Omicidio Minguzzi, ricorso in appello dei familiari: «Serve un’altra perizia fonica»

Il delitto di Alfonsine del 1987, quando fu ucciso il 21enne Pier Paolo Minguzzi, ha visto tre assoluzioni in primo grado e ora i familiari della vittima chiedono un secondo processo: il ricorso smonta alibi e pista mafiosa accolti dalla sentenza della corte di assise

6I familiari di Pier Paolo Minguzzi, studente di Agraria e carabiniere di leva di Alfonsine ucciso nel 1987 all’età di 21 anni, chiedono una nuova perizia fonica per individuare il colpevole o i colpevoli dell’omicidio. La richiesta è il punto saliente del ricorso, presentato in quanto parte civile, alla corte d’assise d’appello di Bologna contro l’assoluzione dei tre imputati nel processo di primo grado conclusosi a Ravenna a giugno 2022 (17 udienze e oltre quaranta testi interrogati in un dibattimento durato più di un anno: a questo link la cronaca di tutte le udienze).

L’analisi tecnica sulle voci delle dieci telefonate estorsive con la richiesta di 300 milioni di lire di riscatto, ricevute dalla famiglia tra la scomparsa del giovane il 21 aprile e il ritrovamento del suo cadavere l’1 maggio di 36 anni fa, è l’unica prova diretta portata dall’accusa (pm Marilù Gattelli) che aveva chiesto tre ergastoli per il 57enne Orazio Tasca, originario di Gela (Caltanissetta) oggi residente a Pavia, per il 58enne Angelo Del Dotto di Palmiano (Ascoli Piceno) e per il 66enne Alfredo Tarroni di Alfonsine. All’epoca dei fatti i primi due erano carabinieri in servizio alla stazione di Alfonsine, il terzo era un loro amico che faceva l’idraulico nel paese.

Omicidio Minguzzi: due perizie foniche, risultati opposti

3Di fronte alla consulenza dell’esperto scelto dalla procura (ingegnere Sergio Civino), la corte d’assise di Ravenna (presidente Michele Leoni, a latere Federica Lipovscek) aveva incaricato un proprio consulente (professor Luciano Romito). Risultato: due elaborati entrambi scientificamente validi che giungono a conclusioni diametralmente opposte. Per l’accusa la voce al telefono era di Tasca, per il perito dei giudici invece no.

I legali di parte civile (gli avvocati Luca Canella, Paolo Cristofori e Elisa Fabbri del foro di Ferrara) ricordano ai giudici bolognesi che si è di fronte a due perizie che usano metodi di analisi diversi ma entrambi aventi pari dignità secondo la comunità scientifica. Romito esprime perplessità sul metodo di Civino: ma allora non si spiegherebbe – è la risposta delle parti civili – perché venga utilizzato anche dal reparto investigazioni scientifiche (Ris) dei carabinieri e dalla polizia scientifica. Una terza perizia che può essere richiesta in appello servirebbe a dirimere la diatriba. Senza dimenticare che i giudici d’appello potrebbe anche decidere di riascoltare i testimoni già sentiti.

Il silenzio dell’imputato con il difetto di parlata

Se si parla di voci non è da sottovalutare un dettaglio sottolineato dalle parti civili: l’assenza in aula di Tasca per tutto il dibattimento. Secondo l’accusa il siciliano era il telefonista e una prova in questo senso verrebbe da un difetto nella sua parlata che lo porta a cambiare la vocale finale dei cognomi. In una delle telefonate l’estorsore dice Minguzzo invece di Minguzzi. E nell’udienza preliminare, l’unica volta in cui l’imputato fu presente, Tasca sbagliò ben tre cognomi nel corso delle sue spontanee dichiarazioni. Il diritto al silenzio è riconosciuto a ogni imputato, gli avvocati di parte civile evidenziano l’abile consiglio difensivo di Luca Orsini.

Cold case di Alfonsine: le parti civili impugnano 29 punti della sentenza di primo grado

DSC 8692Il ricorso di parte civile si articola in due parti. La prima è un elenco di 29 punti per cui viene impugnata la sentenza (motivazioni depositate all’inizio di febbraio 2023), la seconda è un elenco di cinque circostanze emerse nel corso del dibattimento o nelle indagini ma non considerate dai giudici.

Nella trentina di pagine depositate dagli avvocati che assistono la famiglia del 21enne – la madre Rosanna Liverani e i fratelli Giancarlo e Anna Maria – rivestono un peso particolare i punti in cui si smontano due cardini della sentenza di assoluzione: gli alibi degli imputati e la matrice mafiosa come spiegazione del delitto.

Omicidio MinguzziSe è stata la criminalità organizzata ad agire allo scopo di punire la famiglia e quindi si è trattato di un rapimento per omicidio – come sostiene la corte –, allora la parte civile non si spiega quale fosse la ragione per inscenare una finta estorsione. E ancora: nei casi di cosiddetta “lupara bianca”, la mafia uccide e cancella ogni possibilità di ritrovamento del cadavere (non certo accontentandosi di legarlo a una grata di 16 kg e gettarlo nelle acque delle valli comacchiesi).

Al capitolo alibi, il ricorso si dedica in particolare a quello di Del Dotto, perché è l’unico ad averne fornito uno già all’epoca dei fatti e ad averlo ulteriormente arricchito in aula. Nelle 24 ore cominciate la sera del rapimento, Del Dotto era di turno come piantone in caserma e avrebbe anche risposto a 4-5 telefonate della madre di Minguzzi preoccupata per il mancato rientro a casa del figlio. Gli avvocati ricordano quanto emerso al processo: non era raro che il piantone potesse lasciare la postazione facendosi sostituire da qualche commilitone senza annotarlo e quella notte in caserma c’era un carabiniere particolarmente amico di Del Dotto e Tasca con i quali aveva anche l’abitudine di andare al casinò di Venezia o in campagna a sparare a barattoli come passatempo. E come potrebbe Del Dotto aver parlato con Liverani, se da un rapporto di un superiore risulta che alla caserma di Alfonsine la prima avvisaglia della scomparsa di Minguzzi fu solo alle 7.40 del mattino seguente?

Reticenza o dimenticanze?

7Infine c’è un aspetto ricorrente che si dipana per tutte le pagine del ricorso. Gli avvocati dei familiari sostengono che l’approccio della corte sia stato particolarmente severo con alcuni testi e non altrettanto con altri. Perché al sedicente Alex, un mitomane reo confesso di aver scritto lettere alla fidanzata del 21enne, è toccato subire la trasmissione degli atti alla procura con l’accusa di reticenza e falsa testimonianza ma la stessa sorte non è toccata ai tanti militari o ex militari che hanno inanellato una trafila di “non ricordo” che hanno facilitato il dribbling fra le domande?

Anche la procura ha presentato ricorso in appello. Starà ora ai giudici valutare l’ammissibilità e fissare l’udienza. Potrebbe volerci anche un anno e andare quindi all’inizio del 2024.

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