Un’impresa lunga come l’Italia unita

Fondata da un reduce della spedizione garibaldina che portò all’unificazione del Paese, il nome Zavaglia accompagna da 156 anni l’edilizia civile e industriale di Ravenna

Come tanti patrioti romagnoli, Agostino Zavaglia lasciò le colline forlivesi per arruolarsi con i “Mille” che stavano liberando l’Italia e,  dall’Aspromonte,  si unì all’esercito garibaldino. Ritornò nel 1861 in Romagna e si fermò nelle Ville Unite a sud di Ravenna: aveva partecipato ad un’impresa di tutto rispetto, per anni sognata e segnata da ideali, lotte sanguinose e al limite della follia.

Con i soldi delle campagne militari “e’Gagì”, così era chiamato Agostino Zavaglia, mise in piedi, a Gambellara, un’impresa di manovali e muratori per costruire abitazioni, stalle e altri manufatti. Avvezzo ai pericoli corsi in battaglia il nostro “garibaldino”  appese le uniformi militari e si dedicò all’arte muratoria. Lo fece con grande impegno e nel 1861 diede vita ad un’attività che continua tuttora dopo 156 anni, come certifica l’attestato della Camera di Commercio di Ravenna.
A Gambellara esiste ancora “e’borg de Gagì”, un gruppo di case probabilmente costruite da lui.
Successivamente è il figlio Marino che porta avanti l’attività edile, coadiuvato dalla moglie Ninetta “famosa” fra i muratori perché era lei che il sabato sera li pagava!

Con il mutare dei tempi, passando dalla Ravenna delle “leggi  Rava” e dei progetti di Corrado Ricci, si arriva alla grande e tumultuosa ricostruzione del secondo dopoguerra. É una sorta di rigenerazione sociale e civile, che ripropone quel clima entusiastico vissuto dal fondatore nel 1861. In quel periodo il titolare dell’impresa è l’ing. Dario Zavaglia, nipote del fondatore “in camicia rossa”:  lungo la Ravegnana poco oltre via Mangagnina, ha la sede operativa nel cortile di casa sua, con il magazzino e le attrezzature stipate un po’ da tutte le parti.
C’è bisogno di ricostruire molte strutture distrutte dai bombardamenti del 1944 e dalle successive azioni militari che hanno interessato tutto il territorio, dal fiume Savio al Senio.
L’impresa Zavaglia accompagna la rinascita edilizia, ma anche morale della città e del forese.  La guerra non ha risparmiato i campanili delle chiese, punti di osservazione privilegiati, che sono stati abbattuti dai tedeschi in ritirata, causando spesso il crollo di intere porzioni degli attigui edifici religiosi.  Le distruzioni belliche davano anche la possibilità di operare pianificazioni urbanistiche, rifacendo stabili, ristrutturando chiese e antichi palazzi, riqualificando l’edificato cittadino nelle funzioni e nello stile.
Come ricorda l’ing. Pietro Zavaglia, attuale titolare dell’impresa, “i lavori eseguiti dalla nostra Ditta, ridanno alla città l’acqua  con la ricostruzione dei tratti danneggiati dell’acquedotto di Torre Pedrera e la vita sociale con  la sistemazione della galleria, della platea e di tutti i passaggi d’accesso del Teatro Alighieri: luogo simbolico di aggregazione, che viene riaperto alla  comunità ravennate”.
C’era poi bisogno di rinnovare il tessuto edilizio per stare al passo con una società più evoluta e pronta ad accogliere l’industrializzazione, che si stava concentrando lungo l’asta del canale Corsini, da Ravenna al mare.
La Ditta Zavaglia è protagonista di quel periodo, concentrando i suoi sforzi su singole costruzioni di notevole impegno stilistico, edifici civili e religiosi, insediamenti industriali ed opere infrastrutturali. Il maggior impegno necessario determina l’affiancamento del geometra Celso Ceroni all’ingegnere Dario Zavaglia. Vengono costruite “ex novo” la bella struttura di San Pier Damiano al centro del quartiere Darsena, la chiesa parrocchiale a Mezzano, poi la Parrocchiale di Ponte Nuovo e quella di San Lorenzo in Cesarea.
Al centro della città viene ristrutturato l’antico edificio religioso di San Michele in Africisco risalente  alla metà del VI sec.: la chiesa, da tempo sconsacrata, è stata trasformata nel “Forno Giorgioni”, che proprio nell’abside, dal quale erano state staccate le decorazioni musive, aveva il centro della sua attività.
Per ampliare la sede della Banca Popolare di Ravenna viene chiamato il brillante architetto bolognese Roberto Evangelisti che sarà autore anche della vicina sede del Gruppo Ferruzzi, entrambi i lavori sono affidati all’impresa Zavaglia. Durante gli scavi nel cantiere della Banca Popolare, viene rinvenuta una torre che faceva parte della cinta muraria romana. I lavori vengono subito interrotti, ma la Soprintendenza ai Beni Architettonici autorizza il sezionamento del manufatto, che sarà riposizionato nel caveau dove è visibile tuttora.

Con i Beni Culturali sembra che l’ingegnere Dario Zavaglia abbia un rapporto stretto: è un andirivieni di visite e sopralluoghi da parte del Soprintendente architetto Anna Maria Iannucci che incontra i tecnici, le maestranze, lo stesso progettista Evangelisti e Monsignor Mazzotti, studioso e  direttore del vicino Archivio  Arcivescovile.
La matita di Evangelisti si spinge a disegnare un ardito palazzo in vetro e acciaio, sede dell’Italiana Olii & Risi di Serafino Ferruzzi, inglobando lo storico edificio di culto di Santa Giustina, del quale restava soltanto la facciata situata in via Romolo Gessi (ora via Raul Gardini).
Ben presto viene alla luce la parte pavimentale con l’abside e la base dei muri perimetrali. I lavori procedono con cautela, sorvegliati da Monsignor Mario Mazzotti, sacerdote in prestito all’Archeologia, che si immedesima talmente nel suo compito, tanto da scivolare nel fango del cantiere e finire tutto sporco in fondo alla scarpata. Questo è un aneddoto passato di bocca in bocca fra i tecnici e i muratori della Ditta Zavaglia, che seguivano sempre con attenzione le lezioni sul campo dello studioso in abito talare.
Il palazzo di vetro diventa la sede “dell’impero Ferruzzi” con un ingresso che scavalca, come un ponte levatoio, le rovine dell’antica chiesa di Santa Giustina in Capite Porticus.
In quel periodo, ottanta dipendenti dell’impresa Zavaglia sono a servizio del Gruppo Ferruzzi, del quale hanno costruito lo stabilimento di lavorazione dei semi oleosi denominato “Soia”, dal quale escono le lattine dell’olio Teodora. L’attività è passata poi a Cereol Italia e ora appartiene a Bunge Italia SpA. Anche il  cementificio “Cementi Ravenna” (oggi demolito) e un allevamento suinicolo a Porto Fuori, che ha ospitato fino a 25.000 maiali, sono opera dell’impresa Zavaglia, che ristruttura  anche la Ex Standa in via degli Ariani, che diventa il “cuore” della Ferruzzi Finanziaria, oggi sede dell’Università di Ravenna. Altra ristrutturazione di pregio voluta dai Ferruzzi, quella di Villa Monaldina, sulla strada per Punta Marina, progettata da Camillo Morigia.
Il rapporto con gli uomini di “chiesa”, come Monsignor Mazzotti, e con i tecnici della Soprintendenza è ricco di tanti intrecci: dal rifacimento della Sala Aste del Monte di Pietà, al consolidamento architettonico della chiesa del Suffragio. Non mancano interventi su due dimore veneziane del Quattrocento: la Palazzina Diedi e la sede dell’Albergo Cappello in via IV Novembre, commissionata da Raul Gardini a Ravenna.

Negli anni ’90 viene poi ristrutturato il Palazzo Rasponi Murat, che al suo interno conserva intatto l’appartamento “napoleonico” e il Palazzo Farini in Piazza Duomo, che tuttora appartiene all’ultimo discendente della nobile famiglia russiana, che ha avuto fra i suoi esponenti di spicco Luigi Carlo Farini, artefice con Cavour dell’Unità d’Italia.
Anche le operazioni meno importanti, come la manutenzione della Caserma della Brigata contraerea missilistica di via Nino Bixio, vengono effettuate su immobili di notevoli dimensioni e dal passato piuttosto “intenso”: prima di essere acquistata dal Genio Militare, era la sede del Collegio dei Nobili e, per alcuni anni nel secondo dopoguerra, aveva ospitato l’ospedale civile di Ravenna. Non mancano, come d’obbligo per un’impresa di costruzioni, lavori infrastrutturali, ponti ed elettrodotti sotterranei, sedi operative di Enel e Sip.
L’attività dell’impresa che ha contato nel periodo di massima espansione più di 160 dipendenti, continua con le modalità del mercato odierno, maggiormente attento alla sicurezza e ai nuovi regolamenti di edificazione, anche se i ricordi del passato, brulicante di attività sulle impalcature e a terra, è ancora nitido nelle fotografie  e nei personaggi.
Da molti di questi lavori edili, è stata restituita una città che ha un’immagine viva dietro l’angolo, risvegliando curiosità e dando senso compiuto ai toponimi.
Da Agostino Zavaglia, il garibaldino, siamo arrivati alla quarta generazione: ora l’impresa è diretta dall’ingegnere Pietro Zavaglia, che non appena conseguita la laurea nel 1969, da Bologna vola negli Stati Uniti. Si fa le “ossa” a New Orleans e in Illinois, dove il Gruppo Ferruzzi ha costruito grandi impianti di stoccaggio e movimentazione dei cereali lungo le banchine del fiume Mississippi. L’impianto di New Orleans nell’anno 1971-72 caricherà su navi per il trasporto e l’alimentazione del mondo milioni di tonnellate di cereali, stabilendo un record quantitativo annuale tuttora ineguagliato. Negli Usa il giovane Pietro lavora sul campo, acquisisce esperienze a contatto con l’ingegnere Gianfranco Ceroni, “braccio destro del dottor Serafino Ferruzzi” e vede realtà costruttive del Nuovo Mondo. Con le dovute proporzioni, Pietro Zavaglia compie quel viaggio così simile a quello che  aveva fatto il suo bisnonno al seguito di Garibaldi.

 

> Silvano Ceroni: una vita da geometra nei cantieri della Ditta Zavaglia

Il geometra Celso Ceroni è di Gambellara, località dove ci sono le case costruite da Agostino Zavaglia all’inizio della sua attività. Come molti romagnoli ha due nomi: in famiglia è chiamato Silvano, Celso è riservato al registro scolastico e agli atti ufficiali, come il timbro di progettista. Silvano frequenta con buon profitto l’Istituto “Ginanni” di Ravenna, che incorpora la sezione per “geometri”.
Fra i suoi insegnanti ricorda quello di lettere, il Professore Michele Vincieri, consigliere comunale di spicco del Partito Repubblicano. Vincieri diventerà poi preside dell’Istituto Commerciale “Ginanni”, che diplomerà un’intera generazione di ragionieri.
Diventato geometra, Silvano Ceroni non perde tempo e si mette al tavolo da disegno: inizia all’Acmar, ma ben presto trova “casa” alla Ditta Zavaglia, che ha gli uffici presso l’abitazione del titolare ingegnere Dario. Il giovane geometra spesso viene invitato a pranzo e inizia così un rapporto di fiducia, amicizia  e stima reciproca, che proseguirà fino al termine dell’attività professionale di Silvano Ceroni. Pittore e acquerellista delicato, capace di tratteggiare il paesaggio urbano, la campagna e la pineta, Silvano Ceroni mi accompagna fra i palazzi costruiti dall’impresa Zavaglia. 

Attraversiamo via Canneti, dove in angolo con via De Gasperi, si alza con un bel movimento un condominio progettato dall’architetto cervese Matteo Focaccia. I ricordi del geometra Ceroni sono però collegati ad opere di restauro dove lui, che dirigeva il cantiere, veniva spesso affiancato da Monsignor Mario Mazzotti, sempre attento alle “cose antiche”: «Ricordo che eravamo nel forno Giorgioni che andava ristrutturato, era la chiesa, quasi del tutto perduta, di San Michele in Africisco eretta a metà del VI secolo.  Monsignor Mazzotti mi sollecitava a scavare nell’abside, dove per anni era stato installato il forno: si cercavano gli antichi mosaici pavimentali. Di fianco doveva esserci un’absidiola laterale che infine trovammo, ma dei mosaici non rilevammo alcuna traccia, con grande dispiacere di tutti. Una delle ultime opere volute da Raul Gardini è stata la ristrutturazione dell’Albergo Cappello, un palazzo veneziano di fine Quattrocento con affreschi del XVI secolo, ritrovati durante i lavori. «Dopo aver risolto tanti problemi connessi alla complessità della struttura e al suo pregio che andava conservato sotto gli occhi vigili della Soprintendenza, arrivammo al tetto che venne costruito da un’impresa altoatesina sulla base dei rilievi effettuati dai tecnici. Il soffitto interamente in legno lamellare riproduce il fondo di una barca e venne portato con un trasporto eccezionale (una gru da 300 quintali) che non ebbe pochi problemi per raggiungere via IV Novembre.  Finalmente il tetto fu collocato al suo posto: era perfetto al millimetro». Unica attività al di fuori del suo rapporto professionale, il geometra Silvano Ceroni l’ebbe quando la famiglia nobiliare Pasolini Dall’Onda, che aveva molti poderi attorno a Gambellara, li vendette ai mezzadri: molti “frazionamenti” delle terre furono effettuati da Silvano, che ben conosceva le campagne della sua fanciullezza.

 

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