DesignArt

Sedici Architettura03

Annie Spratt, Write on wall

L’ibridazione come scenario della contemporaneità

Nella DesignArt l’arte, la manualità e la dimensione della serie limitata incontrano l’aspetto del design, inteso come serialità e funzionalità dell’oggetto. Una funzionalità che non coincide però più soltanto con un uso specifico, ma ha come valori fondanti la dimensione emotiva e quella estetica

Quando James Harvey entrò alla Stable Gallery il 21 aprile 1964 di New York alla personale di Andy Wahrol, per prima cosa si mise a ridere. Davanti a lui c’erano decine di Brillo Box, uguali al packaging che aveva progettato tre anni prima per l’azienda di pagliette Brillo. Per Harvey, pittore espressionista astratto prestato al mondo della grafica e del packaging per l’Agenzia Stuart & Gunn, quella fu una sorpresa piacevole.  Decontestualizzando e rivestendo di auraticità una banale scatola di spugne detergenti, Warhol aveva creato un ibrido nel quale il gesto e l’intenzione dell’artista erano aspetti fondamentale. Prima di lui era stato Duchamp a investire di aura sacrale, attraverso l’ironia dada, orinatoi, ruote di bicicletta, palloncini. Da allora il quotidiano, alle volte talmente banale da essere disturbante, è entrato in gallerie e musei internazionali attraverso installazioni ambientali ed esperienze di public art nelle quali è fon­damentale, spesso, un’interazione da parte del pubblico.
L’ibridazione, l’incontro tra dinamiche apparentemente avverse e la creatività diffusa partono da questi scenari, ma soltanto adesso appaiono come dinamiche completamente metabolizzate. Il concetto di ibrido, termine derivato dalla biologia (un essere vivente generato da individui provenienti da razze, generi o specie differenti),  indica, in antropologia, gli incroci tra cultura alta, di massa, popolare e costituisce uno dei tratti più caratteristici della modernità. Il termine ibrido si presta a indicare ciò che viene prodotto da una sorta di corto circuito creativo che, spezzando le tassonomie esistenti, crea una nuova identità, cui vengono trasmessi i tratti delle precedenti. Nella DesignArt l’arte, la manualità e la dimensione della serie limitata incontrano l’aspetto del design, inteso come serialità e funzionalità dell’oggetto. Una funzionalità che non coincide però più soltanto con un uso specifico, ma ha come valori fondanti la dimensione emotiva e quella estetica.
I due filosofi francesi Gilles Lipovetsky e Jean Serroy, nel libro L’esthétisation du monde, hanno messo in evidenza come il capitalismo stia vivendo una condizione paradossale: più tenta di essere razionale ed efficiente, più è costretto a fare ricorso a tutto quello che è contrario alla razionalità (emozioni, creatività, estetica). Questo perché ha un assoluto bisogno dell’arte e delle sue creazioni per legittimare sul piano sociale i suoi prodotti e le sue marche, cioè per continuare a produrre del valore economico.

Ora i fenomeni estetici non sono più separati e marginali, ma pienamente inseriti nei mondi della produzione, della commercializzazione e della comunicazione. Sono, e il DesignArt ne è un esempio illuminante, ibridi basati sulla combinazione e sul rimescolamento degli ambiti e dei generi, ma anche sull’ossimoro, sull’iperbole e sulla ricerca di eccessi: la ricerca della bellezza e il cattivo gusto, l’estetizzazione e la degradazione dell’ambiente, la felicità e l’ansia, l’assolutamente artificiale e il raw, il lussuoso e il minimalista.
Questi ibridi hanno come scenario privilegiato l’ambiente vissuto, lo spazio modificato in modo tale da generare esperienze esteticamente significative,  facendo leva sugli aspetti sinestetici e relazionali. Questo avviene indistintamente per gli spazi pubblici ma anche per quelli domestici, privati e quotidiani, attraverso una sorta di “consumo contemplativo”, nel quale l’esperienza estetica, il valore espositivo, connotativo dell’oggetto di DesignArt, viene affiancato da un altro valore “liturgico”, rituale, ieratico, che può variare anche da individuo a individuo. L’oggetto diventa così anche soggetto e si apre a suggerire legami e intrecci, condivisioni e interazioni. I nuovi oggetti si muovono esattamente come nello spazio liquido della Rete: vengono amati e scelti in virtù della loro forza simbolica, emozionale e significante, non soltanto per il loro uso.

Ciò che le nuove tecnologie hanno profondamente cambiato su scala globale, infatti, è il modo di pensare, di valutare, di giudicare di ogni individuo: la sperimentazione e l’autarchia del DIY su you tube e su pinterest, la velocità di un whatsapp, la condivisione di un file sharing, l’esplorazione del territorio del GPS hanno modificato radicalmente l’esperienza del mondo di ognuno di noi e ci hanno reso anche più liberi di scegliere e costruire il nostro scenario. Uno scenario che può mescolare la memoria visionaria, il genius loci, le sperimentazioni espressive, la fascinazione improvvisa, lo spirito riflessivo, l’ironia, la citazione ludica alla funzionalità. Possiamo scegliere la lampada di Mathali Crasset di Ikea e unirla al pezzo quasi unico del designer giovane ed emergente; possiamo anche costruirci il letto di pallet e affiancarlo alla seduta Mezzadro di Castiglioni, appendendo vicino ala testata un quadro dipinto da nostro figlio alla tenera età di otto anni.
In questo luogo, di cui siamo perfetti protagonisti, la DesignArt occupa una posizione privilegiata perché siamo tutti più informati, mediamente più colti e tutti vogliamo essere protagonisti del nostro teatro personale, muoverci in uno spazio simile a quello che Gernot Böhme ha definito con il termine “atmosfera”.  Secondo il filosofo tedesco, l’atmosfera è l’oggetto percettivo primario; è ciò che “si sente” prima di avvertire oggetti fisicamente definiti; è ciò che ci coinvolge sensorialmente ed emotivamente e che dà il tono al nostro percepire oggetti e ambienti. Le atmosfere, insomma, sono “spazi emozionali”, “sentimenti estesi nello spazio”,  interstiziali tra soggetto e oggetto: avvertiamo, ad esempio la serenità di una limpida giornata primaverile e questo indipendentemente dal nostro stato d’animo, indipendentemente dalla nostra interiorità psichica, come proviamo un sentimento di inquietudine se entriamo in un luogo buio e angusto anche se siamo felici. L’oggetto di design, soprattutto se di sapore artistico, creato manualmente e a tiratura limitata oppure prodotto in serie a prezzi inferiori, raccoglie le necessità dell’estetica dell’atmosfera e, nello stesso tempo, è il segno di una democraticizzazione dell’arte che scende dalle aule distanti e algide dei musei e “si sporca” di vita e di uso quotidiano, affettivo ed emozionale, indicando un nuovo orizzonte di esperienza estetica condivisa sul mondo.

 LA CONFERENZA

Il tema trattato nell’articolo su queste pagine sarà al centro della conferenza (la 36esima) della serie SeDici Architettura – nel 2017/208 dedicato a “Progetto, fra storia, estetica ed esperienze” – in programma la serata del 19 ottobre nello showroom dell’azienda TBT di Ravenna. L’incontro organizzato come consueto da questa rivista col patrocinio del Comune di Ravenna e degli Ordini degli Architetti di Ravenna e Forlì-Cesena (anche ai fini dei crediti formativi) è introdotta a coordinata da Sabina Ghinassi. Critica d’arte, giornalista e studiosa di tendenze estetiche e nuovi stili di vita, è redattrice di Casa Premium per cui cura una sezione dedicata all’evoluzione contemporanea dell’abitare (la casa, la città, la natura).
Di seguito le bioprof degli ospiti/relatori dell’incontro.

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Malerba, Monkey Lamp

Marcantonio Raimondi MalerbaDi sé dichiara «non ho mai rinunciato all’ironia. Se una buona idea è anche divertente non riesco a resistere, la devo realizzare». Studi all’Istituto d’Arte di Ravenna e poi all’Accademia di Belle Arti, Marcantonio Raimondi Malerba ha iniziato a lavorare come scenografo, collaborando con molte compagnie (Fanny e Alexander, ad esempio) e parallelamente come artista. Il suo linguaggio progettuale è fortemente intriso di spirito ludico e libertà evocativa, aspetti che lo stimolano a reinterpretare in modo originale gli oggetti quotidiani. La sua vena creativa ha conquistato il marchio Seletti per cui ha disegnato numerosi pezzi, oscillanti tra invenzione e ready made. Gli studi artistici hanno nutrito l’eleganza che caratterizza ogni suo progetto. Ama con le sue realizzazioni raccontare storie, che sempre condisce con una buona dose d’ironia, sovvertendo le funzioni degli oggetti quotidiani: il martello diventa un attaccapanni, sagome di casette su palafitte costituiscono una sequenza di mobili contenitori, mentre un fagotto legato con gli spaghi funge da pouf. Oltre a un approccio simile al pensiero divergente, è particolarmente legato alla natura: «La natura è esatta, basta a sé, non ha coscienza della propria bellezza e trova per necessità forme cui l’uomo può arrivare attraverso processi speculativi ed eventualmente estetici. La natura – dice Malerba – è sempre un passo avanti all’uomo e continuerà ad essere in nostra assenza».

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Seduta in vetroresina

Verter ed Erich Turroni, Emanuela Ravelli – Imperfetto Lab Verter ed Erich Turroni, insieme a Emanuela Ravelli, hanno creato il Laboratorio dell’Imperfetto nel 1997, producendo inizialmente  scenografie per la Societas Raffaello Sanzio e set design per discoteche come il Cocoricò. Tutti e tre hanno una formazione artistica: i Turroni hanno studiato all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, mentre Ravelli a quella di Brera. Attualmente Verter, coadiuvato da Erich, si occupa di progettazione e creazione, mentre Emanuela di coordinamento e pubbliche relazioni. Dal 2001 il loro percorso include la progettazione di oggetti collocabili sulla soglia liminale tra arte e design. Dal 2014 il Laboratorio dell’Imperfetto diventa Imperfetto Lab,  iniziando a raccogliere grandi consensi a livello internazionale. “Imperfetto” è un aggettivo che in loro assume connotazioni simili all’estetica wabi-sabi giapponese: una bellezza austera, deliberatamente aperta all’azione affettiva dello sguardo e delle abitudini. La collezione di oggetti e mobili di design, ispirata all’imperfezione della materia, vuole esprimere una sintesi fra natura e artificio che diventa familiare, domestica. Nato da uno stampo comune, ogni pezzo viene carteggiato, dipinto e lucidato a mano. La lavorazione è differente per ogni genere di oggetto, una personalizzazione attenta e minuziosa che permette a tutti gli elementi di acquisire identità ed unicità, oltre all`estrema cura del dettaglio figlia di una sapiente manifattura artigianale.

Maurizio Nicosia – Accademia Belle Arti di Ravenna • Docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Ravenna è curatore del progetto di interesse archeologico, storico e culturale “Ravenna da Augusto a Giustiniano” dedicato a rilievi e mappe digitali tridimensionali e alla costruzione di modelli di edifici tramite stampante laser 3D, con finiture artistiche e artiginali. Il progetto, intrapreso da Nicosia assieme a Pier Carlo Ricci, con gli allievi dell’Accademia – vincitore di un bando di finanziamento nazionale promosso dal Miur – è realizzato in collaborazione con la Fondazione “RavennAntica” (coordinatore Fabrizio Corbara, consulenza archeologica Giovanna Montevecchi). Molti esiti del progetto multimediale sono visibili sul sito web tamoravenna.info che consente una documentata quanto suggestiva esplorazione di Ravenna in epoca antica.

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