Quel cappelletto di magro sposato con canocchia, cefalo e salicornia

Mattia Borroni di Ravenna Food e chef del ristorante Alexander racconta a modo suo il piato preparato per la trasmissione tv Linea Verde che ha fatto discutere gli appassionati ravennati di gastronomia: «La tradizione deve e può essere mantenuta viva nel tempo ma con idee sempre nuove»

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Il cappelletto preparato da Mattia Borroni per la trasmissione Linea Verde

In una Ravenna un po’ sonnolenta, gastronomicamente parlando, il sasso lanciato dalla trasmissione televisiva “Linea Verde” alla ricerca delle tipicità culinarie locali, ha creato un po’ di scompiglio, non so quanto voluto. Si parla di due milioni di spettatori di fronte alla tivù, certamente diverse centinaia di interventi sui social nel web, hanno stimolato riflessioni per un futuro gastronomico in cui l’identità ravennate si evolva positivamente.

Certamente i risultati positivi del turismo del mare e culturale rivolto alla città d’arte hanno bisogno di un’accoglienza gastronomica e una qualità della ristorazione di pari livello che esprima un’identità, come simbolo di scambio e autenticità. E Ravenna, terra di confine fra Oriente e Occidente, fra la cucina mediterranea e quella continentale è da sempre crocevia di rapporti e quindi è vaccinata contro ogni fondamentalismo del passato e velleità del futuro. Tutto ciò deve essere realizzato e proposto privilegiando prodotti che identifichino la nostra terra e la nostra cultura e non prodotti e preparazioni banali, conformiste e a basso costo che soddisfano solo una clientela facile, i cui esempi più eclatanti sono stati, e sono tuttora, la riviera degli anni d’oro e la Bologna città di università e di fiere.

Borroni

Mattia Borroni in compagnia di Federica De Denaro dopo la preparazione della ricetta per la trasmissione Linea Verde

Quando mi è stato chiesto di esprimere un piatto ravennate ho pensato che una pasta ripiena come il cappelletto di “magro” potesse esprimere questa identità e anche rappresentare una tipica “povertà“: l’uso del formaggio anzichè della carne – come tante altre “ripiene“ emiliane – di fatto esprime una limitazione solo apparente poiché nobilitata da una sapienza artigianale che utilizza uno dei più grandi formaggi al mondo come il Parmigiano Reggiano. Tuttavia Ravenna è anche mare, per cui proseguendo nel solco della ravennità, cosa di meglio utilizzare se non quella dolce canocchia che esce dal rifugio sabbioso quando il nostro Adriatico fa le bizze? E quale miglior prodotto delle nostre valli un cefalo dal sapore intenso ma “domabile”? E infine, quale più felice ambiguità di una sapida salicornia che segna il “pia-lassa” delle nostre placide paludi con una salinità che non si esaurisce nel celebre sale di Cervia?

Ecco, a mio parere, cos’è la “cucina d’autore”: un ricordo della nostra più autentica tradizione che ti appare in modo inedito, sconosciuto. Per farti ricordare, capire e sognare. E creare qualcosa di nuovo per la tavola, ma sempre a partire dall’essenza delle nostre radici del gusto e da antichi saperi culinari. Credo che la cosiddetta tradizione – fra materie prime del territorio e preparazioni di cucina “alta” e “popolare” ­– può e deve essere mantenuta viva nel tempo con idee sempre nuove che, per l’appunto, sappiano rinnovarla. Questa è la mia missione, passione e professione. E un giudizio vero si dovrebbe esprimere sempro dopo l’assaggio di un piatto preparato a regola d’arte.

Coraggio cara Ravenna, andiamo avanti assieme per bene accogliere chi viene a visitare questa meravigliosa terra.

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