Bertozzi (Fdi) ricorda le comunicazioni inviate alle istituzioni e alla protezione civile per chiedere la pulizia del Senio dopo le piene di maggio
Le operazioni di recupero della turbina scesa lungo il Senio a Riolo
Un consigliere di Fratelli d’Italia nell’Unione della Romagna faentina, Stefano Bertozzi, ha presentato un esposto alla procura della Repubblica per i mancati interventi di pulizia del fiume Senio all’altezza di Riolo Terme dopo le alluvioni di maggio che avrebbero causato il ripetersi di allagamenti anche all’inizio di novembre.
«Nessuna iniziativa è stata intrapresa prima del 3 novembre 2023, nessun intervento di pulizia in somma urgenza è stato attivato nell’area oggetto di segnalazione nonostante i fondi stanziati dalla struttura commissariale, il legname ed i detriti accumulati sono rimasti esattamente dove la forza delle acque li avevano depositati».
Bertozzi ha ricostruito i passaggi precedenti. «Cumuli di legname, detriti, fango, si sono confusi in quel terribile maggio con la fitta vegetazione presente sia lungo il greto stesso del torrente che lungo gli argini, buona parte di questa si trovava già in stato di abbandono, molti tronchi secchi risiedevano in quelle aree da anni, così come la vegetazione infestante aveva preso il totale sopravvento».
A inizio settembre il consigliere ha fatto verifiche dirette sul posto, oltre a diverse segnalazioni ricevute: «Nessun intervento di pulizia e messa in sicurezza di quel tratto era stata attivata. Ho inviato via Pec una dettagliata comunicazione alla prefettura di Ravenna e per conoscenza alla sindaca di Riolo Terme, al presidente dell’Unione della Romagna Faentina, al presidente della Provincia di Ravenna, all’Arpae e alla protezione civile dell’Emilia Romagna. Il 12 settembre il pretto ha inoltrato a sua volta la mia segnalazione alla protezione civile».
Nella notte del 3 novembre il pericolo segnalato è divenuto reale: «La piena che da Palazzuolo sul Senio è scesa lungo valle ha trovato nell’area indicata l’ostacolo dei detriti e del legname creando delle vere e proprie dighe naturali, questo lungo l’abitato della frazione Isola, lungo via Sebastiano Bertozzi, lungo via Rio Ferrato e via scendere fino ad arrivare nuovamente alla zona termale In tutti i punti in cui il legname ha fatto da diga il fiume ha esondato andando a colpire nuovamente diverse abitazioni, che già avevano avviato o terminato una parte dei lavori, numerose aziende agricole che già avevano ripristinato i terreni e diverse attività turistiche».
Bertozzi chiede di individuare le responsabilità individuali e/o collettive «perché non è possibile che parte di un territorio venga totalmente abbandonato a sé stesso nonostante precise segnalazioni».
Il 26 novembre ultima giorno al Mic per vedere le oepre di settanta artisti da venti nazioni
Si chiude domenica 26 novembre la mostra del 62esimo Premio Faenza al Museo della Ceramica (Mic) di Faenza. La Biennale, una delle più importanti al mondo dedicata alla ceramica d’arte contemporanea, espone le opere di settanta artisti, provenienti da oltre venti nazioni, che rappresentano il meglio della scena artistica contemporanea che ha scelto di utilizzare la ceramica per realizzare le proprie sculture e installazioni.
Nell’ultimo giorno di apertura il Mic Faenza propone dalle 16 l’ingresso gratuito con una visita guidata alla mostra e alle ore 17 la proclamazione ufficiale del premio del pubblico Franco Fabbri che è stato vinto – a grande maggioranza dei voti lasciati dai visitatori – da Sara Cancellieri, classe 1976, con l’opera “San Sebastiano” (2022).
L’opera, che già si era aggiudicata una menzione d’onore, è un chiaro riferimento alla guerra e al dolore di un martirio secolare. Raffigura una U rovesciata composta da tante mine verdi in ceramica autoreggenti. «Le mine verdi – scrive Cancellieri – sono i frammenti di vita lucida che compongono il corpo. Non ferite ma memorie di una tremenda leggenda».
Orari di apertura: mar-ven 10-14, sab-dom e festivi 10-18, chiuso i lunedì non festivi. Info: 0546697311, info@micfaenza.org, www.micfaenza.org.
Un progetto che unisce pubblico e privati e che si estende su una superficie di 70 ettari. Produrrà energia elettrica pari al consumo di oltre 7mila famiglie all’anno
«Un momento storico per la città», dicono i promotori. È stato presentato ufficialmente l’Energy Park Faenza, un progetto che si estende su una superficie di circa 70 ettari (all’azienda agricola le Cicogne, meglio conosciuta come i poderi del Monte) divisa in tre sezioni – un impianto agrivoltaico, spazi per l’agricoltura aperta e un parco urbano per attività ricreative e sportive – e che vuole essere un esempio di come tecnologia, ecologia e agricoltura possano coesistere.
Il progetto nasce da un lungo percorso di collaborazione tra il Comune di Faenza, l’Unione della Romagna Faentina, la Società Agricola Le Cicogne s.r.l., la Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio Faenza, Crédit Agricole Italia, Gruppo Hera e Studio LBLA. Un percorso che ha visto gli attori privati unirsi per creare un modello di sviluppo sostenibile che unisce la produzione di energia rinnovabile all’agricoltura, preservando nel contempo la biodiversità e la bellezza naturale del territorio.
«Oggi – ha commentato l’assessore all’Ambiente del Comune, Luca Ortolani – abbiamo il privilegio di annunciare un caposaldo della sostenibilità e dell’innovazione per il nostro territorio. In un’area di oltre 70 ettari, situata ai margini della città di Faenza, stiamo trasformando ciò che un tempo era destinato a diventare un vasto complesso residenziale in un progetto di avanguardia di transizione ecologica. Questo spazio, che avrebbe potuto essere occupato da una densa urbanizzazione, si evolverà ora in un ambiente vivo e rigenerante, dedicato alla sostenibilità e al benessere delle future generazioni».
La produzione di energia elettrica sarà realizzata mediante impianti agrivoltaici – in grado di combinare la produzione di energia solare con l’agricoltura -, costituiti da strutture di sostegno dei pannelli fotovoltaici ad una altezza da terra di qualche metro che permette il passaggio dei mezzi agricoli utilizzati per la coltivazione. Questi sistemi consentono di ridurre al minimo l’occupazione di suolo, permettendo la coltivazione del 90-95% dei terreni sui quali sono installati. Il funzionamento di questi impianti è ad inseguimento solare: un dispositivo meccanico automatico orienta i pannelli fotovoltaici nella direzione dei raggi solari.
I pannelli fotovoltaici che saranno installati inoltre saranno bifacciali, ossia consentiranno di sfruttare la radiazione luminosa su entrambe le facce del modulo con l’obiettivo di massimizzare la generazione di energia elettrica. Si ipotizza, inoltre, l’installazione di adeguati sistemi di monitoraggio che permetteranno di verificare l’incidenza degli impianti sulla produzione agricola.
Il nuovo impianto sarà composto da 20.000 pannelli per una potenza totale di circa 14 MW e si prevede una produzione di energia elettrica di 20 GWh all’anno, pari al consumo di oltre 7.000 famiglie, con un risparmio annuo in termini di anidride carbonica di circa 7.000 tonnellate.
Ivan Morini è l’ideatore del corteo “in scarpe rosse”, in programma il 25 novembre. «Non giriamo la testa dall’altra parte»
«La violenza sulle donne riguarda tutti, anche chi non è coinvolto direttamente, ed è importante che gli uomini manifestino un forte dissenso».
Ivan Morini, 75enne di Ravenna, è il vicepresidente dell’associazione Femminile Maschile Plurale e l’ideatore in città del corteo “Uomini in scarpe rosse”, che si terrà sabato 25 novembre (il programma a questo link), in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, nelle vie del centro di Ravenna. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di raggiungere l’attenzione del maggior numero di uomini possibile, facendo scaturire in loro delle domande e di stimolare una riflessione sul tema, far sorgere l’interrogativo: “Cosa stiamo effettivamente facendo di costruttivo affinché il fenomeno possa invertire la tendenza?”.
L’iniziativa è giunta quest’anno alla sua terza edizione e negli anni è stata proposta in una quindicina di città italiane. «La prima edizione a Ravenna risale al 2021 – spiega Morini – ed è stata promossa seguendo l’esempio di un’iniziativa svoltasi a Biella, dove era stata raccolta la sfida della giornalista e conduttrice televisiva Milena Gabanelli, che aveva criticato gli uomini per non scendere in pazza davanti a questa problematica che li riguarda direttamente».
«La seconda edizione – continua l’ideatore – si è allargata alla cittadinanza e a tutti coloro che hanno voluto prenderne parte, non solo uomini ma anche donne, passando da 55 a 250 partecipanti, comprese diversi rappresentanti delle istituzioni e alcune scolaresche di Ravenna».
Secondo Morini «è importante che gli uomini non girino la testa dall’altra parte davanti a una discriminazione o a un pensiero violento. La nostra società è incentrata sul patriarcato e il maschilismo: l’uomo ritiene di avere una supremazia sulla donna in termini di possesso e di comando e questi fatti tragici sono generati proprio da questo tipo di mentalità. In qualsiasi tipo di evento culturale o sociale la partecipazione femminile è sempre maggioritaria, a meno che non si tratti di sport o di politica, ed è fondamentale che anche gli uomini si assumano le proprie responsabilità».
Ivan Morini è anche vicepresidente e tesoriere dell’associazione Femminile Maschile Plurale, nata a Ravenna nel 2008 e composta fin dall’inizio da donne e uomini, sia del territorio che provenienti da altre città italiane, che condividono l’appartenenza all’esperienza femminista. «Questa associazione – spiega il vicepresidente – è nata da alcuni corsi sul femminismo che venivano organizzati all’università degli adulti di Ravenna e da quindici anni promuove progetti per le scuole, organizza conferenze, presentazioni di libri e seminari sul tema. L’educazione nelle scuole è il terreno principale su cui insistere, ma ancora oggi mancano delle leggi, così come andrebbero perfezionate la prevenzione e l’assistenza alle donne che si trovano in situazioni di difficoltà».
«Bisogna sollecitare le menti a riflettere il più possibile – conclude Morini – e sarei contento se si cercasse di organizzare qualcosa a livello regionale o coinvolgendo tutti i comuni della Romagna per dare un forte segnale di presenza “fisica” maschile».
Domenica appuntamento con il “music game” della Corelli. Sabato invece l’ultima conversazione, alla Domus dei Tappeti di Pietra
L’ultimo appuntamento autunnale della rassegna “La meraviglia abita qui: le conversazioni di Classis”, in programma sabato 25 novembre alle ore 11, si terrà, in via del tutto eccezionale, alla Domus dei Tappeti di Pietra.
In occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, le protagoniste Giovanna Montevecchi, archeologa, Elisa Tosi Brandi, medievista, e Cristina Rocca, stilista, proporranno il tema “Donne, abiti e società: dall’antichità ai nostri giorni”.
Il giorno dopo, domenica 26 novembre (ore 17), al Museo Classis si terrà invece uno spettacolo in forma di melologo, che unisce musica e recitazione, in cui gli spettatori diventano investigatori e decidono l’andamento della storia, interagendo con il proprio smartphone per risolvere un giallo legato a un famoso titolo d’opera lirica.
Si tratta di Melo_Logic: indagine in musica. Passione romana, evento nato in collaborazione tra la fondazione Ravennantica e La Corelli.
A dirigere La Corelli Ensemble nelle musiche composte da Damiano Drei, su libretto di Giacomo Sangiorgi, c’è Daniele Rossi, mentre la regia è di Marco Montanari, che divide la scena con Camilla Berardi. L’appuntamento sarà coronato dalla visita guidata al museo e alle nuove sezioni Abitare e Pregare a Ravenna, con la guida di Fabrizio Corbara, curatore dei nuovi allestimenti.
L’evento è realizzato in collaborazione con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, la Fondazione Ravenna Manifestazioni e il Teatro Alighieri.
«Siamo felici di sperimentare questa nuova e originale forma musicale all’interno di un museo – spiega Jacopo Rivani, direttore artistico de La Corelli e ideatore del progetto – La produzione punta alla messa in scena di contenuti estremamente fruibili, vivaci nella composizione e nell’esecuzione. Melo_Logic è un formato di music game da giocare in digitale, su partiture di musica classica contemporanea create per lo spettacolo integrando influenze da tutti i linguaggi musicali, con il risultato di una sonorità trasversale facilmente fruibile per il pubblico di riferimento. Una nuova frontiera dell’edutainment dedicata ad un pubblico giovane, per avvicinare nuovi pubblici alla musica d’arte contemporanea».
Info e prevendite. Biglietteria Teatro Alighieri 0544 249244; biglietti a 5 euro.
Ecco il Cau di Ravenna con medici e infermieri a disposizione per sintomi influenzali, ferite, punture di insetti, nausee…
Il cantiere per la sala d’attesa al Cmp di Ravenna
Aprirà il 15 gennaio al Cmp di via Fiume Abbandonato il primo Centro di Assistenza e Urgenza (Cau) di Ravenna. L’apertura rientra in un’ampia riorganizzazione delle cure primarie territoriali e del sistema di emergenza-urgenza regionale. I Cau dovranno rappresentare «il nuovo modello di sanità territoriale potenziata – si legge in una nota della Regione – pensato per rispondere alla gran parte dei bisogni e delle urgenze a bassa complessità clinica e assistenziale, sgravando così i Pronto soccorso, dove far confluire solo i casi più gravi. Per una presa in carico più veloce e appropriata».
Dal 1° novembre è partita una campagna di comunicazione, anche multimediale, che la Regione ha messo a punto per spiegare come funzionano e a quali bisogni danno risposta i Cau. Rivolta a tutta la popolazione, in cinque lingue (italiano, inglese, francese, arabo e cinese) spiega le finalità della riorganizzazione, le caratteristiche della nuova rete, la tempistica di attivazione, dove sorgeranno e come funzioneranno i Cau, per quali patologie sono indicati. Con una sezione Domande/Risposte disponibili online per chiarire eventuali dubbi dei cittadini (al sito https://salute.regione.emilia-romagna.it/emergenzaurgenza).
Qui riportiamo l’elenco dei malesseri e delle patologie per cui è indicato recarsi al Cau e non più al pronto soccorso: medicazioni e altre prestazioni infermieristiche; lesioni o dolori agli arti; eritemi; punture da insetti; febbre; lombalgia; dolori addominali; lievi traumatismi; ferite superficiali; irritazioni cutanee; dolori articolari o muscolari; coliche; sintomi influenzali; tumefazioni; nausea o vomito.
Al Cau si accederà per ordine di arrivo, “a meno di valutazioni specifiche da parte del personale presente”.
Non si pagherà il ticket, la prestazione è gratuita.
Nei nuovi centri saranni impiegati personale infermieristico e medici di continuità assistenziale (ex guardia medica), dopo un periodo di apposita formazione.
Sono complessivamente 30 i primi Cau che saranno attivati su tutto il territorio regionale entro il 2023 (a Ravenna si arriverà in ritardo a causa dei lavori di ristrutturazione in corso alla sala d’attesa del Cmp). In provincia è considerato anche il nuovo Cau di Cervia, ma in realtà si tratta solo di un cambio di denominazione del Punto di primo intervento già operativo nella Citta del Sale con le medesimi funzioni.
Per quanto riguarda il Cau di Ravenna, invece, aprirà come detto il 15 gennaio al piano terra del Cmp, senza che siano necessari interventi strutturali particolarmente impegnativi. Avrà a disposizione due ambulatori con due medici e due infermieri (sono state effettuate nuove assunzioni, per un investimento economico non comunicato, ma che comprende anche gli allestimenti, le attrezzature e la formazione dei medici, in corso proprio in queste settimane).
L’Ausl (sulla base dell’analisi dell’incidenza dei cosiddetti “codici bianchi” all’attuale Pronto Soccorso) stima dai 50 ai 70 pazienti al giorno.
Una per ogni mese, in tutto il territorio regionale
Frasi dure come schiaffi, che mortificano, umiliano, disorientano e minano l’autostima delle donne. Non sono solo parole ma è violenza vera e propria. Riconoscerla, e chiedere aiuto rivolgendosi ai Centri antiviolenza del territorio, è fondamentale per fermarla, prima che sia tardi. Frasi che per tutto il 2024 sarà possibile leggere nelle strade e nelle piazze dell’Emilia-Romagna, attraverso Se te lo dice è violenza, la nuova campagna di comunicazione della Regione Emilia-Romagna per contrastare la violenza contro le donne, iniziando dalle parole.
“Sei cretina”; “Se mi lasci ti rovino; “Dove cazzo sei stata? Dammi il cellulare”, “Stai zitta, devi obbedirmi”; “Puttana”. E altre ancora. Dodici frasi, vere, di uomini rivolte a donne: una per ciascun mese (a partire da gennaio) scandiranno l’intero prossimo anno, da gennaio a dicembre. Una campagna di comunicazione duratura, che coprirà un lungo periodo, per tenere sempre alta l’attenzione, anche quando il clamore legato a drammatici casi di cronaca sarà spento.
«Ciò che sta accadendo non è un’emergenza, è un problema sociale. Praticamente ogni giorno leggiamo di donne picchiate o uccise da compagni ed ex. L’ultimo caso è quello di Giulia Cecchettin, ma purtroppo ce ne sono molti altri. Anche negli ultimi giorni in Emilia-Romagna ci sono stati episodi gravissimi di donne scampate per miracolo alla violenza dei partner – affermano Stefano Bonaccini e Barbara Lori, presidente della Regione e assessora alle Pari opportunità -. È arrivato il momento di rispondere con la stessa forza. Serve informare e educare a un modello relazionale sano e mai dominante, a partire dalle scuole. Ma serve, subito, andare oltre finte cautele, per aiutare le donne a riconoscere la violenza in tempo, prima che degeneri, e fare in modo che chiedano sostegno alla rete dei servizi sul territorio, ai Centri antiviolenza. Perché la violenza psicologica non invisibile, si vede benissimo. Con questa campagna diciamo concretamente cosa significa umiliare una donna, facendo esempi concreti, scrivendo chiaramente le frasi dette dagli uomini, risultato di una cultura patriarcale che deve cessare, affermazioni che non possono essere considerate normali: sono violente e nessuna donna deve mai sentirsele dire. Sopportarle in silenzio, mentre il tempo passa, ha conseguenze negative per l’autostima e potrebbe averne per l’incolumità fisica. Basta».
«I femminicidi sono la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più esteso, che è la violenza di genere. Espressione di un pensiero patriarcale, arcaico, seppure ancora molto radicato, la cui più diffusa manifestazione è la violenza psicologica – sottolinea Cristina Magnani, presidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna -. Questa è terreno fertile di ogni altro abuso. L’emersione dalla società della violenza di genere presuppone un radicale cambiamento culturale. Non ci può essere cambiamento senza riconoscimento di cosa sia la violenza. Per questo è importante chiarire che le parole non sono indifferenti. Insulti, denigrazioni, svilimenti sono il primo segnale di una personalità prepotente, padronale e costituiscono violenza essi stessi. E’ importante che la società non sia assuefatta a determinate espressioni, lesive della dignità e del decoro delle donne, ma le riconosca per quello che sono: atti di violenza. Per questo la campagna “Se te lo dice è violenza” è un passo importante per orientare le coscienze al cambiamento culturale, al rispetto della donna».
Fino al 26 novembre all’Alighieri il noto drammaturgo (ravennate d’adozione) con Kohlhaas, giunto alla 1.136esima replica
(foto Luca Deravignone)
Da poco divenuto cittadino ravennate, il piemontese Marco Baliani – attore, drammaturgo, regista teatrale – è con buona evidenza una delle figure più importanti della scena teatrale nazionale degli ultimi trent’anni, tanto che La stagione dei teatri ne propone ben tre spettacoli: il seminale Kohlhaas, del 1990, in scena all’Alighieri da giovedì 23 a domenica 26 novembre (ore 21, domenica ore 15.30, incontro col pubblico sabato 25 alle 18 alla sala Corelli); Una notte sbagliata (2019), al Rasi il 1 marzo, e Frollo (1995), inserito il 3 marzo al Teatro Socjale di Piangipane nella stagione per ragazzi. Di questa sorta di omaggio parliamo direttamente con il protagonista.
Baliani, tre spettacoli in stagione a Ravenna, approfondiamoli insieme. Con Kohlhaas ha dato vita a quello che fu chiamato teatro di narrazione. Come si arrivò nel ’90 a un palcoscenico su cui restava solo un corpo e una voce?
«Già dal 1984 andavo in giro solo con una sedia a fare spettacoli per bambini e ragazzi, a cui raccontavo storie, fiabe, a volte prese dalla tradizione. Ma poi iniziai a raccontarne di mie, a crearne di nuove, sempre con ambientazioni fantastiche e soprattutto per ragazzi; per cui avevo già maturato questa modalità, che non chiamerei né metodo né tecnica, lo facevo perché avevo visto che questo tipo di narrazione funzionava, soprattutto in situazioni di bambini con difficoltà psichiche o problemi, ad esempio la provenienza da famiglie disagiate. La mia idea era sempre quella di un teatro da usare socialmente, che è stato il mio pallino fin dagli anni ’70, dunque un teatro che non fosse solo da vedere, estetico, ma che servisse. Poi, nel 1989, Remo Rostagno, con cui avevo lavorato parecchie volte, mi disse di leggere Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist, un libro che poteva diventare un bellissimo racconto; lo lessi e mi piacque subito, non so come mai, sentivo che c’era qualcosa. Poi l’ho scoperto dopo, è il tema della giustizia. E così iniziai a raccontarlo e per due anni Kohlhaas lo feci per le scuole, con più di 200 repliche, finché un giorno Monica Gattini del Teatro Verdi di Milano lo vide e propose di farlo in serale. Ebbe molto successo, tanto che due critici come Renato Palazzi e Ugo Ronfani si chiesero “come lo chiamiamo, questo teatro che sarebbe piaciuto a Brecht?, lo chiamiamo teatro di narrazione”. La definizione nacque così e tutto mi aspettavo tranne che diventasse un genere. La mia idea era di spostare l’orecchio al posto dell’occhio, rispetto a una società in cui l’occhio era invasivo, l’occhio è tutto, punta al desiderio del consumo; era una lotta anche etico-politica, che lo spettatore non avesse quasi più nulla da vedere se non il mio corpo su una sedia e tutto il resto da immaginare solo ascoltando. Lo spettacolo poi è diventato un po’ un cult – a Ravenna sarà la 1.136ª replica – ormai lo vengono a vedere cinquantenni che lo hanno visto trent’anni prima e che ora portano i figli. Finché resisto…»
Ma secondo lei i sentimenti e le reazioni del pubblico nei confronti di Kohlhaas sono cambiati negli anni?
«Sono cambiati perché è cambiata la società, nel senso che nell’89 o 90 c’era ancora un senso di giustizia e ingiustizia, adesso è come se si fosse tutto un po’ addormentato; ho la sensazione che ora ci sia una sorta di grande sonno in cui anche il tema dell’ingiustizia non muove più tanto gli animi, ed è terribile, ci dice dell’indifferenza che regna. Tuttavia chi viene a vederlo sente fremere delle emozioni, ma dipende molto anche dall’età degli spettatori. I giovani, con cui mi confronto spesso dopo gli spettacoli, sono molto appassionati, chiedono dettagli su questa storia del ‘500, se sia accaduta veramente, emergono riflessioni sul cosa fare di fronte a un’ingiustizia, questa dell’ingiustizia devo dire che è una questione che colpisce di più le giovani generazioni, i 19-20enni li trovo molto più attivi, combattivi, è stata una sorpresa».
Parlando di ingiustizia, anche Una notte sbagliata è legato in qualche modo a Kohlhaas.
«Il tema dell’ingiustizia è un po’ un maelstrom in cui mi trovo sempre a navigare, nel senso che tutto arriva dagli anni ’70, che per me sono ancora un groppo in gola, sono gli anni in cui si sarebbe dovuto fare ma non si è fatto, e quando si è fatto si è fatto forse male, con troppa violenza. Tutto è generato da quel buco nero, ma Una notte sbagliata nasce anche dall’aver conosciuto quelli del Paolo Pini di Milano, l’ex ospedale psichiatrico, persone squisite che fanno il festival Da vicino nessuno è normale. Stando lì a lavorare con un altro spettacolo ho conosciuto molto i degenti, quelli che una volta chiamavamo i matti e che invece lì si occupano del ristorante e sono molto attivi. Parlando con i loro medici ho imparato tante cose e cominciai a pensare al possibile protagonista di una storia – e ce ne son state tante nel paese – in cui i poliziotti finiscono per ammazzare qualcuno. Il mio protagonista, Tano, ha problemi molto acuti, tra depressione ed euforie, prende medicinali tutti i giorni. Ma ai poliziotti non insegnano come comportarsi coi diversi, è un meccanismo vecchio come il mondo cui assistiamo ogni giorno, ne sono successe tante di vicende così, non ultima quella forse più nota di Stefano Cucchi. Tuttavia non volevo fare teatro civile che parlasse di una persona in particolare, bensì, più in generale, del capro espiatorio, perché i diversi sono sempre quelli che subiscono, la diversità genera immediatamente qualcosa che scatena violenza sui loro corpi, questo è il tema. Però lo spettacolo è molto diverso da Kohlhaas, perché non volevo più essere io il narratore che sapeva tutta la storia, ma essere in parte un personaggio, entrando di volta in volta nella testa dei poliziotti, del dottore, del cane di Tano, entrare e uscire con un linguaggio interpretativo molto forte ma con vari spiazzamenti, tanto che la narrazione si perde proprio, è un insieme di quadri dove via via si arriva alla catastrofe finale. Nello spettacolo c’è un gran lavoro sonoro, molto intenso, fatto da mio figlio Mirto, che abita e lavora a Ravenna da tanti anni, e immagini molto forti proiettate, disegni che ho fatto io».
Tra l’altro in quell’occasione, dopo lo spettacolo ci sarà un incontro cui parteciperà anche Ilaria Cucchi.
«Non vedo l’ora, altre volte l’incontro a fine spettacolo l’ho fatto insieme a dei magistrati, sono momenti molto belli».
Infine c’è Frollo, che è nella sezione di teatro ragazzi ma che ha una trama interessantissima, metafora della società dei consumi.
«Frollo appartiene all’origine del teatro di narrazione, fa parte di quel tipo di drammaturgia in cui il corpo narrante è tutto, ancor più che Kohlhaas, e infatti al termine di Frollo di solito sono esausto, l’impegno corporeo è assurdo, il corpo si mimetizza, diventa tutti i personaggi».
Da qualche tempo si è trasferito a Ravenna, cosa l’ha portata qui, oltre naturalmente alla presenza di suo figlio e delle sue nipotine?
«A me e Maria Maglietta, la mia compagna, nonché regista e drammaturga dei miei spettacoli, piaceva l’idea che ci fosse il mare, che per noi è una cosa meravigliosa, ma poi la città è bellissima. Era bella anche Parma, dove stavamo prima, ma trovo che Ravenna sia molto più misteriosa, più magica, non solo per i mosaici e i monumenti, ma anche come urbanistica. È labirintica, mi ricorda sempre che lì c’è stato un passaggio epocale da un impero a un altro, una città che è stata al centro del mondo per un lungo periodo storico. Quindi camminare lì, nelle piazze, nei luoghi danteschi, mi piace molto».
Superato il corso di formazione voluto dal questore Pennella: sei centauri alla sezione Ferroviaria e sette alla Stradale
La polizia di Stato in provincia di Ravenna ha formato tredici agenti della sua pianta organica per la patente di guida per i motocicli in uso alla polizia. Il corso di formazione, voluto dal questore Lucio Pennella, è stato interamente seguito a Ravenna da istruttori di comprovata esperienza in forza alla polizia stradale e alla polizia ferroviaria.
I sei neo-motociclisti della questura saranno destinati ai servizi di prevenzione della criminalità sulle strade cittadine, mentre i sette centauri della Polstrada verranno impiegati nelle attività di vigilanza stradale della provincia e nei servizi di scorta alle gare ciclistiche e negli altri per la sicurezza della circolazione.
Il commissario capo Davide Pani, dirigente della Stradale, ha espresso «piena soddisfazione per il grande risultato conseguito» e ha ricordato che «storicamente i poliziotti della Stradale viaggiano su due ruote ed è una tradizione che la Stradale di Ravenna porterà avanti nel solco di un’esperienza lunga più di 75 anni».
La Fiom è pronta alle vie legali contro il colosso dell’acciaio per una vicenda nello stabilimento di Ravenna. L’azienda dice che è stata l’azione isolata di un dirigente ma non fornisce prove di sanzioni
Lo stabilimento Marcegaglia di Ravenna in via Baiona
Il sindacato Cgil, attraverso la sigla di categoria Fiom, è pronto ad agire per vie legali nei confronti dell’azienda Marcegaglia per atteggiamento antisindacale. «Tuteleremo i lavoratori che sono stati vittima di un’ingiusta discriminazione conseguente all’adesione allo sciopero che si è svolto lo scorso 18 ottobre nello stabilimento di Ravenna – spiega il segretario generale della Fiom-Cgil Ravenna, Ivan Missiroli -. Nei giorni successivi alla giornata di astensione dal lavoro, un dirigente dell’azienda ha inviato un’email nella quale intimava di escludere dagli straordinari del sabato, molto ambiti dai dipendenti perché comprensivi di maggiorazione sullo stipendio, alcuni lavoratori di un reparto che avevano partecipato allo sciopero».
Secondo il sindacalista, il testo della email scritta dal dirigente, che è stato esposto nella bacheca dove il personale legge i propri orari, «non lascia alcun dubbio sulle motivazioni del provvedimento ed è un chiaro esempio di come alcuni dirigenti di Marcegaglia intendano i rapporti con i propri collaboratori».
Anche in vista dello sciopero generale del 24 novembre, Fiom aveva richiesto una sanzione esemplare al dirigente e scuse pubbliche a tutti i lavoratori per quanto accaduto: «La direzione si è limitata a rispondere in maniera insufficiente, banalizzando l’accaduto e riducendolo a un’iniziativa personale del proprio dirigente. L’azienda ha risposto di aver comminato una sanzione al dirigente, senza darne prova, e non ha pubblicato una dichiarazione pubblica di rassicurazione ai lavoratori».
Missiroli sottolinea che Fiom non può accettare ricatti e minacce ai lavoratori: «In un momento come questo in cui sono in atto mobilitazioni generali in tutto il Paese, crediamo che Marcegaglia dovrebbe ergersi ad esempio per le relazioni sindacali, visto che si vuole fregiare di certificazioni e fa dichiarazioni di buoni rapporti coi propri lavoratori».
Già il sindacato Usb aveva lamentato discriminazioni per chi sciopera: «Ai lavoratori “colpevoli” di aver scioperato viene negata la possibilità di svolgere volontariamente la prestazione lavorativa straordinaria. Un trattamento discriminatorio che coinvolge anche i lavoratori turnisti, “colpevoli” di ammalarsi, e vengono spostati in orario di lavoro giornaliero dopo il periodo di assenza per malattia. Con queste pratiche discriminatorie i lavoratori subiscono forti tagli al proprio salario: una pratica ormai consolidata nel tempo che ha contribuito fortemente a creare un clima di profondo malessere».
«[…] l’ultimo, sono quelle cose che ti vengono a mente… tutti m’han chiesto, come mai Grosso l’ultimo? Ma perché, ho pensato, Grosso è l’uomo dell’ultimo minuto. Ha fatto il rigore al 94esimo con l’Australia, ha fatto gol al 120esimo con la Germania, ho detto, fai l’ultimo gol, l’ultimo rigore». (Marcello Lippi)
4 luglio 2006. La semifinale ce la vediamo dalla Nonna, un posto specifico a San Mauro in Valle dove ci troviamo spesso tra amici – l’appartamento sfitto della nonna di uno di noi, c’è un camino per grigliare la carne e Francesco ai fornelli è Dio. Una partita di una sofferenza senza senso che non vuol saperne di andare ai rigori – nel secondo supplementare, letteralmente, una palla-gol al minuto. Pirlo tira una sleppa senza senso che non entra per un miracolo di Lehmann; Del Piero batte l’angolo in mezzo, la palla esce fuori, ancora sui piedi di Pirlo – che sta pensando di tirare ancora ma ha davanti un muro di tedeschi a pressare. La gioca di fianco, ne manda un paio al bar, con la coda dell’occhio vede Grosso a destra – è quasi sulla linea di fondo ma è smarcato, gli arriva il pallone, lo tira a giro sul secondo palo, al volo, con un sinistro impossibile – ma Grosso è l’uomo dell’ultimo minuto. La nonna esplode, nessuno capisce più un cazzo, siamo tutti ubriachi e siamo tutti completamente usciti di testa. È il lieto fine di un film di Fantozzi. I tedeschi ci riprovano, Cannavaro se li beve, ripartiamo. Gilardino sta per andare uno contro uno. Ma Del Piero si è fatto tutto il campo e sta arrivando a sinistra. Qualche anno dopo Federico Buffa dirà che ha già segnato prima di ricevere il pallone e non c’è una singola persona in Italia o in Germania che in quel momento non se ne sta rendendo conto. Il 2 a 0 si porta via tutta la voce che ci era rimasta in corpo, la faccia di qualcuno è più rossa delle ultime bottiglie di vino rimaste. La partita è finita. Qualche minuto dopo chiamo la mia ragazza, lei l’ha vista a casa con la sua famiglia. Per la finale devi essere qui anche tu, le dico. Lei mi risponde: OK, avevamo anche i biglietti del concerto, magari lasciamo stare.
Ecco, tra tutte le cose che succedono di questi tempi, il concerto non ce l’avevo in mente. Sto con lei da qualche mese e per il suo primo regalo di compleanno avevo pensato di regalarle i biglietti di qualche concerto del Ravenna Festival, tra cui la filarmonica di San Pietroburgo diretta dal maestro Yuri Temirkanov. Domenica 9 luglio, Pala De André, Ravenna.
Temirkanov durante il concerto al Pala De André il 9 luglio 2006
La settimana seguente si divide fra la strizza alla vigilia di una finale durissima e il dubbio su cosa fare. La stessa organizzazione del Festival non ha bene idea di cosa debba succedere da qui in poi. La vibrazione che sembra essersi impossessata della città: il concerto s’ha da fare. E poi tanto gli amanti della classica mica sono tifosi di pallone, giusto? Più facile a dirsi che a farsi. Il concerto è l’evento di punta del Ravenna Festival 2006, è probabilmente sold out e c’è il rischio che, a farlo in contemporanea con la partita, il 70% dei partecipanti s’infili il biglietto sotto il materasso e se ne stia chiusa in casa a soffrire per 90 minuti. Altro problema, a cui i ravennati sono piuttosto usi: durante il Ravenna Festival le strade intorno al Pala De André vengono chiuse per evitare che il rumore del traffico disturbi l’orecchio di chi ha pagato il biglietto. Questo vuol dire chiudere il tratto di viale Europa tra le due rotonde e un pezzo di via Trieste, cioè il principale collegamento tra Ravenna e il mare, a metà luglio e la sera della finale dei mondiali. Fatto salvo che non credo si possa dire con leggerezza alla Filarmonica di San Pietroburgo “se non vi scoccia slittiamo alla domenica dopo”, occorre trovare una soluzione di compromesso.
Si decide di fare il concerto. Si decide di posticiparlo, nella speranza che magari la partita si risolva nei novanta minuti, e a fine incontro inizierà il concerto. Si decide di montare un maxischermo al centro del palco su cui chi non vuole rinunciare al concerto potrà comunque vedersi la partita. Non conosco, ma immagino le speranze dell’organizzazione: a fine primo tempo l’Italia ne ha presi quattro, Ravenna diventa un mortorio, alle nove e tre quarti si inizia con la città deserta e qualche scettico fa in tempo a presentarsi prima dell’inizio. Worst case scenario, sempre per l’organizzazione: la partita finisce ai rigori, l’Italia vince, il concerto inizia a un orario inverosimile mentre l’intera città di Ravenna si riversa a festeggiare ai lidi sud con la mano incollata al clacson.
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Se me lo chiedeste oggi, non saprei dirvi perché ho deciso di andare comunque al concerto. Mi piace pensare che si sia messo di mezzo il destino, come la scena in cui Robin Williams racconta di aver conosciuto sua moglie, in Good Will Hunting (anche lì c’è di mezzo una partita storica). Più probabilmente c’è il fondato sospetto che verremo presi a pallonate dai francesi. Sta di fatto che decido di esserci, e alle ore 20 di domenica 9 luglio 2006 sono seduto in una delle prime file della platea di un Pala De André prevedibilmente semideserto. Alla mia sinistra c’è la mia ragazza. Alla sinistra della mia ragazza ci sono i musicisti della Filarmonica di San Pietroburgo, perché va bene la serietà professionale, ma quando cazzo ti ricapita di suonare in Italia la sera che l’Italia si gioca la finale dei mondiali?
Dettaglio a margine, altrettanto prevedibile: io, la mia fidanzata e qualche violinista siamo gli unici under-55 presenti in questo luogo.
La festa degli spettatori al Pala De André dopo la vittoria dell’Italia ai mondiali del 2006
Partita memorabile, e che te lo dico a fare. Un cucchiaio incredibile di Zidane, un colpo di testa incredibile di Materazzi, un colpo di testa incredibile di Zidane su Materazzi. Il worst case scenario è servito: si va ai rigori. Trezeguet piglia una traversa, tutti gli altri vanno dentro e Fabio Grosso, l’uomo dell’ultimo minuto, si trova sui piedi la palla di una generazione. E lui ha già segnato prima di calciare. Campioni del mondo. La gente è in estasi, mi abbraccio con la fidanzata, i russi festeggiano. Un minuto dopo che la palla è entrata in rete lo schermo si spegne. Una signora prende il microfono, ci informa che il Maestro Temirkanov è stato paziente ma ora è il momento di sederci ai nostri posti. L’atmosfera è impensabile, perfino i musicisti sembrano colti alla sprovvista. Ma tutto si ricompone e in cinque minuti la Filarmonica di San Pietroburgo, diretta da Yuri Temirkanov, inizia il suo concerto. Mentirei se dicessi che ho assistito alla prima parte dell’esecuzione: sono sgattaiolato al bar del Pala De André e mi sono visto Cannavaro alzare la coppa, assieme a tutti i maschi che avevano avuto la malaugurata idea di presentarsi. I quaranta minuti di Stravinskij me li ricordo molto carini: non sono un esperto di classica ma credo che Stravinskij, con una partitura di clacson in sottofondo, guadagni molta profondità di esecuzione. Voglio dire, come fai a isolare il rumore di una città che ha vinto i mondiali?
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Nel leggere la rubrica di Enrico Gramigna ho appreso con tristezza della morte di Yuri Temirkanov, avvenuta il 2 novembre scorso. Il Maestro aveva 84 anni. Quello che avete appena letto vorrebbe essere un tributo: non so assolutamente nulla di lui, ma posso vantarmi di averlo sentito dirigere la Filarmonica di San Pietroburgo, nella notte di musica più surreale della mia vita. Quattro anni dopo, un video musicale sarebbe iniziato esattamente allo stesso modo: primo piano di Fabio Grosso, il rigore a incrocio, la corsa con le braccia al cielo in quel prato di Berlino, e poi comincia la musica. Era il video di Waka Waka di Shakira, la canzone ufficiale della Coppa del Mondo 2010. La storia della musica serve pietanze piuttosto fantasiose.
Entusiasmo per il Ravenna capolista: l’appello dei tifosi per seguire la squadra al Morgagni
Foto di Filippo Venturi da Ravenna-Mezzolara del 19 novembre 2023
Sale la febbre del “derby della Ravegnana” tra i tifosi del Ravenna Fc, in vista della trasferta di Forlì di domenica. Il primo posto in classifica e l’atteso cambio societario ha riportato l’entusiasmo tra i sostenitori giallorossi, che lanciano appelli alla città per seguire in massa la squadra.
I biglietti per il settore ospiti dello stadio Morgagni sono acquistabili esclusivamente in prevendita, da stamattina (giovedì 23 novembre) fino alle 19 di sabato 25 novembre, a Ravenna al bar Revenge di via Aldo Bozzi o all’agenzia Desiderando Viaggiare di viale Brunelleschi, e su Vivaticket a questo link.
La partita Forlì-Ravenna, valida per la tredicesima giornata del campionato di calcio nazionale di serie D (girone D), è in programma domenica 26 novembre alle 14.30. I padroni di casa sono settimi in classifica, ma solo 9 punti dietro il Ravenna capolista.