I segreti dei vini toscani, tra eredità storica e poesia del marketing

Mettiamo a confronto il Sangiovese di Romagna con il cugino di oltreconfine. Una rivalità che forse è ora di dimenticare

Chianti

La zona del Chianti in Toscana

Superiamo per una volta il confine romagnolo per catapultarci in Toscana. La fortuna della Toscana la fa la storia. È qui che si cominciarono a bere i primi vini rossi di valore. Pensate solo al Chianti Classico o al Brunello. Non possiamo certo dire che il Sangiovese dei cugini toscani passi inosservato né al naso né al palato. In Toscana ci sono morbidezze che in Romagna a volte mancano. Dico, a volte, perché sia in Romagna che in Toscana tutto dipende dalla zona e dalla mano del vignaiolo. In generale, però, non c’è da scandalizzarsi quando si sente dire che il Sangiovese toscano è morbido e sensuale e il “nostro” “nervoso”. Pochi sanno che il Sangiovese Romagnolo ha bisogno di tempo soprattutto se volete un grande vino prodotto da queste uve. La Romagna è piena di esempi di ottimi Sangiovese.

Ci sono anche motivi storici che hanno condizionato l’atteggiamento nei confronti del proprio territorio. Quando in Toscana si pensava solo al vino, in Romagna si considerava solo frutta e grano perché faceva cassa e il vino, quello buono, era fatto a Predappio. In Toscana si guadagnava prima col vino ed era naturale cercare di migliorarlo. Da noi si piantavano viti solo dove non poteva starci né grano né frutta. In poche parole, in collina l’albero da frutto lasciava spazio alla vigna solo negli angoli più ripidi. Per questo motivo in Romagna si usava il sistema di allevamento ad alberello: tanta vigna in poco spazio, sempre per fare quantità. E se in Romagna potevi annacquare il vino, la Toscana ha un passato in cui chi azzardava finiva impiccato, o quasi.

Mentalità, quindi, che col tempo si è consolidata di là dal confine romagnolo dove il vino era considerato sacro. Il primo vino a essere imitato è stato quello toscano. I produttori che non facevano parte dell’area del Chianti mettevano in etichetta “Vino al modo del Chianti” pur di far passare il proprio vino migliore e per aggirare l’editto del 1716 del granduca di Toscana Cosimo III che limitò l’uso della parola “Vino del Chianti” alla zona che oggi definiamo “Classica” per tutelare i produttori proprio dai plagi. Il problema vero, per il povero Duca, era che il vino Chianti era imitato anche fuori dalla Toscana dell’epoca. Potremmo fare un paragone con quelli che oggi scrivono “Barollo” o “Amattone”, nomi di fantasia per turisti sprovveduti.

Col passare del tempo anche Brunello o Vino nobile di Montepulciano hanno preso un posto nel cuore degli appassionati e il passo definitivo, per consolidare il marchio Toscana nelle menti del pubblico internazionale, è stata solo una questione di tempo.

Potrà la nostra Romagna combattere con tutto questo? Non credo. La Romagna se vuole distinguersi deve giocare da sola ed evitare ad esempio i raduni di giornalisti presi al volo e “trascinati per la gola” durante le pause delle famose anteprime toscane con la promessa di cene luculliane offerte dai produttori dei soci dei consorzi. Non si può far passare un giornalista americano dalle spezie e dal tannino croccante del Sangiovese toscano al frutto e alle rigidità di quello Romagnolo. Lo stacco è troppo violento. Soprattutto se non spiegate che le nostre vigne sono diverse, che i cloni spesso sono differenti per non parlare delle zone e dei terreni. I toscani, da sempre, hanno fatto sempre poesia e tanto marketing. A loro vendersi riesce bene. Immagino che anche voi avrete sentito parlare delle dolci colline toscane o dei cipressi che costeggiano le strade toscane. Immagini agresti, velate dalla leggera foschia mattutina. Anche questo fa poesia. Il pubblico internazionale ama queste cose. Avete mai sentito proporre la Romagna allo stesso modo?

Tra Morellino e Super Tuscan: qualche curiosità nel calice toscano
Vino RossoQuando si pensano alle mille sfumature del Sangiovese la mente corre al Morellino di Scansano. Andate con la memoria indietro nel tempo di un decennio. Ricordate come a Ravenna si beveva solo Morellino? Questo vino ha avuto un picco di richiesta oltre l’immaginazione.  Sembrava che il mondo avesse scoperto il vino della storia invece cos’era? Sangiovese. Il Morellino nasce nelle colline che circondano Scansano, un comune nella  provincia di Grosseto. Il termine Morellino indica il “Morello” un diminutivo usato dagli abitanti della zona per indicare un’altra espressione di Sangiovese. Il Morellino è un Sangiovese dallo stile diverso rispetto i suoi “fratelli” del nord della regione.
In questa zona i suoi frutti raggiungono una maturazione maggiore con il risultato di dare origine a un vino dalle sensazioni rotonde e saporite con note di ciliegia, prugne, cuoio, spezie, melagrane e cedro. Anche se al Sud della Toscana mantiene dinamismo acido e tannino croccante. A fare la differenza, la capacità di un produttore di giocare con gli uvaggi tra le uve permesse da disciplinare.

La forza della Toscana sono anche i famosi “Super Tuscan”. Questi ultimi sono vini che in Maremma cominciarono a far parlare di se fin dai tempi del Sassicaia, celeberrimo vino per collezionisti danarosi. Spesso si tratta di ex vini da tavola perché non avevano disciplinari che potessero incamerarli. All’epoca erano visioni, ispirazioni di produttori ammaliati dallo stile francese e amanti del Cabernet, del Merlot e di altri vitigni oggi internazionali ma che in Francia sono considerati autoctoni. Oggi questi vini sono regolati da disciplinari creati appositamente.
Di solito il termine “Super Tuscan”, indica solo vini ottenute dalle uve “straniere” cui ogni tanto si aggiunge pure il Sangiovese ma oggi, ci sono espressioni di grandi vini toscani ottenuti anche da sole uve autoctone. La Barsaglina e la Foglia tonda sono solo due esempi di varietà locali, per lo più sconosciute, che se ben lavorate sono in grado di dare dei vini speciali dal sapore tutto toscano. “Super Tuscan” che mi piace definire “veri” perché figli della terra toscana.

Non solo Chianti: il Vino nobile di Montepulciano
Sangiovesejpg02C’è un vino di cui poco si parla anche in Toscana ed è il Vino nobile di Montepulciano. È un vino che ha fatto la storia della Toscana da bere. Era il vino dell’aristocrazia e le sue finezze olfattive erano già all’epoca ricercate dagli esperti.
Le vigne di questo vino sono arroccate attorno all’omonimo paese di Montepulciano, motivo per cui molti lo confondono con il Montepulciano d’Abruzzo. In quest’ultimo caso si tratta di un vino diametralmente opposto sia come storia e caratteristiche. Il primo, il “nobile”, fa riferimento al paese di origine che ne identifica l’area, il secondo, invece, specifica il nome del vitigno da cui nasce.
Il paese in questione, Montepulciano, si trova a venticinque chilometri a Sud/Est di Siena, qui la viticultura è un’esperienza portata dagli Etruschi tanti secoli orsono. Lo sviluppo agricolo e l’attenzione per la vigna in questa parte della Toscana erano già sviluppati ancor prima che in altre aree della regione.
Col tempo il Vino Nobile diventò un vero culto per le ricche tavole dell’epoca, era il vino amato dall’aristocrazia senese e quello prediletto da Papa Paolo III cui amava decantarne le sue qualità. Francesco Redi, nel suo “Bacco in Toscana”, lo descriveva come il re dei vini e perfino Voltaire nel 1759 citava il “nobile vino” nel racconto filosofico “Candido”. Un tentativo, forse, di confutare le dottrine ottimistiche dell’epoca rimanendo aggrappati a un buon bicchiere di Vino Nobile di Montepulciano dal gusto tutto italiano.
Il “Nobile” è un vino che fu poi dimenticato, una gloria perduta nei ricordi delle pieghe del tempo e lo ritroviamo solo nell’800, etichettato furtivamente come, guarda caso, “Chianti” unico modo per venderlo. Occorrerà aspettare gli anni ’60 per ritrovarlo al suo apice come vino unico e di classe perché il Vino Nobile, sappiatelo, è un vino davvero di grande eleganza e stile.
Infatti, a volte, rimango io stesso stupito quando vedo giornalisti o operatori del settore agitarsi per Chianti e Brunello dimenticando, invece, questo fuori classe toscano dove le impalpabili sfumature, la finezza tannica, il corredo aromatico e la sapidità fanno onore al nome: “nobile”. Il Vino nobile di Montepulciano, si ottiene con uve chiamate Prugnolo gentile, un altro biotipo della grande famiglia del Sangiovese. Nell’uvaggio si usa anche il Canaiolo e c’è chi mette anche un tocco di Mammolo. Quest’ultima uva regala finezze olfattive fuori dal comune. Mi piace bere Chianti quanto Brunello ma quando trovo un Vino Nobile di Montepulciano fatto come si deve, posso garantirvi che non ci sono paragoni soprattutto se amate i contrasti olfattivi, le finezze e il gusto di andare a cercare continuamente con la memoria le caratteristiche di un vino che, forse, ancora oggi è rimasto intrappolato nel suo passato. La Toscana non è solo fatta di Chianti e Brunello ma dalle mille sfumature di Sangiovese.

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