Il forziere “accessibile” dell’Archivio di Stato

Nei magazzini dell’antica Abbazia di San Vitale gli spazi che dal 2007 custodiscono la memoria storica e civile del territorio ravennate

I luoghi, i palazzi, le strade raccontano la storia e spesso intrecciano, con singolari coincidenze, esperienze di studi e di vita. Manuela Mantani, frequenta il liceo classico “Dante Alighieri” di Ravenna per poi iscriversi alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, dove si laurea brillantemente in storia moderna con il professore Fiorenzo Landi.
La tesi riguarda i possedimenti del Monastero di San Vitale, l’Azienda “Fenili Rotonda”, la più vicina alla città che si spinge ben oltre il Mausoleo di Teodorico. La ricerca elenca i beni, le abitazioni di casanti e mezzadri con i conti economici e le annotazioni relative alle annate agrarie.
Acquisita la laurea, gli interessi di Manuela Mantani, sollecitati anche dalla sua tesi, si orientano allo studio e conservazione di quei documenti che appaiono agli occhi della giovane ricercatrice, materia viva e stimolante. Accade così che viene assunta all’Archivio di Stato all’inizio del 1980 e mentre lavora su schede e regesti, ottiene il diploma biennale di archivistica a Modena, sospinta anche dagli studi universitari in paleografia.
Nel 1986 dirige l’Archivio di Stato di Ravenna nell’edificio in via Guaccimanni, zeppo di atti, documenti antichi e degli importanti archivi delle Abbazie ravennati.
Ben presto,  lo spazio già angusto diventa insufficiente.
Nell’ala ovest del complesso abbaziale di San Vitale, trasformato nel 1887 in caserma, dove erano gli antichi depositi granari dei “pignoli”, saranno conservati i documenti dell’Archivio di Stato. Una struttura in acciaio è stata inserita per contenere le scaffalature e rendere razionale la loro dislocazione. Dopo una lunga opera di ristrutturazione dell’edificio, che dalla soppressione napoleonica in poi ha avuto varie destinazioni (caserma militare nel 1887, nel secondo dopoguerra ricovero per gli sfollati e successivamente magazzino della Polizia Municipale di Ravenna), nel 2007 l’Archivio di Stato viene trasferito in quell’ala del monastero addossata alle mura occidentali della città. Vi si accede da un elegante portone, dal quale sembra ancora sentir passare i carri rumorosi.
Manuela Mantani ritrova così il luogo fisico della sua tesi universitaria sull’azienda monastica “Fenili Rotonda”: quel complesso di edifici, ricoveri per le carrozze, depositi dei marmi grossi e dei marmi fini, con le stalle delle bestie da soma, addette al pistrino. L’intero complesso si sviluppa intorno a tre chiostri, due dei quali risalenti ad epoca rinascimentale e il terzo completato nel Settecento, secolo nel quale vengono effettuati altri interventi  come risulta  dalla planimetria del 1798 redatta da Benedetto Fiandrini, architetto e archivista. Il corpo di fabbrica, infatti era su quattro piani che accoglievano al piano terra una rimessa per carrozze, locali per la servitù, una selleria e scuderie per i cavalli e ai tre piani superiori locali adibiti a “granai per i pignoli”.
Benedetto Fiandrini fu artefice degli ultimi interventi alla “cittadella” abbaziale che occupava il lato nord occidentale all’interno delle mura della città. La soppressione degli ordini religiosi avvenuta alla fine del Settecento a seguito delle leggi napoleoniche, comporta per l’intero complesso benedettino di San Vitale diverse destinazioni d’uso, così nella parte occidentale, si insedia, come detto,  l’Autorità Militare. Il luogo è conosciuto da tutti i ravennati, infatti, come “Caserma Gorizia”.
Dopo i lavori di restauro “l’Archivio” si trasferisce nella nuova sede che verrà inaugurata un anno dopo la sua apertura, nel 2008. L’Archivio di Stato, che si affaccia su piazzetta dell’Esarcato e offre scorci su alcune strade cittadine e le mura storiche, non concede nulla al superfluo, ma rappresenta una funzione:  la conservazione della memoria storica del territorio. Con il deposito di via Garigliano, sono nove i chilometri lineari di documenti, atti e carte: in testa una pergamena del X secolo firmata dall’Imperatore Ottone III con la quale veniva concesso ai monaci benedettini di costruire degli edifici ad uso abbaziale attorno a San Vitale. La memoria non poteva non tornare qui!

Archivio di Stato di Ravenna, le vicende

di Manuela Mantani,
direttore Archivio di Stato di Ravenna*

«Della necessità dell’istituzione a Ravenna di un Archivio di Stato scrive già nel 1900 Corrado Ricci auspicando “per un istituto d’eccezionale importanza storica e di decoro a Ravenna” l’utilizzo dei locali delle vecchie carceri, adiacenti alla sede della Prefettura, già Palazzo del cardinale Legato. Dovranno invece trascorrere diversi decenni prima che, con decreto del ministro dell’interno del 15 maggio 1941, fosse istituita “a partire dal 1° luglio 1941 nella città di Ravenna la Sezione di Archivio di Stato per la conservazione degli atti delle magistrature giudiziarie e delle amministrazioni statali della Provincia, nonché gli atti delle magistrature, amministrazioni ed enti morali diversi cessati”.
L’istituzione dava attuazione alla legge 22 dicembre 1939, N. 2006, “Nuovo ordinamento degli Archivi del Regno d’Italia”, che prevedeva la creazione di Archivi di Stato in ogni capoluogo di provincia. Lo scopo istitutivo era quello di dotare ogni città capoluogo di un organo periferico preposto alla conservazione e alla libera funzione degli archivi governativi degli antichi regimi, costituiti dalla produzione documentaria delle magistrature operanti sul territorio a partire dal Medioevo.
A Ravenna i fondi archivistici di pertinenza statale, come gli archivi della Legazione di Romagna e di Ravenna, le Corporazioni religiose soppresse e parte degli archivi giudiziari, si erano andati concentrando presso la Biblioteca Classense ed è anche per questo motivo che la Sezione di Archivio di Stato ebbe come prima sede alcuni locali del complesso Classense. Fu subito evidente la necessità di acquisire una sede autonoma che permettesse di accogliere gli importanti fondi notarili e altri archivi statali, come quello della Prefettura, della Questura e degli uffici finanziari, ancora conservati presso i rispettivi uffici produttori. Lo stato di guerra consigliò di differire il cambiamento di sede e il materiale archivistico statale venne sfollato insieme a quello della biblioteca sotto la sorveglianza e la responsabilità del personale della Classense e a spese del Comune. Terminato il conflitto mondiale, furono avviati i lavori di ripristino dai danni di guerra della sede, già individuata, nella parte dell’edificio dell’antico convento dei Francescani adiacente alla tomba di Dante, dove l’Istituto si trasferì nel 1956.
Per la Sezione di Archivio di Stato di Ravenna l’accresciuta disponibilità di spazi portò all’acquisizione di rilevanti complessi documentari e, in primo luogo degli atti anteriori al 1800 conservati dall’Archivio notarile. Aspetto negativo fu invece il ritiro del deposito dell’archivio storico comunale che causò la fine dell’unità documentaria degli archivi pubblici ravennati sui quali avevano lavorato, lasciando strumenti di ricerca tuttora preziosi, archivisti e bibliotecari come Silvio Bernicoli, Michele Tarlazzi, Andrea Zoli e Santi Muratori.
A seguito del Dpr 30 settembre 1963, n.1409,  che istituiva un Archivio di Stato in ogni capoluogo di provincia, l’Istituto cambiò la denominazione in Archivio di Stato di Ravenna.
Ben presto i locali della sede nella zona dantesca si rivelarono insufficienti ad accogliere ulteriori accrescimenti, come quelli provenienti dai versamenti da parte degli uffici statali della provincia. Nel 1966 pertanto l’Archivio si trasferì in un edificio di proprietà privata in via Guaccimanni, dove, grazie a più ampi spazi, fu possibile raccogliere e riunire un considerevole numero di archivi, anche di enti pubblici e privati della città e della provincia e dove l’Istituto rimase per quarant’ anni, anche se già dall’inizio degli anni ottanta fu evidente l’esigenza di predisporre una nuova sede».

*Testo tratto dalla pubblicazione in occasione dell’inaugurazione della nuova sede dell’Archivio di Stato,
Ravenna, 14 novembre 2008

 

«Locali che sembrano interminabili, con scaffalature metalliche o ancora lignee, anche su più ordini e con materiale che straripa un po’ dappertutto; pezzi con legature antiche e altri colocati in moderni contenitori; pezzi che recano a prima vista tutti i segni del tempo e altri che sono appena usciti da un laboratorio di restauro; pezzi che hanno indicazioni risalenti fa secoli a, talvolta criptiche, talatra sbiadite, o che sono di mano moderna e ben leggibili; diciture abbastanza comprensibili o pressochè oscure; date risalenti a secoli lontani o a periodi a noi vicini».

Isabella Zanni Rosiello

Dal 1973 al 1994 è stata direttrice diell’Archivio di Stato di Bologna e della Scuola di archivistica, paleografica e diplomatica annessa

L’ingente patrimonio dell’ASRa

Quando si citano le fonti, anche in questa rivista, abbreviamo in ASRa la parola Archivio di Stato di Ravenna. Gli Archivi di Stato, istituiti presso ogni capoluogo di provincia, conservano gli atti degli organi periferici dello Stato italiano precedenti gli ultimi quarant’anni. Sono conservati tutti i documenti del periodo antecedente lo Stato unitario, comprendente una gran messe di livelli, rogiti e atti.
La complessità della storia di Ravenna ha fatto affluire un ingente patrimonio storico, capace di raccontare vicende politiche, demografiche, economiche e culturali di una realtà ben più vasta di quella provinciale.
Dopo la dominazione veneziana che si conclude nel 1509, Ravenna torna sotto lo Stato della Chiesa e ben presto è a capo della Legazione pontificia della Romagna che si estende da Rimini a Imola, escludendo il solo territorio della cosiddetta Romagna estense: i Comuni del lughese.
Il territorio della Legazione, inteso come giurisdizione e i relativi atti vengono interrotti dall’avvento delle repubbliche napoleoniche, che creano nuove unità politico-amministrative. Con il Congresso di Vienna viene ripristinato lo status quo ante, ma molte realtà territoriali, e i relativi archivi, sono ormai cambiate per funzioni e dimensioni.
Ancor prima dello Stato unitario, proclamato nel 1861, si costituisce a Ravenna l’Ufficio del Genio Civile il cui materiale documentario è raccolto in circa 4.500 buste e registri dal 1860 al 1972, oltre ai precedenti 400 registri e buste dell’ingegnere in capo d’acque e strade del Dipartimento del Rubicone e dell’ingegnere della Legazione apostolica di Ravenna.
Un corpus di mappe, carte, progetti, disegni e fotografie che illustrano con grande precisione l’imponente mole di lavori svolti nel territorio. Le grandi opere pubbliche, come la Cassa di Colmata del fiume Lamone avviata dall’Amministrazione pontificia, sono documentate non solo da una minuziosa raccolta di disegni, ma anche da progetti  infrastrutturali. Grandi opere civili e di regimazione idraulica rafforzano il territorio ravennate che viene trasformato da un lungo lavoro le cui linee guida, i piani dei conti, l’elenco dei materiali, il numero delle maestranze, le ore lavorate, sono conservate nei depositi dell’Archivio di Stato.
Da quel complesso di atti civili, concessioni di terreni, passaggi di proprietà e permessi di costruzione, è possibile avere conoscenza dell’evoluzione territoriale nei suoi rapporti economici e sociali. La documentazione catastale affonda le radici nella storia, passando da un potere politico all’altro e giunge ai giorni nostri permettendo di ritrovare diritti acquisiti, vecchie destinazioni d’uso utili anche al giorno d’oggi.
Gli Archivi di Stato conservano, inoltre, la documentazione archivistica degli enti ecclesiastici e corporazioni religiose che, a seguito di soppressione, ebbero i beni confiscati dallo Stato.
Per l’Archivio di Stato di Ravenna, questo fondo è di notevole importanza, poiché è ricco di un patrimonio straordinario, tra i più antichi conservati. E’ curioso annotare che la sede dell’Archivio di Stato si trova da dieci anni nell’area abbaziale di San Vitale. Il Monastero benedettino, le cui vicende hanno segnato la storia della città, riesce a conservare se stesso.

Il deposito: a temperatura controllata e protetti dalla luce vengono conservati oltre mille anni di memoria storica

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