La start up ravennate che si è “inventata” l’aglio nero: «Un po’ come il tartufo…»

Ne parla uno dei soci fondatori di Nero Fermento: «Ora stiamo sperimentando scalogno e cipolla»

Nero FermenoCosa ne sarebbe delle tradizioni culinarie di mezzo mondo senza l’aglio? Quel piccolo bulbo dal carattere pungente più o meno nascosto in tutte le salse e innumerevoli piatti preparati a diverse latitudini. Pensiamo alla gastronomie orientali, ma anche europee, e in particolare alla cucina mediterranea. Eppure questo mito dell’alimentazione – che ha anche potenti virtù salutari – non è sempre alla portata di tutti i palati e stomaci. C’è la leggenda che l’aglio sia altamente indigesto per i vampiri ma anche una spiacevole realtà per milioni di comuni mortali a cui non va giù, a volte anche per ragioni di contatto sociale.

Però c’è un aglio di colore nero, derivato per fermentazione da quello bianco, che non solo innalza e rinnova – grazie a sfumature complesse di aromi – il sapore tradizionale, ma elimina quelle sostanze che lo rendono micidiale per digestione e alito.

Agrodolce

Il caso, ma anche lo sbuzzo di sei giovani intraprendenti, vuole che a Ravenna sia sorto da qualche anno un laboratorio artigianale che produce, unico in Italia, una considerevole quantità di questo “pregiato” aglio nero da materia prima di alta qualità italiana. L’impresa si chiama “Nero Fermento” e sta crescendo.

Ne parliamo con uno dei soci fondatori, Tommaso Pavani, che fra l’altro si occupa della comunicazione dell’azienda.

Tommaso, quando e come nasce l’impresa Nero Fermento?
«Nero Fermento, come azienda start up innovativa nasce ufficialmente nel giugno 2017 ma l’idea si era già fatta avanti tre anni prima, in occasione di una cena fra amici, che poi sarebbero diventati i soci dell’azienda, provenienti da esperienze diverse. Alcuni di noi sono produttori di aglio a Voghiera, altri sono ravennati impegnati in una società che realizza macchine per problematiche ambientali, come ad esempio biofermentatori. Poi c’era uno di noi particolarmente interessato all’aglio nero. Un prodotto che poi abbiamo imparato a capire meglio in occasione dell’Expo di Milano 2015, nel padiglione della Corea, dove si parlava di cibi fermentati. Da qui si è sviluppata l’intenzione di produrre aglio nero qui in Italia, partendo però da una materia prima di altissima qualità com’è l’aglio di Voghiera dop. Un’intenzione innovativa, almeno per quanto riguarda il mercato nazionale, anche se parliamo di un settore di nicchia. Così abbiamo iniziato le prime sperimentazioni con un piccolo fermentatore che ha dato esiti interessanti, poi grazie all’incoraggiamento e la collaborazione del consorzio dei produttori di Voghiera e dell’associazione ChefToChef-emilia romagna cuochi, dopo due anni di perfezionamento e sviluppo del prodotto siamo approdati all’avvio dell’impresa vera e propria, con una sua sede, linee di produzione e di vendita dei prodotti».

Ecco, quali sono le strategie produttive e commerciali dell’azienda che ormai lavora a pieno ritmo sull’aglio nero da ormai quattro anni?
«Il concetto è quello di creare un’evoluzione di un prodotto alimentare e gastronomico già di per se eccellente, come l’aglio di Voghiera dop, attraverso un sistema di produzione, una serie di celle di fermentazione, progettate e realizzate da noi. Quindi l’azienda cura tutto lo sviluppo del prodotto. L’aglio di Nero Fermento è sicuramente un prodotto innovativo perché risponde a domande attuali, e in crescita, di alimenti salutistici, di notevole qualità organolettica, di versatilità nell’utilizzo culinario. Ma anche all’esigenza della lunga conservazione, visto che l’aglio nero non ha problemi di deperibilità a breve, perché è gia fermentato. Si mantiene integro per anni».

Siete gli unici produttori a offrire sul mercato questo tipo di aglio nero?
«Come accennavo prima non siamo certo stati noi a inventarlo, è una tradizione della cucina dell’estremo oriente ed esiste da tempo sui mercati globali. Diciamo che noi siamo stati i primi a realizzarlo in quantità consistenti in Italia con un ottimo aglio italiano».

A quanto si dice il vostro aglio è stato apprezzato da diversi chef blasonati che lo utilizzano in alcuni dei loro piatti “stellari”…
«Sì, siamo stati, per così dire, “coccolati” dai rinomati ristoratori di ChefToChef ma abbiamo avuto anche il consenso dell’università Alma di Colorno, che è la massima espressione del sapere gastronomico italiano. Più in generale riforniamo diversi punti di ristorazione, per così dire, di qualità. Però va sottolineato che è un prodotto per molti sconosciuto, ma anche molto interessante in cucina. Innanzitutto è facile da usare. Essendo sostanzialmente un aromatizzatore, non si utilizza nel modo classico dell’aglio, ma in piccole quantità a fine cottura, e si sposa in modo versatile con svariate pietanze. Per certi versi è un po’ come il tartufo. Ai piatti conferisce aroma originale, un valore aggiunto, coi suoi sapori di unami, di balsamico, di liquirizia. Lo confenzioniamo in teste, in polvere e in crema».

Parliamo del vostro impianto che ha sede proprio a Ravenna in via Romea
«Si tratta di tre celle per bio fermentazione. Insieme hanno una capacità produttiva molto importante, che ci consente di avere ancora notevoli margini di crescita visto che le stiamo utilizzando al 30 percento della loro potenzialità».

Ultimamente qual’è la quantità della vostra produzione?
«Un ciclo di produzione dura circa 2 mesi, nella cella carichiamo aglio bianco che a fine ciclo esce nero, solo agendo su umidità e temperatura, senza aggiungere nient’altro. Ognuno dei tre comparti della cella ha una capacità produttiva di 2.500 chili di aglio bianco che concluso il processo diventano 1.200 chili di aglio nero. Diciamo quasi la metà della materia prima. In un anno lavoriamo con due celle, e con una dedicata alla variante bio del prodotto base».

Ma avete ottenuto il successo che speravate con questa novità alimentare e gastronomica? Dove volete arrivare?
«Siamo moderatamente soddisfatti, nel senso che essendo un prodotto innovativo, per lanciarlo abbiamo dovuto fare un grande lavoro di comunicazione, un po’ a tutti i livelli perché l’aglio nero viene distribuito in diversi canali e non solo in quello della ristorazione di un certo livello. E quindi c’è voluto un po’ di tempo per avere dei buoni risultati commerciali. Comunque da quando siamo partiti ogni anno abbiamo registrato una crescita. Anche se in questi mesi di tira e molla della pandemia la commercializzazione ha sofferto sensibilmente. Quest’anno finalmente stiamo andando come vorremmo, il prodotto si sta diffondendo, abbiamo aperto un piccolo fronte commerciale anche all’estero e un’ulteriore offerta di “nicchia” qualitativa, rivolta al biologico italiano, con l’interesse della catena “NaturaSì».

C’è qualche altro vegetale come l’aglio che potreste mettere in produzione con le vostre celle di fermentazione?
«Stiamo sperimentando da qualche tempo lo scalogno nero, che è prodotto con lo scalogno di Romagna Igp, quello della zona di Riolo Terme. La tecnologia per la fermentazione è la stessa, c’è solo un’altra ricetta per cui cambia temperatura, umidità e tempi. I risultati sembrano buoni, purtroppo le produzioni sono scarse, c’è un problema di reperibilità della materia prima. Ma su questo versante proseguiremo l’affinamento. Poi abbiamo fatto qualche prova con le cipolle, in particolare con le coltivazioni di qualità di Medicina, ma qui per le caratteristiche intrinseche del vegetale c’è una tendenza ad una eccessiva disidratazione. In questo caso la sperimentazione è ancora agli esordi, ma insisteremo».

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