Cibo in provetta più vicino, Coldiretti prova a fermarlo: «Non c’è solo il profitto»

Dieci anni fa il primo hamburger sintetico, ora negli Usa si può commerciare carne coltivata in laboratorio da cellule staminali. L’associazione di categoria teme lo stesso in Europa e ha consegnato 200mila firme al ministro per la Sovranità alimentare

Pexels Angele J 128401A distanza di dieci anni dal primo hamburger di carne sintetica – cotto e mangiato in un laboratorio di Londra dove era stato ricavato da colture di cellule staminali di mucca con un investimento di circa 250mila euro – è più vicino il momento delle prime richieste all’Unione europea per l’immissione in commercio di alimenti fabbricati in provetta. E Coldiretti non ci sta. In una settimana sono state raccolte duecentomila firme in Italia (di cui duemila in provincia di Ravenna) e consegnate al ministro della Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida, per promuovere una legge che vieti la produzione, l’uso e la commercializzazione di qualsiasi cibo sintetico in Italia.

È una mobilitazione a cui partecipano anche tre organizzazioni internazionali di imprenditori agricoli (World Farmers Markets Coalition, World Farmers Organisation, Farm Europe). Nel nostro Paese la battaglia è sostenuta dalla fondazione Filiera Italia di cui fanno parte molto imprese agroalimentari tra cui anche McDonald’s Italia.

L’orientamento del Governo è palese: basti pensare che la prima uscita pubblica di Giorgia Meloni dopo la vittoria alle elezioni è stata proprio la firma della petizione a Milano.

«L’approvazione di una legge di questo tipo potrebbe portare all’apertura di una procedura di infrazione dell’Ue nei confronti dell’Italia – spiega Assuero Zampini, direttore di Coldiretti provinciale a Ravenna –. Ma questa è una battaglia tra un concetto di cibo visto solo come profitto come accade in molti contesti anglosassoni, e un concetto di cibo che è il risultato del lavoro degli uomini, con una tradizione e una cultura. In Italia il cibo non è solo carbone per la caldaia del corpo umano».

Negli Stati Uniti di recente la Food and Drug Administration (Fda), l’ente del governo che regola i prodotti alimentari e i farmaci, ha autorizzato un’azienda nata nel 2015 in California, la Upside Foods, a vendere pollo sintetico prodotto a partire da vere cellule raccolte da animali e poi moltiplicate all’interno di bioreattori, senza che sia necessario macellare animali vivi. In Europa ad oggi né l’autorità e nemmeno la Commissione europea avrebbero ricevuto domande di registrazione tra i novel food da parte dei produttori di cibi sintetici.

«Ma c’è una verità che non viene pubblicizzata – si legge in una nota di Coldiretti –. La carne da laboratorio non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché per farla serve un bioreattore».

«Siamo di fronte ad una pericolosa deriva degli alimenti creati in laboratorio – aggiunge Nicola Dalmonte, presidente di Col­di­retti Ravenna – a favore di interessi commerciali e speculativi che esaltano, a sproposito, il mito della maggior sostenibilità rispetto alle tradizionali attività dell’agricoltura. Vogliamo sensibilizzare le famiglie e i consumatori in merito ai rischi del passaggio a una dieta unica mondiale, dove il cibo sintetico si candida a sostituire quello naturale. Le tipicità tradizionali e i prodotti della nostra agricoltura rischiano di essere condannati all’estinzione e scomparire per sempre insieme al paesaggio rurale che siamo abituati a vedere e agli agricoltori che ne sono i custodi».

Ma ancora prima delle resistenze etiche, è il costo lo scoglio più grande da superare. È sempre “La Repubblica” che fa i conti citando uno studio della McKinsey: «Nel 2013 il primo hamburger era costato 300mila dollari. All’inizio del 2021 la Future Meat Technologies ha annunciato di essere riuscita a realizzare un petto di pollo da 160 grammi a soli quattro dollari. Gli analisti stimano che entro il 2030 la carne sintetica arriverà a costare tanto quanto quella animale».

Il direttore di Coldiretti è consapevole delle critiche di scarsa apertura al progresso: «Dicono che siamo medioevali. Però ci si dimentica quando Coldiretti negli anni ’80 e ’90 giudicava aberrante l’uso di farine animali nell’alimentazione degli allevamenti di vacche da latte e poi ci siamo ritrovati con il morbo della mucca pazza. Non possiamo trasformare il cibo in qualcosa di chimico in un’area che vanta una dieta mediterranea con millenni di storia».

Il tema della tutela del cibo è ancora più sentito nell’Emilia-Romagna che ha appena raggiunto il primo posto nel rapporto Ismea per le ricadute economiche dai marchi di tutela dei prodotti.

«È molto facile capire quanto incidono questi marchi di qualità. Quando il latte costava 32 centesimi al litro, i produttori che fornivano i caseifici del Parmigiano Reggiano lo vendevano a 80. Ma restiamo più vicino a noi: Brisighella non sarebbe come la conosciamo se non ci fosse la tutela dell’olio». Ma non mancano gli esempi di segno opposto: «I bovini di razza romagnola non hanno nulla di meno della Chianina ma costano il 35 percento in meno. Però la razza sta scomparendo perché manca una valorizzazione del mercato e l’allevamento non può essere competitivo con gli allevamenti di pianura».

Il marchio Bio invece appare un po’ in sofferenza di recente: «È stato portato avanti in termini di sensibilità del consumatore ma senza un logica di filiera organizzata. E così ha subìto una flessione per via della crisi. Ci siamo trovati con produzioni bio che si vendevano al prezzo di quelle convenzionali pur avendo costi di produzione molto superiori».

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