La cucina in “stile zen” del nuovo ristorante fusion di piazza Kennedy

Da ordinare, tra le altre cose, gli involtini di verdure, la zuppa di miso, il ramen, i moki. E ci sono anche i cappelletti…

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Per la prima volta nelle nostre escursioni a caccia di una buona cena fra i ristoranti ravennati da raccontare ed eventualmente raccomandare, abbiamo puntato ai sapori esotici.
O per meglio dire “fusion”, cioè piatti etnici adattati al nostro palato e a ingredienti reperibili localmente. Anche perché ormai di locali di questo genere ce n’è una gran varietà, soprattutto legati alle tradizioni cinese e/o giapponese, che si sono moltiplicati anche in provincia sull’onda della moda del Sushi e del Ramen, molto apprezzati soprattutto dagli avventori di nuova generazione.
Noi abbiamo scelto il Ginza (nome che rievoca un antico quartiere di Tokyo), aperto a Ravenna da qualche mese dalla coppia formata da Ran Yan e dallo chef Weiqing Dong, nella centralissima piazza Kennedy, su cui si affaccia con due vetrine, dal lato di via D’Azeglio.
L’ambiente è semplice e pulito, con tre sale separate, nei toni del bianco e nero, ben illuminato con un design stile zen, molto essenziale. Le sedute sono comode, i tavoli apparecchiati con tovaglie di tessuto come si conviene in un ristorante. Con stoviglie variegate di ceramica a secondo dell’uso.
Il menù è notevolmente ampio e viene offerta anche una versione degustazione a prezzo fisso (26,90 euro, esclusi coperto e bevande); una specie di “all you can eat”, l’abbuffata che oggi va per la maggiore nei ristoranti fusion.
Noi abbiamo scelto “alla carta”, che però richiede una certa attenzione nell’esame delle proposte se non si è abituati a districarsi fra le varie specialità calde e fredde, con denominazioni giapponesi. Stiamo parlando di circa 80 pietanze (anche se molte sono piccole porzioni di pochi pezzi) fra antipasti, ravioli, innumerevoli crudità di pesce e riso, zuppe, paste e brodi, polpettine, fritti e stufati di pesce o carne, spiedini vari. In cinque (fra cui tre giovani ospiti, già
esperti di questo genere di cucina) abbiamo ordinato complessivamente oltre 20 portate – compresi i dessert in finale – scambiandoci spesso degli assaggi per gradire e valutare.
Fra le aperture sono stati particolarmente apprezzati gli Involtini di verdure, croccanti e delicati, i Ravioli al vapore e alla piastra, ben sodi e sapidi nel ripieno di carne, i soffici e minuscoli panini Bao, farciti con verdurine.
Le pietanze sono presentate al “naturale”, da gustare così come sono, ma volendo si possono insaporire con i condimenti presenti sul tavolo: salsa di soia, agrodolce o piccante. A seguire abbiamo assaggiato un po’ tutte le crudità di pesce tipiche nipponiche, ordinando due vassoi “antologici” (da 30 e poi 16 pezzi) con Nigiri, Hosomaki, Uramaki, Sushi Gio, Sashimi. Bocconcini ben strutturati e deliziati con salmone, gamberi, tonno, scampi, polipo, granchio, riso, alghe e verdure varie.

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Dopo, per scaldare palato e stomaco, siamo passati a zuppe, paste e “secondi”. Da evidenziare una squisita Zuppa di miso, tagliolini Soba conditi con carne e verdure, un Ginza Ramen profumato e prelibato nella sua miscela esemplare di ingredienti (brodo di anatra, noodles, fette di lonza, uovo sodo, alghe e altri vegetali), uno stufato di maiale in agrodolce, tosto e per nulla untuoso e croccanti pezzi di Pollo fritto in pastella con salsa Teriyaki.
Va sottolineato che il menù del Ginza offre pure una singolare “fusione” fra cucina esotica e romagnola, proponendo anche cappelletti (e in seconda battuta, tagliate, hamburger e spiedini) che consentono di godersi la cena anche a chi – magari in compagnia di famiglia o comitiva conviviale – è refrattario alla gastronomia orientale. Noi abbiamo “provato” un piatto di cappelletti al ragù che, se pur non arrivano al meglio della tradizione ravegnana, sono comunque apprezzabili.
Alla fine, ci siamo dedicati alle dolcezze: 8 sono i dessert alla carta, più due sorbetti, con un plauso per i morbidi Moki e il flute alla crema di caffè.
Complessivamente la cucina di Ginza rispecchia l’atmosfera sostanziale e senza eccessi del locale: pietanze semplici e in buona parte realizzate al momento, con materie prime fresche, uso pacato di salse e spezie, nessuna sbrodolatura o ingredienti artificiosi che a volte – per altri locali della serie “fusion” e “ingozzati quanto vuoi” – possono far pensare ad alimenti “prefabbricati”.
Per quanto riguarda il bere (la carta dei vini è limitata ma dignitosa per il rapporto qualità/prezzo), abbiamo stappato delle bollicine Chardonnay Brut della Tenuta Frassineto e un discreto Vermentino della cantina Rancoli.
Il servizio è attento, gentile e assai puntuale nel ritmo di consegna al tavolo delle portate.
Alla cassa, siamo arrivati ben sazi, con un conto totale più che accettabile da 220 euro: 44 a testa.

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