La cura di Giorgia Severi per il mondo

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Operazione Campo Base, performance

Profilo di una artista ravennate che ha dedicato la sua poetica – particolarmente etica – alla segreta e prorompente fecondità della natura

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Sono passati quindici anni dal mio primo incontro con l’artista Giorgia Severi. Era il 2000 e partecipò, giovanissima, alla prima edizione della Biennale Giovanile di Mosaico a Ravenna.  Era un’ allieva di Felice Nittolo all’Istituto d’Arte Severini di Ravenna. Aveva presentato un grande lavoro, coraggioso e imponente, una sorta di scudo arcaico nel quale la materia musiva era costituita da piccoli semi, miglio, orzo e tanti altri ancora. Mi ricordo che al tempo quell’opera mi fece venire in mente la seconda prova che impone Afrodite a Psiche per aver guardato Eros. Le atmosfere erano vicine all’Arte Povera, ma più raccolte e intime perché segnate da un gesto che, come le piccole formiche che aiutano Psiche a separare l’orzo dal miglio e dai semi di papavero, creava  con grazia la bellezza usando cose minime.
Quel grande scudo entrò subito nella casa di un grande collezionista veneto che se ne era immediatamente innamorato.
Negli anni l’ho incrociata altre volte e ho avuto modo di vedere che la sua determinata volontà di narrazione delle cose del mondo attraverso l’esperienza artistica era cresciuta, sempre coerente e profonda, e si era messa in viaggio per il mondo. Prima il Tibet, il Nepal, poi il Marocco, la Grecia, l’India e tanti altri luoghi, lì intanto raccoglieva esperienze, sguardi, relazioni, guardava in silenzio e lavorava.
Lavorava come una raccoglitrice di semi che sceglie i migliori e poi li pianta in luoghi diversi, li cura , li annaffia e poi li incontra di nuovo, quando sono cresciuti. Da quel viaggiare nomadico e un po’rizomatico, perché Giorgia Severi in qualche modo riesce a radicarsi ovunque come un’apparentemente fragile erba pioniera, a entrare in relazione linfatica con i mondi che incontra, sono nati tanti progetti portatori di una grazia povera e disadorna, ma sempre sorprendente.
Progetti che parlano un linguaggio pauperista, vicini alla delicata poesia di Richard Long, alle epifanie vegetali di Christiane Lohr, alla polifonia di Penone, Pistoletto, Kounnellis, Calzolari e Merz, alle performance sciamaniche di Beuys ma diventano altro, si muovono in una relazione che è sottilmente tattile, vicina, in simbiosi empatica con ciò che sceglie di incontrare.
Sono nate così gli Essicatoi, le Incubatrici, le Florescenze, gli Innesti, le Culle di fibre intrecciate grazie a un gesto onnivoro che è forte, ma insieme tenero e materno, un gesto che cura, che ricompone che manipola con la dolcezza di filigrana ogni segno di natura, ogni impronta evanescente della bellezza perfetta e assoluta di ciò in cui siamo immersi. Il suo è diventato un percorso estetico e insieme etico che parla la lingua del principio di responsabilità del filosofo Hans Jonas sulla necessità di una riflessione costante sulle conseguenze delle nostre azioni nei confronti del mondo. Severi lo fa a modo suo, da artista.

Lo ha fatto dopo il grande incendio che ha distrutto quaranta ettari del bosco della Bassona, la pineta tra Lido di Classe e Lido di Dante il 19 luglio del 2012, dando inizio al progetto Restoring the world, del quale, nel corso di un anno e mezzo, sono entrati a far parte quattro lavori: Barks, Cura, Operazione Campo Base, ARSA. In Barks le carte diventano le sindoni dei tronchi bruciati in una scrittura che diventa traccia rispettosa del dolore, in Cura i frammenti di alberi bruciati diventano oggetto di un delicato restauro, reliquie da conservare, museificate. Operazione Campo Base è invece una performance che molti ravennati ricordano. Nel 2013 Severi, con la collaborazione della Protezione Civile, innalzò una delle loro tende in Piazza del Popolo. Lì dentro coinvolse passanti e amici in una performance di arte partecipativa durante la quale consegnò i semi degli alberi e delle piante della pineta incendiata attraverso una sorta di rituale taumaturgico. Ognuno dei semi era destinato ad essere piantato per ricreare, attraverso la relazione e la responsabilità collettiva, ciò che era stato distrutto. ARSA è invece il video della doppia narrazione della devastazione del paesaggio dopo l’incendio e della performance partecipativa di Campo Base. L’intero progetto è stato esposto alla  Fondazione La ParCo/ Padiglione Arte Contemporanea di Treviso nell’autunno del 2014 con la curatela di Chiara Massini.

Nel 2014/2015 ha trascorso un lunghissimo periodo in Australia, dove in collaborazione con la Gervasuti Foundation di Venezia, ha creato il grande progetto partecipativo Country che documenta due anni di ricerca e incontro con la cultura aborigena australiana. La mostra, visitabile sino al 22 novembre 20015 alla Gervasuti Foundation di Venezia, è uno degli eventi collaterali della Biennale di quest’anno. Qui Severi espone, attraverso una sorta di narrazione epica partecipativa, insieme alle opere di quaranta artisti nativi, i lavori nati dal suo incontro con le voci degli aborigeni incontrati durante il suo lungo viaggio: manufatti, video, installazioni sonore che documentano la persistenza e l’importanza di una cultura che, in qualche modo, rappresenta un principio di responsabilità etica ed estetica per tutti noi. Un altro capitolo per un’artista viaggiatrice che dalle tessere di mosaico è partita per ricomporre il mondo con un gesto di cura tagliente e bellissimo.

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