Un manifesto per l’arianesimo

Il regno di Teodorico e la “diversa” natura di Cristo nei mosaici degli edifici sacri ravennati

All’interno della cinta muraria, affianco alle architetture sacre adibite al culto ortodosso, Teodorico fece costruire altri edifici dedicati al culto ariano in un clima di tolleranza e pacifica convivenza fra le due diverse dottrine che durò fino al 518, quando l’imperatore Giustino si riconciliò con la religione ortodossa romana. Da quel momento si manifestarono i conflitti verso i barbari e cessò quel rapporto benevolo che aveva caratterizzato il regno del re goto.
L’arianesimo, eresia che ebbe grande seguito presso i popoli barbari e che prende il nome da Ario, prete di Alessandria, non riconosce l’uguaglianza fra il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, ma stabilisce nella Trinità una sorta di scala gerarchica.
I maggiori rappresentanti di tale dottrina sono Ulfila (311-383), Eunomio, e Massimino (360-65 circa), forse goto e vescovo di una comunità ariana dell’Illirico.
La basilica di Sant’Apollinare Nuovo, innalzata da Teodorico a fundamentis in nomine Domini nostri Yhesu Christi, come Cappella Palatina affianco al suo palazzo, è la testimonianza artistica più importante e prestigiosa della fede ariana, manifesto superbo, unico al mondo e non ancora del tutto compreso, di questa dottrina religiosa che considerava Cristo solo nella sua natura umana.
Si tratta di un luogo assolutamente cruciale, di incontro/scontro fra le due diverse dottrine, del principale osservatorio delle stagioni artistiche più significative dell’arte musiva a Ravenna (teodericiana e bizantina)  ed è altresì l’unico monumento in cui è rappresentata la reggia teodoriciana e la città di Ravenna, a fronte della Civitas Classis con il porto, strategico dai tempi di Augusto.
Con la riconquista bizantina e il rescritto di Giustiniano del 561, che assegnava gli edifici sacri ariani alla chiesa cattolica, fece seguito la rapida damnatio memoriae dell’eretico Teodorico e la censura agnelliana alacremente demolì e cancellò tutte le tracce compromettenti legate alla sua memoria  e stabilì la nuova e più consona titolazione della basilica a San Martino, famigerato malleus hereticorum.
La riconciliazione al culto ortodosso comportò infatti la rimozione dalla decorazione musiva di tutti gli elementi palesemente legati all’eresia ariana e alla corte teodericiana e l’inserimento delle due teorie di Martiri e Vergini, contemplati dalla fede cattolica, capeggiate da due campioni e strenui difensori, dell’ortodossia: quella dei Martiri da San Martino di Tours e quella delle Vergini da Sant’Eufemia, sostenitrice della duplice natura, umana e divina, di Cristo.
E’ legittimo pensare che nelle due processioni originarie si trovassero i maggiori rappresentanti della corte che avanzavano verso le figure rigide e auliche della Madonna e di Cristo in trono. A Teodorico piaceva molto quest’arte permeata da un forte spirito ieratico che gli ricordava quanto aveva osservato durante la sua adolescenza trascorsa alla corte di Bisanzio.

Il ciclo cristologico e la sottostante teoria di Santi biancovestiti, vennero interamente risparmiati dalla campagna di epurazione, perché non troppo esplicitamente riconducibili all’arianesimo.

Bisogna comunque abbandonare l’idea che la religione ariana non abbia influenzato la scelta dei temi e la loro disposizione, infatti, come è stato dimostrato in studi estremamente puntuali,1 esiste una precisa relazione fra alcune omelie e dialoghi tenuti da vescovi ariani e i mosaici teodericiani di Ravenna, dato l’inscindibile rapporto fra arte sacra e testi religiosi.
Uno dei principali sostenitori della dottrina ariana fu il vescovo Massimino, protagonista di una famosa disputa sulla Trinità con Sant’Agostino a Ippona, quando nel 427 accompagnò in Africa una spedizione militare gota, voluta dalla corte di Ravenna a cui era molto legato.
Nella  Collatio Augustini cum Maximino arianorum episcopo si evincono dati fondamentali sul credo ariano e sull’importanza degli insegnamenti di Ulfila. Da questa dissertazione scaturiscono i punti che separano fede ariana e fede cattolica: assoluta unicità e trascendenza di Dio Padre, in quanto principio di tutto ciò che esiste. Cristo è una creatura, anche se superiore a tutti gli altri uomini, è il sacerdote che adora il suo Dio, direttamente creato da Dio come primogenito e unigenito.
La funzione dello Spirito Santo è quella di manifestare nelle anime degli uomini la dignità di Cristo: si delinea così una sorta di scala gerarchica nella Trinità, e viene sempre ribadito che Dio è invisibile e non si è mai abbassato al contatto umano. Le 26 scene del ciclo cristologico sono espressamente citate negli scritti di Massimino e in tutte si vuole sottolineare che Cristo è il mezzo attraverso cui si trasmette la potenza di Dio, ma che tutti i miracoli sono da riferirsi al Padre. I personaggi del secondo registro, maestose figure nimbate realizzate da maestranze di grande perizia, esperte nella tradizione classica della statuaria monumentale e nella ritrattistica, generalmente vengono definite apostoli o profeti ma, considerato che l’intero ciclo musivo è ispirato alla dottrina ariana, è più logico ritenere che essi rappresentino i martiri ariani, premiati con la corona appesa sotto il grandioso baldacchino-umbracolo posto alternativamente alle scene cristologiche nel registro soprastante.
Fanno eccezione i quattro personaggi raffigurati fra due martiri negli angoli della basilica che potrebbero rappresentare i quattro personaggi allora più significativi per l’arianesimo: Ario, presbitero di Alessandria, il vescovo goto Ulfila, il vescovo Eusebio di Nicomedia e Origene il più eminente teologo di quei tempi.
Grande è la forza ipnotica di queste figure accuratamente caratterizzate nelle fisionomie che propongono una selezione di tipi umani, evidentemente codificata, che va dal giovane imberbe all’uomo maturo barbato, fino all’anziano con barba e capelli candidi.
Le scene cristologiche sono il più antico esempio di un ciclo di episodi evangelici realizzati sulle pareti di una chiesa: si tratta di una rappresentazione potente e vigorosa e di grande impatto didattico, perché efficacemente sintetica e focalizzata sugli elementi essenziali, grazie all’espressionismo elementare dei gesti e dei movimenti.
L’uomo-tipo è protagonista, paesaggi e architetture sono complementari e ogni connotazione paesaggistica è relegata in secondo piano; i soggetti narrati sono semplificati e resi secondo moduli geometrizzati.

Il  fondo aureo sottolinea l’atemporalità,     la rinuncia a dimensioni spaziali e a rappresentazioni prospettiche.

Nell’osservazione dell’intero apparato decorativo emergono eterogeneità fra i mosaici realizzati nella fase teodericiana e quelli pertinenti alla successiva agnelliana, ma è stata riscontrata una notevole diversità, materica anche nell’ambito delle decorazioni musive originarie: i mosaici della parete Sud sono quasi esclusivamente in pasta vitrea, mentre quelli della parete Nord in materiali misti. La diversa distribuzione dei materiali potrebbe essere stata determinata da motivi contingenti quali la minore disponibilità di smalti e la necessità di sopperire alle carenze con materiale lapideo, ma è anche possibile che dipenda dalla presenza di due squadre di mosaicisti attivi in contemporanea su entrambi i lati; oppure a come la luce esterna potesse interagire con le decorazioni in determinate ore della giornata o periodi dell’anno: i mosaici in pasta vitrea sono sulla parete meno colpita dalla luce e quindi l’impiego di materiale maggiormente riflettente poteva compensare la situazione sfavorevole.
Riguardo invece al diverso modo di costruire il tessuto musivo i registri teodericiani sono realizzati con tessiture serrate e compatte, con tessere dal taglio eterogeneo (eccezion fatta per le parti in oro e in argento, di taglio molto regolare e dimensione modesta) mentre quelli agnelliani con tessiture diradate e tessere di taglio più omogeneo e dimensioni maggiori .
Anche il Battistero degli Ariani, evidente esemplificazione di quello Neoniano a cui si ispira dal punto di vista formale e iconografico, mostra il profondo mutamento stilistico, sintomatico di un ampio processo di rinnovamento che interessa tutte le manifestazioni artistiche: dal naturalismo dei gazebo vegetali, dallo stormire delle fronde arboree, dal cielo azzurro del Battistero Neoniano si passa al fondo oro, eliminando ogni implicazione spaziale della precedente concezione, e superando il ritmico senso di movimento e la colloquialità degli Apostoli in processione, che ora risultano più rigidi e convenzionali.
Il programma iconografico del Battistero Ariano ribadisce la diversa concezione di fede e i «peculiari principi della religione ariana, quali la fisicità e l’umanità di Cristo, subordinato al Padre, unico Dio […] Mentre nel Battistero della Cattedrale Cattolica dodici Apostoli con le corone sulle mani velate acclamano il Cristo del clipeo centrale, proclamato nel battesimo figlio di Dio e perciò riconosciuto come seconda persona della Trinità, nel Battistero degli Ariani gli Apostoli rendono omaggio al grande trono gemmato […] espressione della fisicità di Cristo e della sua sofferenza sulla croce in quanto creatura umana, in coerenza con la religione ariana, e in antitesi al dogma ortodosso che ribadisce la natura umana e divina del Cristo».2
Per quanto riguarda il rivestimento musivo della volta della cupola che consiste in un medaglione centrale con la scena del battesimo di Cristo circondato dalla fascia con i dodici Apostoli che rendono omaggio ad un trono vuoto sovrastato da una croce gemmata da cui pende un panno purpureo, è ancora motivo di dubbio da parte degli studiosi l’esatta datazione dell’opera e la pertinenza al medesimo periodo. Pur risultando evidente l’eterogeneità delle mani che hanno eseguito la composizione, imputabile da alcuni a diversi artisti da altri a momenti successivi, tutti concordano sulla «datazione teodericiana del disco mediano con la scena del battesimo».3 Ed è proprio in questa scena che, in modo velato, appare l’eresia ariana.
Mentre infatti nel battistero cattolico è Giovanni che amministra il battesimo a Cristo, qui «il Battista si limita a porre la mano sul capo del Salvatore mentre dal becco della colomba, che raffigura lo Spirito Santo, esce secondo alcuni l’acqua che asperge il Cristo, mentre secondo altri la luce che testimonia la compiacenza di Dio».4
Quindi in questa scena è lo Spirito Santo che annuncia agli uomini la grandezza del Figlio di Dio, manifestando con evidenza la concezione ariana della Trinità.
Marmi o affreschi?
Dal punto di vista degli apparati decorativi originari si segnalano le importanti testimonianze superstiti degli affreschi delle arcate delle finestre che riproducono marmi pregiati analogamente a quelli del Battistero Neoniano, purtroppo molto abrasi e rimaneggiati nel tempo. Gli affreschi, dopo un delicato intervento di restauro5 mostrano ora l’eccezionale qualità materica e la magistrale imitazione del marmo cipollino rosso (marmor carium), dell’onice egiziano (lapis onyx),e del marmo del Proconneso (marmor proconnesium). Probabilmente il ricorrere a finiture pittoriche era determinato più che da ragioni economiche dalla difficoltà tecnica di adattare lastre marmoree a determinate parti architettoniche. La verosimiglianza della finzione pittorica con gli originali marmorei è tale da ingannare l’osservatore che li fruisce da una certa distanza e denota la sensibilità cromatica e la perizia tecnica degli esecutori: si osservino ad esempio i segmenti che imitano il marmo del Proconneso, tagliato non seguendo la venatura marmorea, per conseguire quel particolare effetto che si può vedere nelle colonne di Sant’Apollinare in Classe.

Tutte le immagini sono tratte da:

Restauri dee monumenti paleocristiani e bizantini di Ravenna Patrimonio dell’Umanità, a cura di A. Rainaldi, P. Novara, Ravenna, 2013;

Sant’Apollinare Nuovo. Un cantiere esemplare, a cura di Cetty Muscolino, Ravenna, 2012.

 

 

Cenni bibliografici:

C. Muscolino, Metodologia della conservazione nei cantieri della Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna: Piazza Ferrari, Rimini; Mosaici pavimentali dal Palazzo di Teodorico e dalla chiesa di San Michele in Africisco a Ravenna; Mosaici parietali della chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, in Actas do Encontro Internacional sobre ciencia e novas tecnologias aplicadas a arquelogia na Villa Romana do Rabacal Penela Terras de Sicò Portugal, pp. 218-233, 2011.
Sant’Apollinare Nuovo. Un cantiere esemplare, a cura di Cetty Muscolino, Federica Cavani, Emanuela Grimaldi, Ravenna, 2012.
E. Penni Iacco, L’arianesimo dei mosaici di Ravenna, Ravenna, 2011.

 

Note:

1. E. Penni Iacco, L’arianesimo dei mosaici di Ravenna, Ravenna, 2011.
2. C. Rizzardi, Ravenna Otto Monumenti Patrimonio dell’Umanità, p.38.
3  P. Iacco, pag.66-67.
4  P. Iacco.
5  Gli affreschi erano in procinto di cadere perché gravemente distaccati a causa delle frequenti infiltrazioni di acque meteoriche dagli infissi sconnessi. L’intervento  di consolidamento e pulitura è stato eseguito nel 2005 dalla Società Etra S.n.C. di Michele Pagani e Maria Lucia Rocchi.

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