Nel cielo violetto della sera

La Ravenna di Giorgio Bassani (1972)

Falce contro revolver…
vince revolver

Giorgio Bassani

Giorgio Bassani, il grande scrittore d’origine bolognese, ma ferrarese d’elezione, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, ci ha onorato con più di una visita. Lo racconta in Ravenna (1972).1 La prima volta avrà avuto cinque, sei anni, quindi subito dopo la Grande Guerra. Il padre, smessi da poco gli abiti da ufficiale, sempre «pronto ad apprezzare il lato sportivo» – anche in politica – delle cose, «aveva […] avuto l’idea di una “automobilata”» a Ravenna, in occasione di una manifestazione aerea in onore di Francesco Baracca, che colà si teneva. Molti «particolari» di quella gita affollano la mente del rimembrante Bassani: i tanti “cloni” di Baracca, «aviatori dagli occhi violenti, quasi tutti bruni e con baffetti» (à la Baracca, appunto), incontrati all’aeroporto militare di Ravenna. Ma un episodio, in particolare, lo scrittore ricorda «con speciale vivezza». Bassani ha lasciato la città alle sue spalle. Il sole sta tramontando, e, «superati gli argini del Reno»,2 si è prossimi ad Argenta. Quand’ecco, da un gruppo di «giovani braccianti agricoli» «si leva un grido: “Pescicani!”».3 E un «braccio nerboruto, cotto dal sole, agita minacciosamente una falce. Ricurva, scintillante, la lama si erge alta sopra le teste: come una bandiera». Il giovane Giorgio vede in un attimo la «delicata mano del papà» estrarre dal cruscotto «nientemeno!» che un revolver, ma subito riporlo. È l’illuminazione. Da quel «preciso istante» Bassani comprende il motivo dell’odio dei «bolscevìchi» braccianti romagnoli nei loro confronti: la Fiat tipo Due su cui viaggiava col padre. «A lasciarli fare, i bolscevìchi sarebbero anche capaci di portarcela via la nostra bella macchina». Ma non ce la faranno! A difendere il sacro diritto alla proprietà privata accorrerebbero «gli assi di guerra» dell’aeroporto di Ravenna. E, in ogni caso, «che cosa potrebbe mai combinare una falce, al peggio, contro un revolver vero, un revolver che spara?». Ricordate Indiana Jones, gli
yankee?
È la solita, vecchia, sporca storia.

La piazza senz’ombra.
Bassani 2: il ritorno

Giorgio Bassani torna dopo qualche anno a onorarci di una sua visita. Adesso ha dieci, undici anni. Deve però superare «una sorta di muro». Non è quello di Berlino, certo, ma è sempre un buon ostacolo: è il Reno. Da lì «comincia la Romagna», il paese “senz’ombra”: «una pianura non meno piatta di quella ferrarese, ma tagliata da stradoni lisci, dritti, interminabili, che conducono a Ravenna, e poi al mare».
È storia nota: da noi si viene sì per visitare per qualche ora i monumenti e i mosaici, ma in realtà è solo un pretesto culturale, perché la vera meta è il mare: come ricorda Bassani, l’Eldorado sono Viserba, Rimini, Riccione, Cattolica, Cesenatico, dove la famiglia dello scrittore aveva già cominciato a trascorrere le estati. E, di nuovo, protagoniste sono le automobili, una mania di casa Bassani, ma anche di quell’Italietta fascista che se le poteva permettere. Cambiare auto è segno del benessere raggiunto: «dopo la Fiat tipo Due», Giorgio rammenta «una O.M., una Ansaldo, una S.P.A. bianca». Unico problema – al solito! – le strade, non ancora asfaltate «prima del ’30». Per cui «il centinaio di chilometri che divide Ferrara dalle spiagge romagnole, ci si metteva, a coprirlo, una intera mattinata».4
E Ravenna? Calmi. Ci arriviamo subito, ma ci vuole, lo ha appena ricordato Bassani, un po’ di tempo. Finalmente si «sbucava nella piazza principale di Ravenna [erano mosche bianche, allora, le auto, poi venne l’era dello smog per tutti e dei giusti divieti di transito] (una città di case piccole, anche più basse di quelle di Ferrara, con vie strette, tutte curve e giravolte), verso mezzogiorno, nel sole a picco del mezzogiorno di luglio». Ancora Ravenna “città senz’ombra”: Bassani conferma Henry James.
In ogni “deserto” occorre rifugiarsi in un’oasi di frescura: ed è quello che fa la famiglia Bassani, «dopo aver parcheggiato la macchina all’ombra» (un po’ ce ne sarà stata, dopotutto), entrando in «un caffè affollato d’uomini grossi, dai visi abbronzati e dai vellutati occhi neri» (l’albergo caffè ristorante Roma o il caffè Commercio, poi Grand’Italia?), alla ricerca di una «mezz’ora di riposo».

Olimpiadi ravennati.
Bassani e la “sportività” fascista

Giorgio ci presenta i desiderata dell’“allargata” famiglia Bassani: «il papà e la mamma un espresso, il meccanico Dino un sandwich [raffinato ed esterofilo il ragazzo!] di mortadella [ah, mi sembrava] e un bicchiere di Albana [ora ci siamo], e noi ragazzi un gelato che, per paura del tifo [oggi, invece, di raffinate sofisticazioni industriali: che meraviglia, il progresso], non poteva mai essere che di limone». Caffè – ora popolato dai piazzaioli (in altri tempi si diceva «fighetti/e di piazza») – allora da assai più inquietanti «squadristi». Ecco spiegate le «voci stentoree», le «esclamazioni perentorie» che Giorgio sentiva risuonare. Suo padre, che stava per allontanarsi definitivamente dalle sirene del Fascismo, «li guardava con un’espressione curiosa, mista d’orgoglio ammirato e di ripugnanza».

Gianni Cagnoni (col papillon), tra alcubni fascisti ravennati della prim’ora. Al centro, Dino Grandi, che nel luglio del 1922, con italo Balbo, alla guida di alcune migliaia di fascisti, occupò la città, quasi una prova della marcia su Roma. Seduto, all’estrema sinistra, un giovanissimo Enrico Galassi

Veniamo a conoscenza delle performances straordinarie degli squadristi ravennati (niente a che vedere «i nostri di Ferrara» «in confronto a questi qui», dice sottovoce il padre, prudente, a sua moglie): nel “tiro a segno” al «giovane socialista» eccelleva «il console Braga», che ne centrò in pieno uno che, nel ’20 o nel ’19, aveva lanciato proprio in quel caffè una bomba a mano, uccidendo alcune persone. Ebbene Braga, pur ferito, «da terra, sicuro, coricato pancia a terra, aveva preso la mira con tutta calma, e, pam!, aveva sparato», trapassandogli il cranio.
Ancora nel tiro, questa volta al lampione, i fascisti ravennati non avevano rivali (ne sapevano qualcosa i lumi della stazione di Ravenna o del Lungomare di Cesenatico). Non solo. Nell’automobilismo erano abilissimi… «a marcia indietro».5 In tempi di Olimpiadi prossime venture, c’è di che andarne fieri.

Scrittori in bicicletta. Il “Davide” Bassani
e la sfida all’OM “Golia”

Ravenna, evidentemente, non stanca. Bassani ci fa ancora tappa, nel corso degli anni, durante l’esodo vacanziero, anche se, «dopo il ’30, invece che in piazza» comincia a fare sosta extra mœnia (o “fuori porta”, che però è più da Tg2) a Sant’Apollinare in Classe. La penna del grande scrittore riesce a trasfigurare quello che a noi sembra il solito paesaggio piatto: «Si usciva dalla Porta Cesarea in un paesaggio bruscamente diverso da quello, d’un verde torrido, attraverso il quale avevamo viaggiato fino a poco prima: un paesaggio immenso, percorso da brezze che sapevano già di sale, e delimitato, da una parte, dalla riga nera ininterrotta delle foreste di Classe e di Cervia, e, dall’altra, dai velari azzurri delle colline di Bertinoro, di Verucchio, e di San Marino». Ecco perché noi Salieri non saremo mai dei Mozart.
Giorgio è ormai grandicello: non si accomoda nell’automobile tra i bagagli, ma rivendica una sua autonomia: va al mare in bicicletta. Ora ci sembra folle – a noi pantofolai dell’automobile, capaci di schiantarci contro i pali a velocità pazzesche spaparazzati sulla poltrona della nostra scatoletta metallica – ma fino a pochi decenni fa, il nostro, assieme all’Olanda e alla Cina, era il paese delle due ruote (lo è ancora per i miei amici Mario e Pietro). Giorgio e il fratello, novelli Coppi e Bartali, o meglio Binda e Girardengo, partivano «alle prime luci dell’alba» (un po’ fantozzianamente, se mi posso permettere) «con almeno tre ore di anticipo sulla grossa soffocante berlina O.M., sopra la quale […] era imbarcato il resto della famiglia». L’eterna sfida tra Davide e Golia: chi sarebbe arrivato prima a Sant’Apollinare? Le «gambe e il fiato» o l’«O.M. ancora nuova nuova»?
Quelle (poche?) volte che i Davide vincevano, la ricompensa era «il refrigerio dell’interno, la luce tra verde e celeste, quasi subacquea, che lo pervadeva», un dolce anticipo di ciò che avrebbero trovato «in riva al mare».

Fratelli di sangue. Bassani
e l’inspiegabile solidarietà ravennate

Che Ravenna fosse doppia lo sapevamo. Su ciò ci aveva già illuminati Marguerite Yourcenar. Ma Bassani, col passare del tempo e delle visite in città, scopre che è anche tripla, quadrupla. E anche di più: «Sempre mi ha colpito, in Ravenna, l’intensità drammatica dei contrasti, la possibilità di coesistenza, nell’ambito d’un solo agglomerato urbano, di cose, di persone, di sentimenti, così radicalmente diversi». Coincidentia oppositorum.
Nel corso degli anni Bassani si lega d’amicizia, durante le vacanze trascorse a Cesenatico, con «molte famiglie di Ravenna»;6 in particolare i «Cagnoni-Bitti» e i «Baldelli». I primi «cattolici praticanti (e militanti)», i secondi «anarchici mangiapreti» (i ravennati comunisti, invece, è noto, mangiavano i bambini). «Moderatamente antifascisti», i Cagnoni-Bitti, «violentemente», i Bandelli. Che cosa li poteva portare, si chiede Bassani, a frequentare la stessa spiaggia e a far parte dello «stesso giro di ragazzi e ragazze» «se non la comune città di provenienza?». Le radici, insomma. Un legame indissolubile (e inspiegabile) teneva uniti i Montecchi e i Capuleti ravennati.
Quando a Nullo e Libero (siamo sempre stati imbattibili, noi romagnoli, nell’adamitica operazione di dare i nomi a cose e persone) scappavano «atroci, elaborate bestemmie», gli amici-nemici “sette fratelli” Cagnoni-Bitti – «maschi e femmine» non cambiava nulla – non si scandalizzavano affatto. Giorgio sì, fratello Ernesto compreso.
Un sostrato comune, a prova di fedi politiche e religiose differenti, univa le due famiglie: «Il lampo iracondo che accendeva ad ogni occasione gli occhi bruni, vellutati, febbrili, di Nullo e di Libero, era evidentemente della stessa qualità di quello che traluceva in fondo agli occhi dei cinque maschi di casa».7 Cagnoni-Bitti.

Fratelli di “sangue romagnolo”.
Uno sguardo dal mare. Bassani e la malinconia, non solo ravennate

Bassani sceglie come luna di miele, in piena guerra, nell’agosto del 1943, le spiagge ravennati. Nonostante bombardamenti alleati e orde di carri armati tedeschi che «calavano da nord», lo scrittore vuol far conoscere alla moglie Vittoria (pseudonimo augurale di Valeria Sinigallia) quei luoghi. È stato lui a sceglierli, volutamente, fra le tante mete possibili. Nell’assoluta precarietà dei tempi. Anzi, proprio per quello: «Desideravo mostrarli a Vittoria, che li conosceva poco e male. Il futuro era così incerto! Bisognava che glieli facessi vedere adesso, subito». Prima che fosse troppo tardi.
La sera, ospiti di un «macellaio socialista», Bassani è impegnato in «lunghe, noiose discussioni politiche». Ma il giorno sono «sempre per mare. Su, giù, avanti, indietro: con una batàna, presa a nolo per poche lire»,8 fino a Cesenatico o a Comacchio. Dal mare «gli occhi [sono] sempre rivolti» alla terra bassa che si scorge in lontananza, «alle foreste di pini che si levavano come bruni spalti dietro il bianco profilo ondulato delle dune». «Attraverso il varco del porto-canale», poi, «ci era dato risalire con lo sguardo su su, fino a Ravenna-città: fino a scorgere i tetti bassi delle sue case, le tozze torri campanarie [l’“orizzontalità” di Ravenna, fin nei suoi campanili] e le larghe cupole delle sue chiese».
E un altro quadro indimenticabile ci offre la penna dello scrittore: «Nel cielo violetto della sera (tramontato alle spalle delle selve litoranee, il sole infilava fra gli scabri tronchi secolari spade d’una luce verde, dolcissima), piccoli, argentei aeroplani da caccia facevano evoluzioni di prova […] il loro rombo lacerante, quando sfrecciavano sulle nostre teste accostate, ci riempiva di un’allegria infantile […]». Allegria seguìta però subito, nell’animo dello scrittore, da una «segreta tristezza, tutta intrisa d’addio».9
Malinconia di un’ora, tædium vitæ che ci coglie tutti. A Ravenna, come in ogni angolo del mondo.

 

Note

1. Giorgio Bassani, Ravenna, in Id., Romanzo di Ferrara, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1974, pp. 765-771.
2. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 765
3. Ibid., pp. 765-766.
4. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 766.
5. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 767.
6. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 768.
7. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 769.
8. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 770.
9. Questa e tutte le citazioni precdenti sono tratte da ibid., p. 771.

 

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