Lo strano caso di Banksy al Mar e i poster rimossi in centro a Ravenna

Chi e come si giudica il valore, l’esposizione istituzionale oppure la zelante distruzione, di un’opera di street art?

Banksy serigrafia murales

Banksy, serigrafia del murales esposta al Mar

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Alessandra Carini, animatrice del Magazzeno Art Gallery e curatrice di eventi artistici, a proposito del controverso tema della street art

Qualche giorno fa a Ravenna si è verificato un fatto piuttosto bizzarro: mentre si “ripulivano” le strade del centro storico in occasione del Giro d’Italia e si cancellavano opere di artisti contemporanei, al Mar arrivava un’opera del più celebre degli street artist: l’inglese Banksy.

Famoso per le sue opere rigorosamente illegali, è celebrato in tutto il mondo e, appena compare un suo stencil in qualche muro di qualche città, ci si adopera immediatamente per conservarlo, proteggerlo o addirittura staccarlo per esporlo in un museo o venderlo in una grande casa d’asta a centinaia di migliaia di sterline.  Eppure, la stessa opera è stata fatta illegalmente sul muro privato di qualche cittadino o su qualche palazzo storico (pensiamo a quello di Venezia sul Canal Grande, dove, se l’avesse fatto chiunque altro sarebbe stato messo alla gogna mediatica e perseguitato a vita).

Ma la legge non è uguale per tutti? Quindi se un murales è fatto da un artista riconosciuto è da conservare, mentre un’opera di uno sconosciuto è considerata degradante, da rimuovere alla prima occasione. Anche Banksy è stato uno sconosciuto all’inizio della sua carriera, ma la sua arte era la stessa anche allora. È buffo come le amministrazioni, ma anche le istituzioni museali, non si rendano conto di tale dicotomia, e pensare che le nostre istituzioni finanziano il festival di arte urbana di Ravenna, ma continuano a rimuovere e “ripulire” le strade del centro (era successo anche per la visita del Presidente Mattarella).

Se queste opere fossero in periferia verrebbero rimosse ugualmente? Siamo purtroppo abituati a pensare che la periferia si “riqualifica” con la street art mentre il centro storico con la stessa si degrada. Così al museo della città viene esposto uno dei più grandi artisti illegali di sempre e il Sindaco si fa fotografare tutto orgoglioso, eppure, per arrivare al museo, le strade sono state saccheggiate delle opere dei colleghi di Banksy.

Questo non è un problema solo ravennate, le contraddizioni che nascono sul binomio istituzione- street art sono ormai all’ordine del giorno da anni, soprattutto da quel 2016 in cui la frattura si concretizzò nella mostra Banksy & Co. dove Blu per protesta dipinse di grigio tutti i suoi muri di Bologna per evitare che venissero staccati ed esposti dentro al museo.

E chi ce lo dice che Fulcro, uno degli artisti rimossi, non possa essere il Banksy o il Blu di domani? La street art è un movimento spontaneo, non può essere relegata in un quartiere, in un museo e in nessun altro luogo, nasce dove l’artista decide di agire e lì l’opera deve restare. Bisogna decidere da che parte stare: non si può celebrarla e allo stesso tempo censurarla

Il poster rimosso di Fulcro a Porta Adriana a Ravenna

Il poster rimosso di Fulcro a Porta Adriana a Ravenna

Sarebbe bello che al Mar l’opera di Banksy venisse spiegata e che non fosse solo un modo per attirare nuovi visitatori: mi chiedo quali siano state le motivazioni curatoriali di tale scelta visto che il museo non si è mai occupato di arte urbana e che non ha opere che si relazionino ad essa. Anche in questo caso pare proprio che la street art venga strumentalizzata: da una parte il museo si vanta di una serigrafia che nulla ha a che fare con la collezione e con la città ma che ovviamente cavalca l’onda del mainstream; dall’altra l’amministrazione si vanta di tenere il “decoro” in centro città.

Due pesi e due misure, che non fanno altro che fare pasticci e creare tanta confusione sull’argomento. Un argomento importante, visto che la street art e l’arte urbana fanno oramai parte del nostro presente, dell’immaginario di tanti cittadini, che però continuano a non capirne le radici e l’essenza. Per questo le istituzioni e i musei, se decidono di intraprendere questo percorso, devono innanzitutto cominciare a rispettare questo movimento, che viene continuamente usato per propaganda da persone poco competenti.

Il grande semiologo Roland Barthes diceva «Il muro si sa, attira la scrittura», e aveva ragione, perché ricordiamoci che Banksy non è nato Banksy, ma ha iniziato con una bomboletta a scrivere una tag sui muri della sua città.

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