principe risiede, risiedono anche i parlamenti o senati, che gli vogliamo dire, i tribunali supremi della giustizia, i consigli segreti e di Stato: là concorrono tutti i negozi d’importanza, tutti i principi, tutti i personaggi di conto, gli ambasciatori delle repubbliche e dei re e gli agenti delle città soggette, là concorrono a gara tutti quei che aspirano agli uffici e agli onori, ivi si portano l’entrate dello Stato, ivi si dispensano […]»,30 come dimostrano gli esempi di «quasi tutte le città d’importanza e di grido».31 Tra tutti, alla «China», spetta un posto di primo piano in questo lungo capitolo. Quasi profetico, si direbbe. A causa del divieto di «uscir fuor del paese, senza licenza dei magistrati [… accade che] crescendo continuamente il numero delle persone e non uscendo fuori, egli è di necessità che sia inestimabile il numero della gente e che, per conseguenza, le città siano grandissime, le terre infinite: anzi che la China sia quasi tutta una città».32 E qui Botero dà una stoccata al “provincialismo” italiano: «Invero che noi italiani siamo troppo amici di noi stessi e troppo interessati ammiratori delle cose nostre quando preferiamo l’Italia e le sue città a tutto il resto del mondo».33 Come potrebbero esserci grandi città in un territorio lungo e stretto com’è la nostra penisola? Botero passa poi a elencare le più popolose città del mondo e d’Europa.

Da sinistra: Georg Simmel e Oswald Spengler

Ma è il Libro terzo, forse, il più interessante per noi. Botero inizia affermando che gli «antichi fondatori di città, considerando che le leggi e la disciplina civile non si può facilmente conservare dove sia gran moltitudine d’uomini perché la moltitudine partorisce confusione,34 limitarono il numero dei cittadini oltre il quale stimavano non potersi mantener l’ordine e la forma ch’essi desideravano nelle loro città: tali furono Licurgo, Solone, Aristotele. Ma i Romani – e qui l’intuizione di Botero è notevole – stimando che la potenza, senza la quale una città non si può lungamente mantenere, consiste in gran parte nella moltitudine della gente, fecero ogni cosa per aggrandire e per appopolar la patria loro […]».35 Infatti non la ragione e il limite – il motto delfico “niente di troppo” – regge le leggi di questo mondo: «Se il mondo si governasse per ragione e se ognuno si contentasse di quello che giustamente gli appartiene, sarebbe forse degno d’esser abbracciato il giudizio degli antichi legislatori. Ma l’esperienza che c’insegna che, per la corruzione della natura umana, la forza prevale alla ragione e l’arme alle leggi, c’insegna ancora che il parer dei Romani si deve preferire a quello dei Greci». Botero coglie, in nuce, oltre l’incomponibile differenza tra mondo greco e romano sul modo di concepire la città, polis vs civitas – come messo definitivamente in luce da Massimo Cacciari in un aureo libretto del 2004 dal titolo La città36 –, proprio la nascente “volontà di potenza” che si dispiegherà, con tutta la sua forza, nel XIX e XX secolo. Al termine della sua riflessione, Botero cerca di chiarire un fatto apparentemente inspiegabile: perché, nonostante tutto quello che si è detto finora, «le città non vadano crescendo a proporzione»,37 non abbiano dunque uno sviluppo illimitato. Anzi, giunte a un certo punto, «o si fermino in quel segno o ritornino indietro».38 Un fenomeno, questo, che sembra esser totalmente contraddetto dall’attuale crescita, apparentemente senza limiti, della megalopoli odierne. Quali le cause per Botero? «Rispondono alcuni – egli scrive – esser di ciò cagione la peste, le guerre, le carestie e le altre simili cagioni»;39 ma Botero si risponde che ciò è sempre avvenuto e non può dunque esser questa la ragione. «Dicono altri – soggiunge – ciò esser perché Dio, moderator d’ogni cosa, così dispone»; ma, si chiede Botero, se è così, «con quali mezzi quella eterna provvidenza [fa] moltiplicar il poco e [dà] termine al molto?».40 Lo stesso fenomeno si osserva nel numero degli abitanti sulla terra: «onde procede – si domanda Botero – che da tremila anni in qua, questa moltiplicazione non è passata oltre?».41 Il Nostro, fatto salva la capacità riproduttiva dell’uomo dai «tempi di David o di Mosè»,42 ne individua le cause dal «difetto di nutrimento e di sostegno»,43 dovuto alla difficoltà di dar da mangiare a un numero sempre crescente di abitanti. E Botero elenca di seguito un numero infinito di ostacoli che impediscono che quella crescita possa divenire esponenziale.
Foto di scena

Metropolis di Fritz Lang (1927)

Le sue ultime parole, mutatis mutandis, sono di nuovo profetiche su quanto sta avvenendo oggi tra paesi ricchi e paesi poveri e sulla metafora, oggi molto di moda, dei ponti e dei muri: «Le differenze e le liti onde procedono se non dalla strettezza dei confini? I termini, le fosse, le siepi e gli altri ripari, che si fanno attorno alle possessioni, le guardie delle vigne e dei frutti maturi, le porte delle case, i mastini che vi si tengono, che ci vogliono interferire se non che il mondo è stretto o dalla necessità o dalla cupidità nostra? E che diremo delle armi di tante sorti e tanto crudeli? Che delle guerre perpetue e per mare e per terra? Delle fortezze sui passi? Che delle muraglie?».44 La nostra cupidigia, più che l’intervento moderatore di un dio, sembra essere la cagione del fatto che «il numero degli uomini non cresca immoderatamente».45
Un finale irenico chiude questo straordinario testo: non resta che conservare e mantenere le nostre città e, per far questo, «giova la giustizia e la pace e l’abbondanza, perché la giustizia assicura ognuno del suo, con la pace fiorisce l’agricoltura, i traffici e le arti, con l’abbondanza dei cibi si facilita il sostegno della vita e nessuna cosa tien più allegro il popolo che il buon mercato del pane».46 Se ne ricorderà il buon Don Lisander, nel suo capolavoro.
Il piccolo chef d’œuvre di analisi politica di Botero potrebbe apparire ampiamente superato alla luce degli sviluppi succedutisi alla Rivoluzione industriale e poi a quella informatica. Alla città è subentrata la Metropoli, quella Metropoli di cui lo Zarathustra nietzschiano invitava a “passare oltre”, e così magnificamente eternata dal film di Fritz Lang. A questa è seguita la post-Metropoli di cui oggi tanto si dibatte (ma su ciò si vedano ancora le decisive riflessioni di Cacciari nel volume citato). Ma il testo di Botero continua a interrogarci, mettendoci di fronte all’aporia di una crescita che non può essere illimitata e che, nei plumbei scenari mondiali attuali, ci obbliga a ragionare – come ci invitava lucidamente a fare Spengler in Der Untergang des Abendlandes,47 il suo capolavoro del 1923, ma, ancor più, in Der Mensch und die Techink. Beitrag zu einer Philosophie des Lebens del 1931,48 suo vero testamento spirituale – sul nostro destino.

Note  

1.    In Roma, Appresso Giouanni Martinelli, 1588, edizione consultata: Delle cause della grandezza delle città, a cura di Claudia Oreglia, con un saggio di Luigi Firpo, Torino, Nino Aragno Editore, 2016.
2.    Topico rimando a un classico luogo della Politica di Aristotele, I, 1.
3.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 7.
4.    Ibid.
5.    Ibid.
6.    Cfr. ibid., p. 8.
7.    Ibid., p. 14.
8.    Ibid.
9.    Ibid., p. 15.
10.    Ibid., p. 16
11.    Ibid.
12.    Ibid.
13.    Che potremmo considerare anche uno splendido neologismo con cui Botero volesse indicare “chi nega l’ozio”.
14.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 17.
15.    E in questo capitolo si individua in Parigi, la «città che di popolo e di abbondanza a d’ogni cosa avanza di gran lunga tutte le altre della Cristianità», ibid., p. 24.
16.    Ibid., p. 29.
17.    Ibid., p. 36.
18.    Ibid.
19.    Ibid., p. 37.
20.    Ibid.
21.    Ibid., p. 40.
22.    Berlin, Duncker & Humblot Verlag, 1900, trad. it., Filosofia del denaro,
      a cura di Alessandro Cavalli e Lucio Perucchi, Torino, U.T.E.T, 1998.
23.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 42.
24.    Ibid.
25.    Ibid.
26.    Ibid.
27.    Ibid., p. 44.
28.    Ibid., p. 52.
29.     E sulla moda, ancora Simmel, scriverà un testo fondamentale (apparso in precedenza nel 1895 e nel 1905 in forma leggermente diversa): Die Mode, in Id., Philosophische Kultur. Gesammelte Essays, Leipzig, Klinkhardt, 1911, trad. it. di Marcello Monaldi, La moda, in La moda e altri saggi di cultura filosofica, a cura di Dino Formaggio e Lucio Perucchi, Milano, Longanesi, 1985, pp. 29-52.
30.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 53.
31.    Ibid.
32.    Ibid., pp. 63-64.
33.    Ibid., p. 64.
34.    Come non ricordare qui il classico libro di Gustave Le Bon, Psychologie des foules, Paris, Librairie Félix Alcan, 1895, trad. it. di Gina Villa, Psicologia delle folle, prefazione di Piero Melograni, Milano, Longanesi, 1970 (e successive edizioni)?
35.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 71.
36.    Villa Verucchio (RN), Pazzini Editore, giunto alla 5a edizione (2012).
37.    Delle cause della grandezza delle città, cit., p. 72.
38.    Ibid.
39.    Ibid., p. 73.
40.    Ibid.
41.    Ibid.
42.    Ibid., p. 74.
43.    Ibid.
44.    Ibid., p. 77.
45.    Ibid.
46.    Ibid.
47.    München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, trad. it. Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale, Edizione a cura di Rita Calabrese Conte, Margherita Cottone, Furio Jesi, Traduzione di Julius Evola, Introduzione di Stefano Zecchi, Parma, Ugo Guanda Editore, 1995, 2005 (testo dell’edizione Longanesi del 1978).
48.    München, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, trad. it. L’uomo e la tecnica. Contributo a una filosofia della vita, a cura di Giuseppe Raciti, Torino, Nino Aragno Editore, 2016. Così scriverà, con toni analoghi a quelli di Ernst Jünger, nella chiusa del suo saggio (pp. 113-114): «Siamo nati in questo tempo e dobbiamo percorrere coraggiosamente sino alla fine la via che ci è destinata. È dovere tener fermo sulle posizioni perdute, anche se non c’è più speranza né salvezza. Tener fermo come quel soldato romano le cui gambe furono trovate a Pompei davanti ad una porta: egli morì perché quando scoppiò l’eruzione del Vesuvio, il comandante si dimenticò di rilevarlo dal suo posto. Questa è grandezza, questo significa aver razza. Questa onorevole fine è l’unica che non si può togliere all’uomo».

 La conferenza  e i suoi protagonisti

Il tema trattato nell’articolo su queste pagine sarà al centro della conferenza (la 37esima) della serie SeDici Architettura – nel 2017/208 dedicato a “Progetto, fra storia, estetica ed esperienze” – in programma la serata del 16 novembre (ore 18) al Palazzo dei Congressi di Ravenna. L’incontro, organizzato come consueto da questa rivista col patrocinio del Comune di Ravenna e degli Ordini degli Architetti di Ravenna e Forlì-Cesena (anche ai fini dei crediti formativi), dopo un saluto istituzionale del sindaco di Ravenna Michele De Pascale, è introdotta a coordinata da Alberto Giorgio Cassani.
Di seguito le biografie professionali dei protagonisti della conferenza.

Alberto Giorgio Cassanijpg08 Alberto Giorgio Cassani • (Bergamo, 1960) è docente di Elementi di architettura e urbanistica alle Accademie di Belle Arti di Venezia e Ravenna. È membro del comitato scientifico di “Anfione e Zeto” e redattore di “Albertiana”; collabora con “Casabella”. Studioso di L.B. Alberti, è autore di: Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Milano 2000 e 2011; La fatica del costruire. Tempo e materia nel pensiero di L.B. Alberti, Milano 2000; Figure del ponte. Simbolo e architettura, Bologna 2014; L’occhio alato. Migrazioni di un simbolo, Torino 2014; ha curato il volume: Tomaso Buzzi 1900-1981. Il principe degli architetti, Milano 2008.

PRESENTAZIONE DEL LIBRO 'LA SVOLTA LETTERA AD UN PARTITO MAI NATO

Massimo Cacciari • (Venezia, 1944) è, dal 2012, professore emerito di Filosofia presso L’Università San Raffaele di Milano, da lui fondata nel 2002 e di cui è stato il primo preside; in precedenza, ha insegnato Estetica all’Università Iuav di Venezia. Ha ricevuto la laurea honoris causa in Architettura dell’Università di Genova nel 2002, quella in Scienze politiche dell’Università di Bucarest nel 2007, quella in Filologia classica dell’Alma Mater di Bologna nel 2014. Ha ricevuto il premio Hannah Arendt per la filosofia politica nel 1999, il premio dell’Accademia di Darmstadt nel 2002, la medaglia d’oro del Circulo de bellas Artes di Madrid nel 2005, la medaglia d’oro “Pio Manzù” del Presidente della Repubblica Italiana nel 2008, il premio De Sanctis per la saggistica nel 2009. È stato co-fondatore e co-direttore di alcune delle riviste che hanno segnato la vita politica, culturale e filosofica italiana tra gli anni ’60 e ’90, da “Angelus Novus” a “Contropiano”, da “Laboratorio politico” al “Centauro”, a “Paradosso”. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni, molte delle quali tradotte e molte edite soltanto all’estero, ricordiamo: Krisis, Milano 1976; Dallo Steinhof, Milano 1980; Adolf Loos e il suo angelo, Milano 1981 e 1992; Icone della legge, Milano 1985; L’Angelo necessario, Milano 1986; Zeit ohne Kronos, Klagenfurt 1986; Drama y duelo, Madrid 1987; Architecture and nihilism, New Hawen-London, 1993; Geofilosofia dell’Europa, Milano 1994; L’Arcipelago, Milano 1996; Le dieu qui danse, Parigi 2000; Hamletica, Milano 2009; The Unpolitical, New York 2009; Il potere che frena, Milano 2013; Occidente senza utopie (con Paolo Prodi), Bologna 2016. La sua ricerca teoretica si concentra nel “trittico”: Dell’Inizio, Milano 1990; Della cosa ultima, Milano 2004; Labirinto filosofico, Milano 2014. Sul tema della città ha scritto il fondamentale Metropolis, Roma, Officina, 1973; La città, Villa Verucchio (RN), 2004; nonché il saggio Nomadi in prigione, in “Casabella”, LXVI, n. 705, novembre 2002, pp. 4-7.

Sedici Architetturajpg02 Rocco Ronchi • (Forlì, 1957) è professore Ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Tiene corsi e seminari in varie università italiane e straniere. È docente di filosofia presso l’IRPA (Istituto di ricerca di psicanalisi applicata) di Milano. È stato docente di Filosofia della comunicazione alla Bocconi di Milano e visiting professor presso la Houston University e l’Università Hosei di Tokyo. Ha collaborato alle pagine culturali del quotidiano “Il Manifesto”. Dirige la collana “Filosofia al presente” della Textus edizioni (L’Aquila) e la scuola di Filosofia “Praxis” di Forlì. Collabora con la rivista on-line “Doppio Zero”. Specialista del pensiero di Henri Bergson, tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo: Bataille, Levinas, Blanchot. Un sapere passionale, Milano 1985; Bergson filosofo dell’interpretazione, Genova 1990; La scrittura della verità. Per una genealogia della teoria, Milano 1996; Il pensiero bastardo. Figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta, Milano 2001; Teoria critica della comunicazione. Dal modello veicolare al modello conversativo, Milano 2003; Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità, Roma 2006; Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teogonia, Torino 2008; Bergson. Una sintesi, Milano 2011; Come fare. Per una resistenza filosofica, Milano 2012; Brecht. Introduzione alla filosofia (et alii), Milano 2013; Zombie Outbreak. La filosofia e i morti-viventi, L’Aquila 2015; Gilles Deleuze. Credere nel reale, Milano 2015; Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Milano 2017; Bertold Brecht. Tre dispositivi, Napoli-Salerno 2017; tra gli altri, ha curato il volume: Henri Bergson, William James, Durata reale e flusso di coscienza. Lettere e altri scritti (1902-1939), Milano 2014.

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