Cesena sorta nel reticolo della centuriazione romana

Le antiche origini della città sviluppata fra i colli, le sponde del Savio e il decumano della via Emilia

Testi e foto di Pietro Barberini

Un triangolo verde, una pianura fitta di querce, pioppi e ontani, compresa fra il mare a levante, il degradare delle colline a sud e il serpeggiante nastro argenteo del fiume Savio.

Un grosso triangolo isoscele rovesciato con la base formata dal mare e su un lato la via Emilia tracciata a partire dal 189 a.C., a congiungere Rimini con Cesena.
Una strada militare che portava verso le Gallie seguendo il pedemonte appenninico, dove una volta correva una pista battuta dalle tribù celtiche, fino a Piacenza.
Il territorio era già stato oggetto di un’ importante operazione di trasformazione, regimazione delle acque e appoderamento. Un’imponente opera nota come “centuriazione romana”. Si trattava di un sistema drenante che suddivideva il terreno in tante “quadre” di circa 700 metri di lato per una superficie di meno di 50 ettari.
La centuriazione cesenate è stata impostata fra il 235 e 220 a.C. e orientata “ad caelum”, cioè da oriente ad occidente i decumani e da nord a sud i cardi.
La via Emilia diventa decumanus maximus dopo il 187 a.C. quando le terre cesenati sono già state assegnate ai soldati romani che hanno combattuto per la Repubblica e ormai trasformati in coloni, in quella campagna che ancor oggi ricalca il  reticolo originario, con incroci ad angolo retto ogni settecento metri.
Il terreno è stato spianato e i campi si stendono ai piedi dei colli Spaziano e Garampo che sembrano sorvegliare dall’alto un disegno ormai consegnato alla geografia romagnola.
Sul fianco occidentale del Colle Garampo,  il Savio scende a lambirne il pendio e allarga la sua conoide verso la pianura.
Qui sorge Cesena, in latino “Curva Caesena o Caesenna”.   Il villaggio nasce fra il VI-V secolo a.C. abitato da popolazioni umbre che trovano nel luogo ampia disponibilità di acqua: non c’è solo il Savio ma anche il torrente Cesuola, le cui tracce sono ancora presenti nel tessuto urbano cittadino e il cui nome  suggerisce  l’origine del toponimo. Dopo la conquista di Rimini, Ariminum, nel 268 a.C., Cesena diventa insediamento romano.
Quando sarà tracciata la grande strada consolare, il luogo, già privilegiato e fortificato dalla natura stessa, diviene presidio strategico a guardia della vallata del Savio, che acquisisce crescente importanza nei transiti e commerci con l’Italia centrale e,  dalla metà del  I sec. d.C.,  verso il grande porto di Augusto a Ravenna.
Cesena viene ricordata da Plinio il Vecchio per la produzione di vino e non è escluso che le anfore vinarie imbarcate al vicino porto di Classe, provenissero dalle colline fra il Savio e il Rubicone.
Sotto il colle Garampo si sviluppa un centro abitato che cresce d’importanza, un territorio collegato a  Ravenna anche dopo la fine dell’Impero Romano.
Alla città bizantina,  Cesena resterà unita fin verso la fine dell’VIII secolo quando cadrà l’Esarcato e anche dopo, con i poteri dell’Arcivescovo di Ravenna,  le sorti di Cesena non ne saranno disgiunte.
Dopo le invasioni di Longobardi e Franchi, Cesena è il primo territorio appenninico in mano all’Archiepiscopus di Ravenna, che consolida una sorta di testa di ponte verso l’Italia centrale. Dall’anno Mille al Trecento, Cesena passa attraverso le esperienze comunali e le varie lotte e guerre locali, che intervallano il passare del tempo, con effetti quasi sempre negativi nei confronti di un’economia estremamente povera, poiché i mercati sono locali e le vie di traffico, ormai abbandonate, sono precarie e controllate da Signori rozzi e violenti, che esercitano duramente i diritti di passaggio.

«E quella cu’ Savio bagna il fianco, così com’ella sie’ tra ‘l piano e ‘l monte tra tirannia si vive e stato franco.»

Inferno, Canto XXVII vv.52-54

Dante Alighieri è cronista straordinario dell’inizio del XIV secolo, quando Cesena sembra poter uscire da un tribolato periodo di lotte e scaramucce che ne impediscono l’affermazione anche sul piano politico. Sul finire del Quattrocento inizia però a sentirsi un’impronta rinascimentale grazie alla famiglia Malatesta che ne vive e indirizza lo sviluppo. Nel 1500 Cesare Borgia, il “Valentino”, la incorona come capitale del Ducato di Romagna.
Un paio di anni dopo arriva in città Leonardo da Vinci, impegnato nella progettazione del porto canale di Cesenatico, ma non disdegna di occuparsi della cinta muraria di Cesena, disegnandone alcuni particolari e la parte che si estende verso il mare.  Con i Malatesta Cesena ha già acquistato una dimensione “rinascimentale” alla quale ha contribuito in maniera determinante la Fondazione della Biblioteca Malatestiana, gioiello architettonico e contenitore culturale e bibliografico d’ incommensurabile valore. La Biblioteca viene costruita tra il 1452 e il 1454, a fianco dei chiostri francescani, da Matteo Nuti, architetto fanese, che aveva affiancato il grande Leon Battista Alberti nell’opera del Tempio malatestiano di Rimini.
Nasce così, grazie a Novello Malatesta la prima biblioteca civica d’Italia, cioè di proprietà dell’Amministrazione Comunale, la cui custodia fu affidata ai frati francescani. È stata inserita, inoltre, dall’Unesco, nel Registro della Memoria del Mondo.  La grande sala di forma basilicale contiene 58 banchi suddivisi nelle due navate laterali, quella centrale funge da corridoio. Il soffitto, come era in uso nel tempo per ambienti dedicati alla lettura, sono dipinti di una rilassante e particolare tonalità di verde.
Di fronte all’attuale ingresso della Biblioteca Malatestiana, si trova il Palazzo del Podestà, meglio conosciuto come Palazzo del Capitano completato nella seconda metà del Quattrocento. Con la sua torre è testimone dell’età comunale e delle funzioni civiche, assolte fino agli inizi del Settecento quando il Gran Consiglio fu trasferito nell’attuale sede  comunale in Piazza del Popolo, Palazzo Albornoz.
Nel Cinquecento, sempre grazie ai Malatesta, visse un periodo d’oro anche l’Abbazia benedettina di Santa Maria del Monte, costruita sul colle Spaziano (135 metri) di fronte all’Adriatico, oggetto di successivi restauri a seguito di diversi eventi rovinosi tra cui un devastante terremoto nel 1768 e i bombardamenti della seconda guerra mondiale.  L’interno a una navata, presenta quattro cappelle per lato e vanta una ricca e importante collezione di ex voto che rappresentano i miracoli con i quali la Vergine del Monte proteggeva Cesena e i cesenati. La statua della Madonna che proveniva dalla piccola chiesa di Montereale, è stata portata presso l’Abbazia nel 1318.
Al culmine del periodo caldo, nel giorno di Ferragosto, si tiene la festa più amata e sentita: la celebrazione dell’Assunta con grande  partecipazione di fedeli e l’arrivo di numerosi pellegrini.
Siamo a metà dell’estate che è iniziata con le grandi celebrazioni del 24 giugno, in occasione della festa patronale: la fiera di San Giovanni, antichissima ricorrenza liturgica ma anche civile, con un grande mercato che dai tempi antichi continua anche oggi.
Attraverso il tempo la visione della Madonna del Monte accoglie chi entra in città da Rimini o saluta chi viaggia verso sud, come i passeggeri di un famoso treno che da Parigi portava a Brindisi e oltre. Il convoglio era da poco ripartito al traino di una sbuffante ma poderosa locomotiva che aveva sostato più a lungo del necessario, perché i macchinisti a Cesena scendevano ad ungere le bielle che muovevano le ruote: il ristoratore Casali, che aveva “inventato” il cestino da viaggio, doveva pur fare assaggiare ai viaggiatori le prelibatezze della cucina cesenate, così dava una lauta mancia ai macchinisti che si attardavano a “ungere le ruote”!

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