Quei 1.400 metri sul navigatore di Cagnoni: dato inutilizzabile o prova d’accusa?

Ventiquattresima udienza / Il tragitto del Gps della Chrysler il giorno dopo il delitto corrisponde alla distanza tra scena del crimine e casa di residenza. Al banco dei testi il consulente informatico della difesa, l’ingegnere Donato Eugenio Caccavella: scintille con il presidente della corte. Il tecnico sostiene che i dati del Gps non siano utilizzabili. Proiettata in aula una simulazione video con un’altra telecamera per smentire la posizione dell’accusa sulla base dei filmati di videosorveglianza

Leggi la cronaca delle udienze precedenti

In piedi l’ingegnere Donato Eugenio Caccavella: con lui gli avvocati Francesco Dalaiti e Giovanni Trombini del collegio difensivo di Matteo Cagnoni

Per andare dalla villa dove è stata uccisa Giulia Ballestri in via Padre Genocchi a Ravenna alla casa dove la donna viveva con il marito Matteo Cagnoni e i tre figli in via Giordano Bruno in auto si percorrono 1.300 o 1.500 metri a seconda del tragitto scelto. E nella cronologia del navigatore della Chrysler Grand Voyager dei coniugi c’è un viaggio di 1,4 km fatto il 17 settembre 2016, il giorno dopo l’omicidio della 39enne. Per l’accusa è la dimostrazione che il dermatologo, alla sbarra per omicidio volontario, è tornato sulla scena del delitto per continuare il tentativo di ripulitura. Per la difesa le informazioni di quel navigatore non si possono nemmeno utilizzare per la sentenza perché gli inquirenti non hanno seguito le procedure per acquisirle. È stato l’ingegnere informatico Donato Eugenio Caccavella, docente all’università di Milano e consulente della difesa, a mostrare alla corte d’assise, nella ventiquattresima udienza celebrata oggi 4 maggio, le foto scattate dalla polizia giudiziaria allo schermo della vettura. Una modalità di acquisizione delle informazioni ritenuta anomala e scorretta: «Per fare le foto è stato necessario accendere il sistema e muoversi tra i suoi dati. Questo per definizione può causare una loro modifica. È il più classico degli accertamenti tecnici irripetibili, ecco perché si sarebbe dovuto procedere secondo altre modalità che dovevano coinvolgere anche le parti».

Tutta la deposizione di Caccavella, testimone numero 109 dell’istruttoria cominciata il 10 ottobre scorso che ha parlato per quasi cinque ore, è stata un tentativo di smontare l’attività degli investigatori fino al punto di ipotizzare irregolarità nelle indagini. Accuse più o meno velate – a volte fatte con valutazioni giuridiche e non sempre supportate da granitiche analisi tecnico-scientifiche come richiederebbe il ruolo di consulente di parte – che hanno innervosito il presidente della corte Corrado Schiaretti e portato il pm Cristina D’Aniello – punzecchiata dal consulente che l’ha sottilmente paragonata a una studentessa universitaria – a tanto così dalla richiesta di trasmissione atti per calunnia e falsa perizia.

La circostanza specifica delle accuse ha riguardato le intercettazioni telefoniche. Caccavella si è concentrato su due anomalie che non ha esitato a definire «inquietanti». La registrazione di una telefonata senza audio e la duplicazione di un’altra telefonata. Tanto basterebbe per il tecnico per non avere più fiducia nell’integrità di tutte le intercettazioni. Errori mai negati dalla procura ma spiegati: la doppia registrazione è in realtà solo un duplicato su cui lo stesso Caccavella non ha saputo indicare quali parti sarebbero andate danneggiate. Ma l’affondo più grave ha riguardato l’eventualità che la masterizzazione dei dvd con gli audio fosse stata fatta negli uffici della questura e non nei locali della procura, circostanza apparentemente solo secondaria ma in realtà fondamentale per la garanzia della tutela dell’indagato. Ma nulla di tutto ciò è accaduto: l’apparecchiatura per la creazione dei dvd esiste solo in procura. E allora da dove nasce la critica? «Ho visto la carta intestata della questura e ho pensato che…», è stata la spiegazione dell’ingegnere costretto a fare dietrofront.

L’informatico ha poi presentato in aula un lavoro di sperimentazione per confutare la tesi accusatoria a proposito di cosa possono dire i filmati di videosorveglianza su tutta questa vicenda.  In buona sostanza il team forense ha realizzato dei filmati in cui dei figuranti compiono le azioni di cui è accusato Cagnoni per poi confrontarli con gli originali e arrivare a dire che è visibile una differenza e quindi non può essere andata come sostiene l’accusa. In particolare l’attenzione si è concentrata sul giorno 15 settembre 2016, quello precedente all’omicidio. Per l’accusa Cagnoni andò alla villa con il Chrysler a portare il bastone e l’acqua distillata con cui uccise la coniuge e poi tentò di pulire: il veicolo scuro resta fermo otto minuti davanti alla villa. «Sì, è vero che si vede un veicolo fermo. Ma se stiamo a un metodo scientifico non ci sono elementi sufficienti per dire che qualcuno scenda e qualcuno risalga. Se ci atteniamo alle rilevanze scientifiche dobbiamo pensare che il conducente sia rimasto a bordo otto minuti senza scendere». È il presidente della corte, Corrado Schiaretti, a chiedere spiegazioni su quelle ombre che si vedono nel video e che paiono il movimento di una persona: «È un effetto dovuto alla compressione del video nelle telecamere di videosorveglianza che fa perdere qualità – ha risposto Caccavella –, possiamo dire che è una sorta di miraggio». Alla domanda dell’avvocato Giovanni Scudellari, legale di parte civile della famiglia Ballestri, è arrivata per una risposta che spiazza: «Non c’è un metodo scientifico per stabilire se quello che vediamo in un filmato possa essere un difetto di compressione o davvero un corpo che si muove».

Analoga sperimentazione è stata fatta con i filmati della villa dei genitori dell’imputato a Firenze dove Cagnoni arriva il 16 pomeriggio e viene arrestato il 19 all’alba. In diversi momenti dei tre giorni si vede il medico spostare vari oggetti nel cortile, dentro e fuori dalle vetture, dentro e fuori di casa. In particolare un oggetto bianco di forma trapezoidale. Per l’accusa è compatibile con la borsetta Chanel indossata dalla vittima la mattina della sua morte e mai più ritrovata. Per la difesa, tramite la relazione depositata dal consulente, la polizia non ha proceduto con un metodo scientifico e quindi non è la borsa di Giulia. Cos’è? «Un camice da medico piegato in più parti e retto per la martingala, così come ha detto l’imputato nella sua deposizione. Abbiamo fatto una sperimentazione e confrontato i filmati originali con quelli da noi realizzati e appare credibile che fosse un camice». È stato a questo punto che gli animi si sono accesi e si sono viste scintille tra il presidente della corte e il banco dei testi. Perché quel trapezio bianco può essere un camice ma non può essere la borsa?

A distendere gli animi non ha certo giovato la scelta di Caccavella di citare un presunto antico proverbio cinese in una delle diapositive proiettate in aula con cui, nelle sue intenzioni, intendeva criticare la linea di condotta degli inquirenti per arrivare a dire che c’è il Voyager di Cagnoni nelle videoriprese in strada il 17 settembre nella zona della villa di via Genocchi: “Siediti sulla riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Come a dire che aspettando era solo questione di tempo per avere il passaggio di un veicolo simile. Forse però giova ricordare che in questa storia un cadavere c’è davvero, non nel fiume ma in una cantina.

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