Estorsione ai figli di Femia: pagarono 50mila euro, un arresto a Massa Lombarda

In totale in manette tre persone ritenute affiliate al clan Bellocco: inizialmente volevano 250mila euro. I familiari del pentito sono stati già condannati nel processo Black Monkey a 10 e 15 anni

Gdf FaenzaSono i due figli del collaboratore di giustizia Nicola Rocco Femia, residenti a Conselice, le vittime dell’estorsione con metodo mafioso di 50mila euro che ha portato all’arresto di tre persone tra cui un residente a Massa Lombarda. La richiesta iniziale era di 250mila euro poi scesa a 50mila, pagati a novembre del 2016. Per le attività investigative, la guardia di finanza si è avvalsa anche dei filmati delle telecamere di sorveglianza del municipio di Conselice che avrebbero consentito di ricostruire la vicenda.

I tre arrestati sono ritenuti affiliati alla ‘ndrina dei Bellocco di Rosarno (Reggio Calabria): Bruno Filippone, 35 anni, preso a Siderno (Reggio Calabria), Francesco Corrao, 30, rintracciato nel Bresciano a casa della fidanzata, e Calogero Lupo, 51, arrestato a Massalombarda (Ravenna) dove risiede. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono firmate dal Gip Gianluca Petragnani Gelosi, su richiesta del procuratore aggiunto Francesco Caleca della Dda felsinea che ha condotto l’inchiesta Black Monkey chiusa a febbraio del 2017 con ventitrè condanne, per oltre 170 anni di carcere, tra cui quella al boss poi pentito (26 anni) e i due figli oggi vittime dell’estorsione. L’indagine arrivata alla svolta odierna è partita proprio da dichiarazioni dello stesso Femia, collaboratore di giustizia dalla primavera, che ha poi convinto i figli a fare denuncia perché preoccupato per loro incolumità.

Le richieste di denaro, da parte di persone riconducibili al clan dei Bellocco, erano iniziate nel 2011, dirette al boss. Dopo un periodo di tregua, e dopo il suo arresto, le richieste erano riprese, questa volta nei confronti dei figli. In più occasioni, fra il 2015 e il 2016 nelle loro abitazioni a Conselice, i due avrebbero ricevuto minacce e richieste di saldare il debito di 250mila euro. I tre indagati – come si legge in una nota della Finanza – avrebbero fatto leva sulla forza intimidatrice derivante dal gruppo criminale di stampo ‘ndranghetista. A novembre 2016 il pagamento di 50mila euro in tre tranche.

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