Quando il pane è secco, in cucina rivive la cultura “contadina” Seguici su Telegram e resta aggiornato Dai passatelli della nonna alla panzanella: per aiutarci a tornare a più consapevoli abitudini alimentari Questa settimana parliamo di ricette antiche in cui il pane è protagonista. Che fosse avanzato o meno, in questi piatti di origine contadina veniva condito con quello che si aveva in casa. Erano consuetudini (forse non si possono chiamare proprio ricette) frutto della creatività delle donne di casa, custodi del focolare domestico ma anche delle pratiche di cucina che venivano tramandate di generazione in generazione, basate sulla parsimonia e sull’abilità di combinare in modo creativo i semplici ingredienti che si avevano a disposizione. Oggi per noi rappresentano il recupero della nostra cultura contadina che dopo il boom economico italiano è andata sempre più “urbanizzandosi”. Rappresentano quindi una bella “fetta” della nostra storia che può aiutarci a tornare a più consapevoli abitudini alimentari, al rispetto verso l’abbondanza di cibo che abbiamo sulle nostre tavole e alla necessità che questo ridiventi un valore vero. Ricordo mia nonna che mangiava tutto accompagnato da una fetta di montanaro o di toscano: dall’insalata alla cioccolata, passando per il sugo e l’olio buono. Quasi come se ogni sorta di “mangiare” fosse incompleto senza un pezzetto di pane. Era sempre presente sulla sua tavola e quello che avanzava lo conservava con molta cura. Nei giorni successivi sarebbe stato trasformato in pangrattato: con la grattugia, lo riduceva in briciole molto fini e poi le essiccava qualche minuto in forno. Per farne cosa? Nella dinamica della sua cucina, direi che certamente sarebbe entrato nell’impasto dei passatelli, nella gratinatura delle verdure al forno o nelle polpette. Se invece non fosse stato grattugiato, sarebbe servito per il pancotto, quello splendido piatto, oramai dimenticato, con il quale sono stata svezzata e che d’inverno, almeno due volte alla settimana, appariva fumante sulla tavola (vedi ricetta in fondo). In altre case, se ne facevano dadini e si abbrustolivano in padella. Avrebbero completato creme e zuppe. Ancora, diventava bruschette su cui poggiare fettine tagliate a coltello di prosciutto: il calore del pane ne scioglieva il grasso e, con un bel piatto di radicchi conditi con olio e aceto, la cena era fatta. Se poi proviamo a spostarci e guardiamo ad altre tradizioni italiane troviamo ancora oggi moltissimi piatti in cui il pane secco è il protagonista. In Trentino Alto Adige, ma anche in Austria e in Germania, la cucina spesso ci propone i canederli, buonissime “pallotte” di pane e altri ingredienti che, una volta bollite in un buon brodo, possono essere servite a minestra oppure asciutte, condite con il burro di malga fuso. In Toscana, abbiamo la panzanella, la pappa con il pomodoro e i crostini in svariate versioni, in Lombardia la torta paesana, quella che viene chiamata anche torta di latte, tipica della Brianza e delle zone comprese tra Milano, Monza e Lecco. È un dolce a impasto molle, a base di pane raffermo, latte, amaretti, pinoli, uvetta, zucchero e cacao. Viene preparato mettendo a mollo il pane tagliato a pezzetti nel latte per due o tre ore, vengono aggiunti e mescolati gli altri ingredienti e cotta in forno. Quasi una sorella del nostro bustrengo. Una ricetta del pancotto Il Pancotto (pezzi di pane raffermo bolliti in brodo o acqua e conditi) è un piatto povero (ma straordinario!) della tradizione italiana dietro al quale c’è la storia dei nostri nonni, che ritenevano il pane un cibo sacro e mai lo avrebbero sprecato. Considerato un discendente della puls tractogalata – una ricetta che il gastronomo romano Apicio (I secolo d.C.) citò nel suo trattato De re coquinaria – la letteratura gastronomica racconta che, quando le risorse erano poche, il pancotto serviva anche per lo svezzamento dei bambini, ma arricchito di salvia: quest’ultima era considerata un calmante per le “colichette” dei neonati. E anche le puerpere ne mangiavano in grandi quantità, ritenendo che favorisse l’allattamento. Diffuso quasi ovunque in Italia, in ogni regione questo piatto ha assunto tratti, e nomi, unici, caratterizzandosi con gli ingredienti propri di ciascuna terra. Io sono molto legata alla ricetta che pubblicò Olindo Guerrini nella sua opera “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa”. È la versione che vi propongo qui (riveduta e corretta in base alle esigenze di gusto e alle possibilità economiche certamente cambiate in più di cent’anni). Ingredienti e preparazione. Prendete del pane raffermo, montanaro o toscano sconditi, circa 150 grammi a testa (meglio evitare il pane all’olio, o con mollica molto morbida e compatta, perché si disfa troppo facilmente). Spezzare grossolanamente e bagnare con un buon brodo di carne bollente, fino a coprire il pane. Quando il liquido sarà stato assorbito, mescolare e mettere la pentola sul fuoco, tenendo la fiamma molto bassa. Lasciar cuocere per circa un’oretta, mescolando di tanto in tanto per evitare che il composto si attacchi al fondo della pentola. A termine cottura il pane deve risultare amalgamato. Togliere dalla fiamma, regolare di sale e di pepe, unire abbondante parmigiano reggiano grattugiato, un tuorlo ogni due commensali (precedentemente amalgamato con il formaggio grattugiato perchè a contatto con il calore non coaguli), burro di buona qualità e una bella spolverata di noce moscata. Total0 0 0 0 Forse può interessarti... 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