Dall’acqua di vita allo “Scotch”, storia del più nobile degli alcolici

Quegli intrecci tra inglesi, irlandesi, scozzesi e americani. Ma tutto è nato in Mesopotamia… per approdare allo stile torbato (I parte)

Wisky Bicchieri

Per questa nuova puntata dedicata a “spiti e distillati” scriveremo di whisky e, quindi, potrei raccontarvi della Uisge beatha, espressione gaelica che indica l’acqua di vita e di quanto irlandesi e scozzesi fossero bravi a distillare whisky, ma… Si tratta delle solite chiacchiere, della stessa e noiosissima celebrazione che troverete ovunque in rete per decantare quello che è considerato il più nobile dei liquidi alcolici.

Poiché il whisky è un distillato che sfoggia una veste un po’ severa mista a snobismo, dallo stile tutto britannico, tanto vale adeguarci e andare poco per il sottile. Chiariamo, prima di tutto, un errore comune che porta a pensare che l’arte della distillazione sia nata in Scozia perché in realtà è molto probabile che sia nata invece nel 2000 a.C. nell’antica Mesopotamia, oggi area che copre parte dell’Iraq e della Siria. Come diversi reperti archeologici confermano, qui spesso si distillava con lo scopo di produrre profumi e aromi. Se non siete convinti, fate riferimento alla prima testimonianza scritta sulla distillazione. Il filosofo greco Alessandro di Afrodisia descrive, infatti, nell’anno 100 d.C. il processo di prendere l’acqua di mare e distillarla in pura acqua potabile. Da qui in poi è storia. Le tecniche di distillazione si diffondono tra oriente e occidente, affinate e migliorate. E vissero tutti felici e contenti.

La domanda cui dobbiamo rispondere è invece un altra. Perché gli scozzesi si sono tanto distinti nella storia dell’acqua di vita quando il vantaggio era tutto irlandese? E chi, tra questi, bevve il primo sorso di whisky della storia? Il legame alcolico tra Irlanda e Scozia in realtà non c’è, anzi, secondo molti storici tra le due nazioni c’era una concorrenza spietata.
E proprio per distinguersi, furono gli irlandesi, durante la conquista dei mercati, a volere nelle etichette il termine “whiskey” per non essere confusi, dai consumatori americani, con le produzioni scozzesi che invece usavano il termine “whisky”. Quella “e” significava che il loro whiskey era il migliore. E quella lettera divenne indicazione di stile indistinguibile. In seguito, con la moda dei Bourbon, tipologia di whiskey riconosciuto nel 1964 dal Congresso americano come “un prodotto distintivo degli Usa”, anche gli statunitensi utilizzarono questo termine per specificare la qualità dei loro Bourbon whiskey. Oggi il termine whiskey può essere usato solo dai produttori irlandesi e americani.

Precisato questo e chiarito che lo stesso whisky può essere prodotto ovunque nel mondo ci siano cereali e fonti di acqua pura, tuffiamoci nell’affascinante universo di uno dei distillati più complessi della storia alcolica del pianeta. Narrativa non facile da gestire perché le documentazioni e le falsificazioni sono tante. Inglesi, scozzesi, irlandesi e poi americani tanto hanno dato alla storia del whisky e va da sé che quando i contendenti sono tanti può esserci pasticcio. Secondo molti appassionati e studiosi britannici, l’origine del whisky potrebbe essere iniziata in Scozia e in Irlanda tra il 1000-1200 d.C. grazie ai monaci itineranti provenienti dall’Europa continentale. Questo significa che irlandesi e scozzesi impararono a distillare quasi per ultimi rispetto al resto del mondo? Da notare che già da qualche tempo in Italia si otteneva dal vino un distillato oggi chiamato brandy. Questi monaci conoscevano l’arte della distillazione ma, non essendoci uva nelle isole del nord Atlantico, si rivolsero alle fermentazioni ottenute dai cereali, ben presenti in Scozia e in Irlanda.

Nel 1405 la prima testimonianza scritta di whisky appare negli Annali irlandesi di Clonmacnoise, dove è scritto che il capo di un clan morì dopo aver assunto troppa acquavite. Tutto fa supporre che gli irlandesi in quel periodo avessero maggiori conoscenze rispetto gli scozzesi. A loro, quindi, il primo bicchiere di whisky anche se la storia è molto combattuta tra gli studiosi irlandesi e inglesi anche se i primi hanno sempre sostenuto che nell’isola di smeraldo erano già presenti alambicchi più funzionali rispetto a quelli presenti in Scozia. Tutto fa supporre che sì, anche gli scozzesi distillassero ma mancava loro un “quid” qualitativo.
Sta di fatto che solo circa un secolo dopo si legge da un documento degli Exchequer Rolls che nel 1494 re Giacomo IV di Scozia concesse una grande quantità di malto a frate John Cor per fare l’acquavite. Le produzioni scozzesi, però, mancano ancora di finezza, punto di forza, invece, degli irlandesi che lo precisarono nelle loro etichette con il termine, come già spiegato, “whisk(e)y”. Questo vantaggio qualitativo irlandese regalerà loro maggiori possibilità in ambito commerciale che unito a quella che la storia definirà successivamente la “diaspora irlandese”, ovvero una forte emigrazione verso il nuovo mondo, permetterà loro di gettare solide basi commerciali, a volte non sempre legali, che si riveleranno utili poi nel periodo del proibizionismo americano.

Wisky BevitoreNel frattempo, però, anche le produzioni della Scozia miglioravano e il divario qualitativo cominciava a diminuire. Quando re Enrico VIII sciolse i monasteri verso la metà del 1500, i monaci furono costretti, per sopravvivere, a praticare e insegnare la distillazione e tutte le sue finezze facendo riprendere non solo la produzione di alcol distillato in precedenza limitata, ma fecero la differenza nella qualità delle produzioni di whisky che ora nulla aveva da temere dalla concorrenza irlandese. Questo, oltre a stimolare la nascita di distillerie legali diede il via all’uso in etichetta del termine “Scotch whisky” per indicare la qualità in stile scozzese. Avevano imparato a dosare un elemento che imprime al whisky un gusto specifico: la torba (vedi scheda sotto). Oggi, solo il distillato che nasce in Scozia può adottare la dicitura “Scotch whisky”.

In queste righe sono stati sintetizzati secoli. La storia del whisky ha portato a crisi sociali per via dell’abuso, a restrizioni e tasse governative, proibizioni di vario tipo e tentativi di limitare la distillazione ai professionisti per evitare le pericolose produzioni caserecce e poi, come in tutte le storie legate all’alcol, alla conseguente nascita delle vere distillerie durante la rivoluzione industriale dai nomi conosciuti ancora oggi come Arthur Bell, George Ballantine, James Chivas e molti altri che hanno fatto la storia moderna di questa nobile e preziosa bevanda.
Nel prossimo appuntamento su queste pagine, confronteremo varie tipologie di whisky e stili di produzione nel mondo.

La torba della Scozia, che si misura in polifenoli per milione

La torba è un fossile e la Scozia ha sempre avuto centinaia di torbiere sul proprio suolo. Non a caso, giacché era l’elemento usato per riscaldarsi e cucinare al posto della legna prima dell’arrivo del carbone. Questo non significa che tutti gli “Scotch whisky” siano torbati, e nemmeno che non si possa trovare qualche torbato in altri paesi. Rimane, però, il fatto che lo stile peated è indice prima di tutto di Scozia. Le espressioni sono diverse, tanto è vero che esiste una scala di valutazione quantitativa della torba nel whisky che si misura in “ppm”, polifenoli per milione. Il whisky Ardmore, ad esempio, ha 15 ppm mentre il Lagavullin 40. Quest’ultimo è più torbato e avrà sentori e gusto affumicato più intenso.

L’assaggio: Lagavulin e Tyrconnel, le differenze

Assaggiando il whisky scozzese “Lagavulin” di 16 anni, ci si inoltra nella profondità di un colore giallo intenso dai riflessi dorati, dai profumi profondi dominati da sentori di miele d’erica e orzo affumicato. Al palato è potente con un finale iodato ed elegante. Mentre l’irlandese “The Tyrconnel 10 Y.O.” è elegante e ricco di sfumature aromatiche che ricordano i fichi passiti, il cacao, la vaniglia e le castagne secche.

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