Simone e le “grazie” di Ravenna (1937)

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Simone Weil, in una foto degli anni Venti

Simone Weil, lucidissima mente, in un corpo minuto e fragile, del secolo scorso, giunge a Ravenna nella primavera del 1937. Le sue impressioni sono scritte ad un anonimo studente.1 Simone, a Bologna, non «resiste» ai treni diretti a Ferrara e Ravenna, «due bellissime città». Ma mentre Ferrara è liquidata in due battute, «vi ricordate il palazzo dei Diamanti?», a Ravenna Simone dedica poche, ma profondissime righe. È giorno di mercato e Ravenna offre il meglio di sé: una «bellissima umanità», soprattutto «giovani contadini». Simone avverte una «sovrabbondanza di grazia» quando la «Provvidenza» pone degli «individui belli» in mezzo alle «cose belle». In questi paesi, secondo Simone, si incontrano tutti i giorni, tra i «popolani», una «nobiltà e una semplicità di portamento e di atteggiamento che costringono a meravigliarsi».

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Vittorio Guaccimanni, Contadinella

Questa «sovrabbondanza di grazia» si nota anche negli «incantevoli frutteti» che precedono la città, tanto che a Simone fanno venire in mente i «deliziosi versi» di Orazio: «Me non tamen patiens Lacedæmon, / Non tamen Larissæ percussit campus opimæ, / Quam domus Albuneæ resonantis / Ac præceps Anio et Tiburni lucus et uda/ Mobilus pomaria rivis»2 [«Me non tanto la dura / Sparta attirò né la pingue pianura di Larisa, / quanto la grotta di Albunea risonante / e il precipite Aniene e il bosco di Tiburno / e i pomari irrigui di vivaci ruscelli»3].

Simone non ci parla di mosaici e di grandi edifici paleocristiani. A Ravenna è colpita dalla gente comune, dal popolo e da quello più bersagliato dagli stereotipi degli ospiti più snob: i contadini. Simone no, Sim

one non guarda attraverso gli occhiali deformanti del visitatore prevenuto e riesce a scorgere quelle “grazie” che altri scambiano per rudezza. Perché Simone, vera viaggiatrice e non turista, ce lo confida parlando di Firenze, non «visita le città, ma le lascia entrare dentro di sé per osmosi».4

 

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Giovanni Battista Piranesi, Altra Veduta del Tempio della Sibilla in Tivoli,in Vedute di Roma

 

NOTE:
1.    Simone Weil, Cinque lettere a uno studente e una lettera a Bernanos, in “Nuovi argomenti”, n. 2, maggio-giugno 1953, pp. 80-109: 85-86. La traduzione italiana dei brani è dell’amico Marco Vitale. Riporto qui il testo originale: «De Bologne, je n’ai pas résisté aux trains qui s’offraient vers Ferrare et Ravenne. Deux bien belles villes. Vous souvient-il du Palais des Diamanti? A Ravenne c’était jour de marché – une bien belle humanité, aussi, notamment en fait de jeunes paysans. C’est une surabondance de grâces, quand la Providence met de beaux être parmi de belles choses. On rencontre tous les jours dans ce pays, chez certains hommes du peuple, une noblesse et une simplicité d’allure et d’attitude qui forcent l’admiration.
Savez-vous, par hasard, où étaient l’Anio et le Tibur d’Horace? Je me le demande tout le temps depuis que j’ai été à Ravenne, parce que les charmants vergers qui la précèdent m’ont rappelé les vers délicieux […]».
2.    Orazio, Odi, I, 7, 10-14.
3.    Trad. it. di Luca Canali, in Orazio, Odi, Epodi, A cura di Luca Canali, Note di Maria Pellegrini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2004, p. 23. Orazio si riferisce alla zona sacra di Tivoli, di cui restano oggi le vestigia del tempio a tholos di Vesta, spesso raffigurato nelle incisioni e nei dipinti del rovinismo sette-ottocentesco.
4.     «[…] moi je ne visite pas les villes, je les laisse rentrer en moi par osmose», S. Weil, Cinque lettere a uno studente e una lettera a Bernanos, cit., p. 86.

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