Transmissions, festival internazionale di musica contemporanea «che racconta storie»

Dal 21 al 23 novembre all’Almagià artisti provenienti da 11 nazioni. E un programma “off” tra darsena e museo Mar

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White Hills

Due curatori stranieri – uno che ha fatto la storia della scena noise newyorkese, l’altro che è punto di riferimento dell’incontro tra suoni tradizionali ed elettronici –, 17 artisti in cartellone provenienti da 11 nazioni diverse, abbonamenti già venduti in prevendita a Roma, Firenze, Milano e all’estero, perfino in Lituania. Basterebbe questo per rendere Transmissions un evento per una città come Ravenna, che in novembre – come sottolinea orgoglioso il dirigente alla Cultura del Comune, Maurizio Tarantino – accoglie allo stesso modo le migliaia di partecipanti della maratona e del festival dei Lego, centinaia di presenze internazionali grazie all’opera lirica e nicchie di appassionati di mostre d’arte o, appunto, di musica contemporanea, «per un sistema di eventi che rende la città viva e vitale per ravennati e turisti, che per noi sono semplicemente cittadini temporanei».

Transmissions (in programma dal 21 al 23 novembre) è il festival che una volta veniva definito “d’avanguardia” dell’associazione Bronson, quello – rispetto al più festante Beaches Brew – che univa gli appassionati della musica sperimentale, per farla breve. Oggi continua invece in un percorso più movimentato, più aperto a tutto il mondo musicale contemporaneo e in particolare a Paesi solitamente fuori dal “circuito”, un festival che, come dice l’anima dell’universo Bronson, Christopher Angiolini, racconta in primis storie che meritano di essere raccontate. Come quella della colombiana Lucrecia Dalt, ingegnere esperta in geologia che “suona” pure la fisica quantistica, o quella di Sote, «il massimo esperto di musica iraniana tradizionale – dice Angiolini – che la combina con l’elettronica», o ancora il duo composto dal batterista dei Dirty Three Jim White e dal suonatore di laouto greco George Xylouris, tanto per dirne alcune. Senza contare quelle dei due curatori, lo storico produttore newyorkese Martin Bisi – che presenterà il nuovo album prodotto ancora da Bronson Produzioni, nome legato al leggendario Bc Studio e tra gli altri, ad artisti come Brian Eno e Sonic Youth – e quello canadese, di origini libanesi, Radwan Ghazi Moumneh, in arte Jerusalem in My Heart, entrambi protagonisti già a Transmissions l’anno scorso e che ora ci tornano in veste diversa (entrambi però anche sul palco: il primo con sue band, il secondo con un collettivo che si muove tra Parigi e Beirut, gli Oiseaux Tempete).

BC Collective

Martin Bisi

Il tutto – sintetizza bene Angiolini, sottolineando come il festival sia in continua crescita – sempre all’insegna di una ricerca che nasce da uno “scontro” tra cultura e controcultura, Occidente e Oriente, tradizione e innovazione, e sempre con l’intenzione di lasciarsi guidare in primis «dal suono».

Difficile, come sempre, parlare di headliner, perché Transmissions, lo si sarà capito, non è un festival come tutti gli altri. Si possono citare però gli artisti perlomeno più osannati dalla critica mondiale (e dalla bibbia The Wire in primis), lo sperimentatore sonoro australiano Oren Ambarchi, gli americani White Hills e soprattutto i Live Skulls (questo un nome davvero di culto della scena post-punk e di rock sperimentale della New York degli anni ottanta) o il progetto Xylouris White citato in precedenza.

Tre giorni di concerti in programma (sempre nell’ottica di rendere il “festival” sempre più un vero “festival”) tutti all’Almagià, in zona Darsena, con un corposo programma “off” che prevede dj-set dalle 18 all’Akàmi, nella vicina Darsena Pop Up (con protagonisti, dal giovedì al sabato, rispettivamente, Stefania Pedretti, Marco Samorè e Adriano Zanni) e due appuntamenti al Mar, il museo d’arte della città, in via di Roma: il 22 novembre dalle 18 le performance di Dave W. dei White Hills e Tidal Channel per un ulteriore omaggio a New York, proprio dove attualmente sono esposte le opere di un grande artista della Grande Mela come Chuck Close (con ingresso gratuito alle mostre del Mar allestite nell’ambito della Biennale del Mosaico) e il giorno dopo alle 16 un’intervista pubblica con i due curatori.

IL PROGRAMMA DETTAGLIATO DEL FESTIVAL, GIORNO PER GIORNO

Ed ecco infine una piccola presentazione della tre giorni di festival da parte di Bruno Dorella, collaboratore del nostro mensile R&D Cult e soprattutto musicista italiano di fama internazionale, ormai della famiglia Bronson.
«Come sa bene chi mi conosce, Transmissions è l’unico motivo per cui sopporto l’odioso mese di novembre ed è anche il mio festival musicale preferito a Ravenna. Avendo avuto l’onore di suonarci molte volte e persino di averlo curato una volta, mi sento praticamente di casa, e mi permetto dunque un “pick” per ogni giornata, evitando i nomi già noti per aver già suonato in zona (White Hills, Martin Bisi, Nadah El Shazli). Per giovedì 21 scelgo Oren Ambarchi. Produzione sterminata, di livello ottimo con pochissime cadute di tono, resta uno dei nomi più forti nel mondo elettroacustico drone/landscape/ambient/noise. Già per il secondo giorno la scelta si fa più dura. Live Skull è un ritorno di prestigio, Sote è un guru che difficilmente avremo occasione di rivedere in zona, RYF pur essendo local è un mio chiodo fisso.. Però non posso che scegliere Oiseaux-Tempete, che probabilmente risulterà essere il vero headlining act del festival. Arrivati al terzo giorno la scelta è praticamente impossibile, è tutto bellissimo. Lucrecia Dalt, capace di dare una patina pop alla musica sperimentale, Maurice Louca e Nadah El Shazli a rappresentare l’ormai imprescindibile scena del Cairo.. Ma non posso non scegliere il duo Xylouris/White, sia per la qualità della loro musica, sia per la loro storia. Se White è “solo” il batterista dei Dirty Three prima, e di mille altri progetti di altissima qualità poi, Xylouris è pura leggenda. Praticamente la sua famiglia “è” la musica di Creta, in un mondo ancestrale dove gli strumenti (lui suona il laouto) e le conoscenze si tramandano, Lo zio Nikos fu il cantore della dissidenza cretese dal regime dei Colonnelli, mentre il padre Psarantonis è un famoso compositore e virtuoso della lyra».

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