La replica delle prime tre lezioni promosse dall’Auser: il 7, 15 e 22 marzo
Visto il grande successo degli incontri organizzati a febbraio (con molte serate da “tutto esaurito”) e le numerose richieste pervenute, l’Auser Ravenna – in collaborazione con il Consorzio Agrario, Ada, Anteas e con il patrocinio del Comune di Ravenna – ha deciso di replicare le prime tre serate del corso “Il bello di coltivare la vita”, sempre alla sala Buzzi di via Berlinguer 11 a Ravenma.
Il primo appuntamento è in programma nella serata di martedì 7 marzo alle 20: Luciana Mazzotti e Annalisa Tavazzini parleranno rispettivamente di erbe spontanee ed erbe aromatiche. I due appuntamenti successivi, sempre a marzo, sono invece in programma al mercoledì: il 15, Luca Fagioli parlerà di “Regole e consigli per una corretta difesa fitosanitaria negli orti urbani in base alle normative attuali”; il 22, Daniele Selvi spiegherà come “Coltivare e produrre ortaggi per il consumo familiare”.
Per informazioni e iscrizioni: 0544 1884430. È possibile anche partecipare da remoto. A chi lo richiede, sarà inviato un link per il collegamento.
L’ente che governa lo scalo prevede di accorciare i tempi grazie alle risorse del Pnrr. Nei prossimi tre anni investimenti per tre miliardi di euro: dieci progetti in lista
Veduta aerea del porto di Ravenna (credits AP Ravenna)
I fondali del porto di Ravenna attualmente sono da 10,5 metri, saranno da 12,5 per giugno 2024 e da 14,5 per dicembre 2026.
È la nuova tempistica per i lavori di dragaggio e rinforzo delle banchine (250 milioni di euro per il primo step e altri 280 per il secondo) che esce dal primo aggiornamento del piano operativo triennale (Pot) 2021-2023 dell’Autorità portuale, il documento dell’ente che definisce tipologia, tempi e spese degli investimenti per lo sviluppo dello scalo sostenuti dai vari portatori di interesse del settore.
In termini economici si passa da una pianificazione da 1,5 miliardi di euro (di cui 800 milioni di Ap) a una più che doppia: 3,1 miliardi (di cui 890 da Ap). E il presidente dell’ente, Daniele Rossi, ricorda che per gli esperti ogni euro investito in ambito portuale genera una ricaduta di 2,2 euro.
L’accelerazione delle tempistiche per gli escavi (che alla vigilia del cantiere si stimava avrebbero richiesto fino al 2025 solo per la prima fase) è legata al Pnrr per due ragioni. L’assegnazione certa dei fondi per la seconda fase consente di rinegoziare gli accordi con gli appaltatori ma anche la necessità di completare tutto entro il 2026 per non perdere i fondi europei connessi allo stesso Piano.
In questa prima revisione del Pot trovano spazio, oltre al rigassificatore, altri nove nuovi importanti progetti: fra questi la realizzazione di una piattaforma multimodale per l’agroalimentare con annesso impianto fotovoltaico, il completamento dell’area cosiddetta “ex Porto Carni”, i nuovi raccordi ferroviari per le aree logistiche e per il terminal “Traghetti e Crociere”, il nuovo sistema di controllo accessi e videosorveglianza.
Nave Sw Singapore: nel boom delle cifre la fetta più grossa è quella del rigassificatore (per l’appunto la nave che dovrebbe approdare a Ravenna) al largo di Punta Marina che da solo vale un miliardo investito da Snam. Nell’area circostante alla piattaforma Petra del gruppo Pir, a 8,5 km dalla costa, andranno rimossi due milioni di metri cubi di detriti dai fondali per avere il pescaggio sufficiente alle operazioni di attracco delle navi cariche di Gnl.
Un nuovo terminal: a ridosso di via Trieste, affacciata sulla piallassa Piomboni, c’è un’area nota come “ex porto Carni”: dieci ettari che verranno urbanizzati con una banchina di 400 metri. Investimento di Ap da 21 milioni.
Piattaforma agrolimentare: in una striscia di terra che costeggia la statale Classicana all’altezza di Porto Fuori (nota con la sigla urbanistica L2) verrano investiti 40 milioni di euro per realizzare strade, collegamenti ferroviarie e un campo fotovoltaico in modo da creare una piattaforma specifica per l’agroalimentare.
Nuove stazioni merci: sulle due sponde del Candiano si prevede la realizzazione di due stazioni per la composizione dei treni merci e l’avvio sulla rete ferroviaria. Per quella di sinistra si attende la pubblicazione sul bollettino regionale, quella di destra entra ora in conferenza di servizi e avrà bisogno ancora di un anno prima di pubblicare le gare.
Area sosta camion: nelle Bassette verrà usata una superficie di 7 ettari di proprietà di Ap per un’area di sosta per gli autotrasportatori con duecento stalli attrezzati con rifornimento di carburanti e ristoro. L’intervento si farà in project financing con un contributo di 3 milioni da Ap. L’innalzamento del livello sarà fatto ricorrendo a fanghi dei dragaggi.
Impianto trattamento fanghi: la Fase 2 del progetto per i fondali (quella che porterà a 14,5 metri) prevede lo stanziamento di 130 milioni di euro per un impianto che dovrà ripulire i sedimenti rimossi in modo da renderli utilizzabili in urbanistica.
Foto Adriano Zanni
Il presidente AP: «Ravenna sarà sempre più strategica per l’Adriatico»
«Ora che ci sono le garanzie degli stanziamenti pubblici per aumentare i fondali del porto, diventa inevitabile che gli operatori guardino a Ravenna con un occhio diverso perché sanno che gli investimenti possono contare su un orizzonte più lungo». Daniele Rossi, presidente dell’Autorità di sistema portuale dell’Adriatico centro-settentrionale (che include solo Ravenna), non ha dubbi di essere alla vigilia di una stagione di grande sviluppo per il Candiano.
«Sarà un porto sempre più strategico per tutto l’alto Adriatico – continua Rossi – perché ormai Ravenna si è scrollata di dosso l’etichetta di porto buono solo per le rinfuse. Oggi su Ravenna si possono movimentare tutte le tipologie di merce e quindi è per forza appetibile».
Tra le note dolenti della logistica ravennate c’è sempre stata l’infrastruttura stradale a monte del porto: «Però a differenze di altri grandi porti italiani, il traffico pesante da e per le banchine non si mischia con quello cittadino che si muove per altre ragioni. Gli investimenti sui collegamenti ferroviari ci permetteranno di migliorare la funzionalità».
Botta e risposta. Ancisi (Lpr): «i fondali a 14,5 metri inutili per il Candiano»; Rossi (Ap): «può parlare solo chi ha una laurea del settore»
«Il dragaggio a 14,5 metri di profondità andrà a incidere unicamente come costo di 165 milioni di euro per le casse pubbliche, senza alcuno sviluppo del porto, se non per la Sapir, società più di politica che d’impresa, e per pochi altri del giro». Il consigliere comunale Alvaro Ancisi torna a esprimere la sua perplessità per l’utilità della cosiddetta Fase 2 del progetto di approfondimento. «Scopo pressoché esclusivo di questa Fase aggiunta è infatti la costruzione di un nuovo maxi terminal container di 360mila metri quadrati nell’area Trattaroli Destra, a diretto beneficio non del porto, ma della Sapir, che ne è proprietaria».
Il traguardo dichiarato è che il nuovo terminal sappia movimentare 500mila container all’anno. L’attuale terminal ne può contenere 300mila: «Negli ultimi 15 anni ne siamo rimasti sempre lontani. Nel 2021 e 2022, anni record del porto, si è arrivati a 213mila e 228mila».
Il decano dell’opposizione si chiede dove siano i grandi numeri prospettati per la Fase 2 dell’Hub portuale. «Come si pensa che le grandi navi lunghe 400 metri, a cui servirebbero i fondali da 14,50, possano entrare dall’imboccatura assai più stretta del porto? Se casomai entrassero, come potrebbero superare la “curva” di Marina? E potrebbero forse uscirne in retromarcia?». Ancisi riporta una dichiarazione dell’Autorità Portuale nel 2012: «Le navi container da 400 metri qui, per la conformazione del nostro porto, non arriveranno. Abbiamo fatto delle simulazioni e al massimo possono arrivare quelle di 300-330 metri».
Non l’ha espressamente nominato, ma le parole di Daniele Rossi pronunciate con un certo fervore il 28 febbraio (alla presentazione dell’aggiornamento del piano operativo) sembrano indirizzate ad Ancisi: «Da adesso in poi chi vuole parlare di portualità deve mettere sul tavolo le sue competenze specifiche, la sua laurea in logistica e portualità e allora sarò lieto di ragionare. Non è accettabile che sul porto dicano la loro tutti, dal pizzaiolo al maestro di scuola elementare. La scelta di arrivare a 14,5 metri non è presa a caso, in qualche modo si troverà la soluzione per far entrare anche le navi di grandi dimensioni».
Riaperte le sale del museo nell’ex Collegio dei Gesuiti, dopo il rinnovo degli allestimenti e del percorso espositivo. Ma resta una certa carenza di spazi per le collezioni
La recente riapertura della pinacoteca di Faenza, rinnovata nell’allestimento e nel percorso espositivo, è un evento memorabile per chi ama l’arte e il patrimonio culturale: il tempismo e un’efficace cultura resiliente hanno sfruttato la chiusura dovuta al Covid per eseguire l’intervento. La pausa epidemica ha permesso di reperire risorse e pensare al riallestimento che è stato eseguito dallo Studio Lucchi e Biserni in collaborazione con la dirigente della cultura Benedetta Diamanti.
L’esito risulta encomiabile per aver saputo fruttare una situazione negativa ma è anche da considerarsi un dovuto atto riparativo a una lunga storia di abbandono, denunciata per vari decenni dai responsabili del museo faentino.
Facendo un passo indietro occorre ricordare che la sede attuale del museo si trova nell’ex Collegio gesuitico annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Angelo, aperta alla metà del ‘600. Nel periodo postunitario, soppresso l’ordine, nell’edificio viene collocato il Liceo Classico che convive con la scuola di disegno comunale attiva fin dalla fine del ‘700. Le opere d’arte – utilizzate come modelli di studio per gli studenti – vengono raccolte grazie alle donazioni dei cittadini e le requisizioni di epoca napoleonica.
La pinacoteca può dirsi aperta grazie al primo responsabile Federico Argnani che propone il primo riordinamento espositivo e continua l’azione di raccolta e acquisto di opere.
In seguito, vari interventi nel primo ‘900 depauperano il museo che subisce spostamenti scriteriati di opere e una sostanziale riduzione della quadreria, mantenendo il problema aperto della convivenza del museo con l’istituto liceale. Nonostante lo sforzo dei responsabili delle raccolte e gli studi di Corbara per la Soprintendenza che rilevano la pecularietà e l’interesse culturale del patrimonio faentino, nel 1981 la galleria di arte moderna viene chiusa per infiltrazioni di acqua nell’edificio. Si attende la riapertura ma sette anni dopo il resposabile Sauro Casadei deve annunciare la chiusura anche della parte antica per procedere ad una ristrutturazione completa dell’edificio. Occorre attendere altri 17 anni per la riapertura dell museo: nel 2005 il nuovo direttore Claudio Casadio inaugura le sale espositive e annuncia come prossima la realizzazione del progetto comunale sul centro storico (2003) che prevede la riunificazione di tutti gli spazi museali e delle raccolte.
Dopo l’ennesima chiusura per il biennio Covid – quella che ha permesso l’attuale riallestimento del 2022 – il progetto di riunificazione annunciato è ancora in parte lettera morta: si attende ancora dopo 20 anni il trasloco della sede liceale, da considerarsi come il passo necessario per garantire non solo lo spazio fisico per le raccolte – cresciute grazie a ulteriori importanti donazioni – ma anche per evitare la promiscuità di funzioni che si oppongono alla sicurezza, alla conservazione, alla fruizione e normale attività espositiva di un museo moderno.
Detto questo, il nuovo progetto espositivo del museo – poi di nuovo chiuso per interventi di conservazione su alcune opere, fino alla riapertura nei primi giorni di marzo – ha sicuramente molti pregi, uno fra tutti la vicinanza alla chiesa di Santa Maria dell’Angelo – lo spazio gestito dal Museo diocesano e utilizzato per mostre di arte contemporanea a cura di Giovanni Gardini – che assicura una complementarietà funzionale delle due identità museali.
Ma veniamo al riallestimento: l’accesso sulla strada alla sede del museo civico si apre con una saletta di raccordo alle scale. Qui e lungo i primi gradini si trova collocato il lapidarium con sculture di epoca bizantina e romanica, ciascuna corredata da essenziali targhette informative e un Qr-code che permette di approfondire collegandosi a schede più ampie. Opposta all’accesso si trova uno spazio in cui è esposta la Cassandra in gesso di Ercole Drei, un’opera ben scelta per rappresentare una delle anime di Faenza di primo ‘900 e della storia del Cenacolo baccariniano, collocata però sotto vetro e quasi invisibile a causa dei riflessi della luce dell’entrata.
Salite le scale, a sinistra sono disposte due salette dedicate alla bella collezione Vallunga, provenienti da una importante donazione del 2010 che hanno portato al museo una trentina di opere fra cui De Chirico, Morandi, Savinio, Carrà, Campigli e Sironi. La sala non presenta modifiche rispetto a prima e conferma l’assoluta congruità della donazione e delle ottime scelte collezionistiche. Rimane non risolto il forte contrasto col salone adiacente, dove un tempo erano collocate le opere dell’Otto e Novecento, ora sostituite da opere antiche, dal Medioevo al primo ‘500. Mentre la vecchia disposizione costringeva a un percorso anomalo e cronologicamente inverso, ora si contrappongono due monadi opposte da un forte salto temporale, probabilmente superabile solo grazie all’acquisizione dei nuovi spazi promessi.
Nonostante ciò, il nuovo salone è splendido e le opere presenti – da Giovanni da Rimini a Biagio d’Antonio e Palmezzano – acquistano una rinnovata visibilità grazie al tono di fondo delle pareti del nuovo allestimento, in cui si evita un apparato didascalico corposo per rimandare a un testo generale introduttivo e al Qr-code delle singole opere. Ottima la decisione di spaziare le opere mantenendo un dialogo fra loro e di collocare in alto il crocefisso proveniente dalla chiesa distrutta di Santa Chiara di Faenza in modo da restituire il punto di osservazione originario. Pur con qualche incongruità, la linea storica della pittura giottesca prosegue temporalmente col dialogo fra l’area faentina e Firenze, esaltato dalla collocazione al centro della statua lignea di San Girolamo attribuita a Donatello, poi con l’area ferrarese. A parete sfilano opere importanti del Rinascimento di cui, per alcune – un Cristo portacroce del Palmezzano, una tempera del maestro della Pala Bertoni, la Pala di Pergola di Biagio d’Antonio, due opere di Giovanni Battista Bertucci il vecchio – sono appena iniziati i lavori di restauro. Si tratta di interventi assolutamente non rimandabili che probabilmente giungono anche grazie al focus sulla pinacoteca che il nuovo allestimento ha lanciato.
La presenza nel salone di opere di grande formato del primo ‘500 anticipano la successiva sala, dedicata in modo omogeneo al faentino Bertucci senior che raccoglie opere di medio e grande formato. Al contrario, appare ancora non risolto lo spazio di snodo al piano superiore: sia a livello inferiore che superiore, le statue, i dipinti e i bassorilievi devozionali qui collocati soffrono per l’ingombro delle scale e la funzione spaziale di passaggio.
Del tutto intatta la sala Manfredi al piano superiore, che si concentra cronologicamente su opere e arredi del periodo dei signori faentini: da questo spazio cieco si ritorna a una sala dedicata alla pittura del ‘500 che prosegue temporalmente la linea aperta nello spazio sottostante. Purtroppo il problema della carenza spaziale permette qui solo un’unità cronologica, ricca di fatto di salti stilistici: l’opera giovanile di Luca Longhi, attualmente in restauro, può dialogare con i Francia ma non con Dosso Dossi e altre opere vicine. Il problema rimanda a una maggiore ponderazione dei prossimi interventi, sempre che gli spazi lo permettano.
Altrettanto difficile è – e sarà – mettere mano al salone delle pale d’altare che vede qui radunate opere di grandi dimensioni a destinazione sacra illuminate in modo non adeguato. Non potendo intervenire su un auspicabile distanziamento delle opere – collocate come in altri musei similari in spazi con soffitti alti e superfici ampie – si segnala però il pessimo stato conservativo di molte di queste: fessurazioni e cedimenti testimoniano la storia di un abbandono di troppi decenni. Si spera che il restauro in atto – che coinvolge al momento solo sei opere – sia il primo di una serie rivolta anche ad altre opere di pregio.
Proseguendo la visita, la sala successiva del Magistrato raccoglie di nuovo secondo un criterio cronologico opere principalmente del ‘600, fra cui alcuni ritratti e la bellissima Giuditta e Oloferne di Francesco Maffei. Il recente intervento monocromo sulle pareti valorizza i pezzi presenti senza però giustificare la disposizione in doppio ordine di numerose opere, disposte come ai tempi di un’antica quadreria e illuminate malamente. Anche questo sarà un intervento da considerare per giungere a criteri espositivi adeguati.
La carenza di spazio che interviene negativamente in questa sala come nelle precedenti pesa anche nella lunga sala del vestibolo dove sono esposte opere dal Sette al Novecento. Risulta difficile trovare un filo conduttore fra le nature morte settecentesche del Resani opposte a una testa di Rodin, fra i dipinti sacri di Bigari e la vicina Bitta di Baccarini, opere distanti fra loro di secoli: si tratta di un ping pong cronologico che prosegue per tutto il vestibolo, confermato in chiusura dal bellissimo gruppo cinquecentesco in terracotta di Alfonso Lombardi, collocato qui fin dalla nascita della pinacoteca e quasi inamovibile per la delicatezza dell’intervento.
Termina la visita l’ultima sala – dedicata al circolo di Baccarini – che si presenta ben allestita con opere perfettamente in dialogo.
Dovrebbe essere un bombardiere Boeing B-17 ammarato nel 1944. Si interessa il governo americano
Boeing B-17E. (U.S. Air Force photo)
I lavori di dragaggio per l’approfondimento dei fondali del porto di Ravenna hanno portato al ritrovamento di un oggetto non identificato di una lunghezza di circa venti metri a una profondità di circa 13-14 metri, all’esterno dell’imboccatura delle dighe foranee, che quasi certamente è il relitto di un aereo abbattuto durante la seconda guerra mondiale. Il ritrovamento è avvenuto il 19 gennaio ma solo nei giorni scorsi la vicenda è arrivata all’opinione pubblica dalle pagine del “Corriere Romagna”.
Secondo l’associazione “Aerei Perduti”, un gruppo di ricerca che dal 2015 si occupa di raccogliere testimonianze e collabora con l’ente statunitense deputato alla ricerca dei militari dispersi in guerra nel corso degli ultimi conflitti, si tratta di un B-17 Flying Fortress. L’ipotesi, riportata con dovizia di particolari in un post su Facebook, è conseguente all’aver circoscritto la presenza di un relitto davanti al porto di Ravenna a due possibili eventi bellici.
Il 20 ottobre 1944 il Boeing B-17 G “Bataan Avenger”, costruito dalla Lockeed/Vega, è con altri 35 velivoli simili decollati da Amendola per bombardare le raffinerie di Brux, nella ex Cecoslovacchia. A seguito dei danni subiti dalla contraerea tedesca e a corto di carburante, l’aereo ammara in Adriatico ma non si ha documentazione del punto esatto. I dieci membri dell’equipaggio riescono ad abbandonare il bombardiere che, galleggiando, dà loro il tempo di salire sul battellino e poco dopo vengono localizzati e prelevati da un idrovolante del soccorso marittimo. L’operazione di salvataggio è eseguita sotto la scorta di due Spitfire che pattugliano l’area fino al termine delle operazioni e forniscono una coordinata abbastanza precisa e attendibile della posizione del battellino che nel frattempo, trasportato dalla corrente, si trova all’altezza di Punta Marina.
Esiste una seconda, anche se più remota, possibilità che invece l’aereo possa essere il B-17 intercettato ed abbattuto l’11 marzo 1944 davanti alla costa di Ravenna. Ma, in base alle coordinate riportate dal Comando della Luftflotte 2, si suppone che sia molto più al largo rispetto alla posizione della carcassa intercettata dalle draghe.
Nell’eventualità che nel relitto possano trovarsi ancora i resti di aviatori, l’ente governativo americano preposto alla ricerca dei dispersi di guerra, si è già attivato per seguire l’evolversi della situazione. Solamente i loro analisti possono stabilire l’esatta identità del velivolo, la sua storia, chi c’era a bordo. Il governo Usa è in contatto con le autorità italiane. Al momento il relitto è a una profondità che non limita il transito delle navi, ma andrà rimosso quando si dovrà approfondire il fondale anche in quel punto. Si ipotizza ci vorrà ancora un anno.
Sono stati predisposti degli accertamenti strumentali e servirà un’ispezione subacquea per chiarire la reale natura dell’oggetto.
La “Fortezza Volante”: 30 tonnellate in volo a 462 km/h
Il Boeing B-17, conosciuto come “Fortezza volante”, è un bombardiere pesante quadrimotore con un equipaggio di 10 persone, impiegato principalmente nelle campagne di bombardamento strategico diurno. Nella seconda guerra mondiale i B-17 americani parteciparono anche alle operazioni nel teatro del Pacifico, dove condussero raid contro navi e basi aeree giapponesi. Il modello fece il primo volo nel 1935, entrò in servizio nel 1938 e venne ritirato nel 1968 dopo una produzione di circa 13mila esemplari in dotazione a diversi eserciti nel mondo. Aveva una lunghezza di circa 23 metri e un’apertura alare di 32 per un peso massimo al decollo di 30 tonnellate e una velocità massima di 462 km/h. Era armato con bombe (fino a 2200 kg su due alloggiamenti nel vano bombe) e cinque mitragliatrici da 7,62 mm.
Fra i protagonisti, in scena dal 7 giugno al 23 luglio, Laurie Anderson, Marta Argerich, Mischa Maisky, Anne Sophie Mutter, Fatoumata Diawara, Aurora, Mike Stern e, naturalmente, Riccardo Muti
L’artista multimediale americana Laurie Anderson (credits Tony Lewis)
Come tradizione anche nel 2023 il Ravenna Festival (edizione 34) attraversa un tema, quest’anno gli spazi inesplorati delle “Città invisibili”, citando l’invenzione letteraria di Italo Calvino, nel centenario della nascita. E lo fa lungo il tempo di un mese e mezzo, dal 7 giugno al 23 luglio, con cento eventi e mille artisti coinvolti in questo percorso in molteplici paesaggi, incroci e deviazioni dell’arte e dello spettacolo.
Fra i tanti protagonisti del cartellone spiccano Laurie Anderson e il duo Marta Argerich e Mischa Maisky a cui sono affidati i concerti inaugurali, ma anche Anne-Sophie Mutter, Leonidas Kavakos, Beatrice Rana, Julian Rachlin, Stefano Bollani, Kristjan Järvi, Enrico Melozzi con Niccolò Fabi e Giovanni Sollima, Fatoumata Diawara, Aurora, Mike Stern e, naturalmente, Riccardo Muti.
Ecco di seguito i particolari della programmazione secondo temi e generi artistici nella nota stampa del festival
Il violoncellista Mischa Maisky
– LE CITTÀ E GLI SCAMBI Per un Festival profondamente legato alla composita identità di Ravenna e del suo territorio, la riflessione sulla dimensione invisibile della città – crocevia di culture, idee e narrazioni – è inevitabile. Il “racconto” di questa XXXIV edizione comincia con Laurie Anderson, artista multimediale a tutto tondo, animatrice della scena d’avanguardia newyorkese, pioniera dell’elettronica e molto altro. Martha Argerich torna a Ravenna con il fuoriclasse del violoncello Mischa Maisky, in programma sonate di Beethoven, Debussy e Chopin. Seminale momento d’incontro fra canone occidentale e “altre” musiche, Folk Songs di Luciano Berio è affidato all’Icarus vs Muzak Ensemble nel ventennale della scomparsa del compositore; trent’anni sono invece trascorsi dalla morte di Frank Zappa, il cui capolavoro The Yellow Shark è proposto dal PMCE – Parco della Musica Contemporary Ensemble. Nel solco degli scambi fra indie rock e sinfonica, la band di culto Fast Animals and Slow Kids è per la prima volta in veste orchestrale con La Corelli diretta da Carmelo Emanuele Patti; al Pavaglione di Lugo anche il concerto del chitarrista Mike Stern, capace di spaziare dal jazz classico alla fusion. A Palazzo S. Giacomo di Russi l’Orchestra Notturna Clandestina di Enrico Melozzi, con Niccolò Fabi e Giovanni Sollimafra gli ospiti, e Fatoumata Diawara, che sposa la tradizione dell’Africa occidentale a blues e jazz. Arriva invece dalla Norvegia il pop eccentrico e sognante di Aurora. La vocazione narrativa di Cervia-Milano Marittima si conferma con le letture di Sergio Rubini da Le città invisibili, la dedica a Grazia Deledda e La Milonga del futbol di Federico Buffa.
La cantautrice del Mali Fatoumata Diawara
– LE CITTÀ CONTINUE In costante espansione, sempre più continua e pervasiva, la città è anche l’incubatrice di disuguaglianze, consumismo, corruzione, inquinamento, discriminazione…e terreno fertile per totalitarismi e fanatismi. Sugli orrori di Hiroshima e Auschwitz si soffermano i brani di Penderecki e Górecki in programma per il concerto della Sinfonia Varsovia con l’Orchestra Cherubini; mentre la prima italiana della Doctor Atomic Symphony di John Adams è affidata alla Filarmonica Toscanini diretta da Kristjan Järvi (nella stessa serata, Stefano Bollani dialoga con l’orchestra per il suo Concerto azzurro). Il racconto nucleare continua con Little Boy di Roberto Mercadini. A futura memoria con Valentina Lodovini è dedicato invece alla giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, e Ginevra Di Marco e Gaia Nanni raccontano di Donne guerriere. Se Gli angeli dello sterminio di Giovanni Testori, letto da Sandro Lombardi, narra l’Apocalisse a Milano, la distopica Metropolis di Fritz Lang ha la colonna sonora live di Edison Studio. Il connubio fra musica e cinema si ripropone per Il grande dittatore di Chaplin, con musiche dal vivo restaurate e dirette da Timothy Brock sul podio della Toscanini in prima assoluta. Il fil rouge del totalitarismo continua con la prima de Gli occhiali di Šostakovič di Valerio Cappelli, in scena Moni Ovadia. Se Marat/Sade di Nerval Teatro oppone utopia rivoluzionaria e dissacrante anarchia, Due Regine di Elena Bucci e Chiara Muti propone l’eterno duello fra Mary Stuart ed Elizabeth Tudor. Con ironia kafkiana, Odradek di Menoventi riflette sul consumismo e il dominio degli oggetti, mentre Gaia di ErosAntEros si concentra sulla catastrofe ambientale e la Classica Orchestra Afrobeat si circonda delle sculture di riciclo della Mutoid Waste Company. La conciliazione fra spettacolo e natura si ripropone nel Concerto trekking, quest’anno a Riolo Terme per una sfida fra country music e folk romagnolo.
Il maestro Riccardo Muti
– LE CITTÀ E IL SEGNO MUSICALE Se Argerich apre la programmazione “classica”, la tradizione concertistica conta un’altra indiscussa regina: Anne-Sophie Mutter ha scelto Ravenna come prima delle sole due tappe italiane del tour ed è alla guida dei Mutter’s Virtuosi per pagine di Bach, la prima italiana di Nonet di Previn e i concerti di Veracini e del “Mozart nero” Joseph Bologne. La linea dell’archetto è impreziosita da Leōnidas Kavakos, con le Sonate e Partite di Bach a Sant’Apollinare in Classe e un concerto con l’Orchestra Cherubini diretta da Hossein Pishkar. La violinista Elicia Silverstein, vincitrice del Best Newcomer Award del BBC Music Magazine nel 2020, propone un percorso dal barocco a Berio. Il primo violoncello dei Wiener Támas Varga accompagna Riccardo Muti e la Cherubini nel concerto su pagine di Rota, De Falla e Ravel, mentre per Le vie dell’Amicizia, che dal 1997 vede Muti dirigere in città simbolo della storia antica e contemporanea, il programma include Gluck, Verdi e Brahms (l’itinerario del viaggio sarà svelato prossimamente). Anche la sinfonica visita una città invisibile – quella di Kitež che ispirò Rimskij-Korsakov; il Preludio dell’opera apre il concerto con la Cherubini diretta da Julian Rachlin (la serata si completa con Čajkovskij e Beethoven con Yefim Bronfman al pianoforte). Donato Renzetti dirige l’Orchestra e i solisti dell’Accademia del Teatro alla Scala nella dedica ai 150 anni dalla morte di Angelo Mariani, a cui Ravenna diede i natali. Tra i programmi da camera, quelli del Signum Saxophone Quartet e del Trio Contro-Do.
La danzatrice Eleonora Abbagnato
– LE CITTÀ E LA MEMORIA Le basiliche accolgono i Tallis Scholars, che festeggiano 50 anni dalla fondazione, e il Tenebrae Choir, che accosta Bach al compositore contemporaneo James MacMillan (il trittico vocale britannico si completa con i King’s Singers e un programma da Schubert ai Beatles). Due nuove sacre rappresentazioni a San Vitale: Interrogatorio a Maria di Testori per la prima volta in veste musicale nella scrittura di Roberto Solci, con il mezzosoprano Daniela Pini, il Coro Ecce Novum e l’Ensemble Tempo Primo. Il Coro e l’Ensemble sono coinvolti anche nel secondo titolo che debutta a San Vitale, Stabant Matres di Paolo Marzocchi su libretto di Guido Barbieri. In prima italiana Fiori musicali dal barocco ebraico proposto dall’Ensemble Salomone Rossi, coinvolto – come i King’s Singers e cori del territorio – nelle liturgie In templo Domini. A Classis, museo della città e del territorio, il ciclo di concerti Qualunque melodia più dolce suona con le formazioni da camera dell’Orchestra Cherubini e dell’Orchestra La Corelli.
– LE CITTÀ, GLI OCCHI E IL CORPO: LA DANZA Mentre la prima italiana di WE, the EYES è un racconto post-pandemico di Emio Greco e Pieter C. Scholten per la loro compagnia ICK Dans Amsterdam, chi ama le pointes sarà abbagliato dal gala Les étoiles, con interpreti da teatri di tutto il mondo – tra cui Eleonora Abbagnato e Sergio Bernal – fra repertorio classico e nuove creazioni, e dalla Soirée Rachmaninov. Per quest’ultima Beatrice Rana si alterna al pianoforte con Massimo Spada su pagine del compositore russo tradotte in danza da uno sciame di étoiles. Nella Basilica di San Vitale, la danza incontra la dimensione corale e religiosa con La nuova Abitudine di Societas – Claudia Castellucci: la compagnia Mòra danza su canti del coro maschile In Sacris di Sofia.
Il “Don Chisciotte” delle Albe
– LE CITTÀ E IL DESIDERIO: IL TEATRO Le “città felici” della scena teatrale della Romagna mettono al primo posto il coinvolgimento della comunità. È quanto accade nel già citato Gaia di ErosAntEros, ma anche nei progetti in cui è attivo Ravenna Teatro/Teatro delle Albe: il Grande Teatro di Lido Adriano e la prima di Mantiq At-Tayrdall’omonimo poema persiano; Acarnesi Stop the War!, “rimessa in vita” di Aristofane a opera di Marco Martinelli nell’ambito della collaborazione fra Festival e Parco Archeologico di Pompei; Don Chisciotte a Palazzo Malagola. La dedica a Testori nel centenario della nascita include il riallestimento de I Promessi sposi alla prova, storico spettacolo del Teatro Franco Parenti di Milano. Il fil rouge letterario continua con Se resistere dipende dal cuore, che Elena Bucci (Le belle bandiere) e Luigi Ceccarelli dedicano alla poetessa Amelia Rosselli. L’orizzonte teatrale si completa con le già citate produzioni di Odradek, Marat/Sade, Due Regine, Gli occhiali di Šostakovič.
Concerto domenica 5 marzo, alle 11, al teatro Alighieri di Ravenna con un programma dedicato a composizioni di Liszt, Rachmaninov e Scriabin
Il pianista Edoardo Riganti Fulginei
Continua domenica 5 marzo – inizio alle ore 11 alla sala Corelli del teatro Alighieri di Ravenna – la rassegna “Mikrokosmi”, curata da Barbara Valli della scuola Mikrokosmos.
Protagonista del quinto appuntamento concertistico una giovane promessa del pianoforte, il diciottenne Edoardo Riganti Fulginei, che si cimenterà con rilevanti pagine musicali di Liszt (Sonata in si minore), Rachmaninov (Sonata n.2 op.36) e Scriabin (Sonata n.5 op.53).
Fulginei, enfant prodige della tastiera (che ha iniziato a frequentare a 4 anni) ha già vinto più di 30 premi in concorsi nazionali e internazionali che lo hanno portato ad esibirsi in tutto il mondo, fino alla Carnegie Hall di New York, dove ha anche vinto il premio del pubblico. Nel 2025 rappresenterà la città di Spoleto candidata a capitale italiana della cultura, suonando con l’Orchestra di Santa Cecilia il Concerto n.3 di Rachmaninov.
Il curatore del fallimento dell’ex gestore ha messo i sigilli e cambiato le serrature per tutelare i creditori visto che il proprietario dell’immobile stava per ottenerne la restituzione per i mancati pagamenti degli affitti
Il tribunale di Ravenna ha disposto il sequestro giudiziario dei locali che ospitano la nota discoteca Pineta di Milano Marittima. Nella mattinata odierna, 3 marzo, un ufficiale giudiziario ha sostituito le serrature e affisso un cartello all’ingresso che si affaccia su viale Romagna. L’immobile è inutilizzabile.
Si tratta di un provvedimento d’urgenza richiesto dal commercialista Claudio Colatorti nelle vesti di curatore della liquidazione giudiziale (procedura nota anche come fallimento) della società Andromeda di Cervia che fino a un anno fa aveva la gestione della discoteca. Il passivo totale non è ancora stato definito ma dovrebbe essere di alcuni milioni di euro.
L’urgenza del provvedimento è dettata dal rischio che la curatela vedesse svanire l’esistenza stessa della discoteca. Infatti a marzo 2022 la proprietà del Pineta passò dalla società Andromeda alla Hdp22 di Milano, entrambe riconducibili a vario titolo a Marco Amadori. I mancati pagamenti dei canoni di affitto da parte della società lombarda hanno portato i proprietari dell’immobile di viale Romagna – una società estranea alla galassia Amadori – a chiedere lo sfratto esecutivo con udienza fissata al 6 marzo. In caso di accoglimento della richiesta, il Pineta non avrebbe più un locale dove esercitare l’attività.
Di fronte a questa possibilità, per il curatore fallimentare si è profilato il rischio di un danno economico per i creditori di Andromeda. La curatela ha allora agito con la richiesta di restituzione del Pineta da Hdp22. Il giudice delegato ha stabilito il sequestro eseguito oggi. Per metà marzo è fissata l’udienza di discussione in cui Hdp22 potrà opporsi ai sigilli.
Fino a quel momento la discoteca è nel possesso di Andromeda e in virtù di questo, come previsto dalla legge fallimentare, lunedì 6 marzo dovrebbe arrivare la sospensione della procedura di sfratto. In estrema sintesi, una curatela non può essere sfrattata.
L’avvocato Andrea Santini assiste da tempo la gestione del locale. Raggiunto telefonicamente, il legale però ha rifiutato di commentare la vicenda limitandosi a poche parole prima di riagganciare: «Non conosco i dettagli e non rilascio dichiarazioni». Nessuna risposta al numero di telefono disponibile sulla pagina Instagram. Proprio nella mattinata odierna il Pineta aveva annunciato che domani sera avrebbe festeggiato l’apertura della stagione primaverile.
Un risultato a sorpresa a livello nazionale ha consegnato la segreteria Dem a Elly Schlein. Nel Ravennate però il Presidente dell’Emilia-Romagna ha incassato il 60 percento dei voti…
Elly Schlein con i suoi sostenitori ravennati a Voltana
In controtendenza con il resto del Paese, la provincia di Ravenna ha visto il presidente della Regione Stefano Bonaccini prevalere sulla sfidante Elly Schlein alla guida del Pd. E così, mentre la sua ex vice raggiungeva lo storico risultato grazie soprattutto al voto delle grandi città, nella periferica Ravenna si è limitata a colmare il distacco ma si è fermata al 40 percento dei voti (nei circoli aveva ottenuto appena il 24), mentre Bonaccini è sceso al 60 (nei circoli aveva invece incassato il 66,5). A livello nazionale, invece, le percentuali sono ribaltate e Schlein è stata eletta con il 53,7 percento.
Un risultato sorprendente e storico per molti aspetti. Innanzitutto perché è la prima volta che il voto aperto anche agli elettori ribalta l’esito di quello degli iscritti. Una questione non da poco. Non a caso il segretario provinciale Barattoni nel commentare la notizia ha evidenziato come questo qui non sia avvenuto: «È la prova che il nostro partito è aperto….». Possibile, oppure è vero che qui le istanze di cui Schlein si è fatta portatrice in questa campagna elettorale hanno meno peso. A lei è infatti andato un voto più di sinistra e ambientalista e questa in fondo è la città dove verrà accolto a braccia aperte o quasi un rigassificatore (pochi e sparuti i manifestanti contrari) e dove nel tempo si sono battuti più volte record di consumo di territorio senza mai provocare grandi sconvolgimenti politici.
Chissà. Secondo molti analisti, a favore di Schlein ha giocato il fatto di essere donna (e se non è un fatto storico…), anche questo evidentemente non un tema così sentito da queste parti dove da sempre siamo abituati a vedere uomini, tanti uomni, e poche donne, nei ruoli chiave della politica (peraltro tante donne del Pd sostenevano Bonaccini, inclusa la neoparlamentare ravennate Ouidad Bakkali).
Per Schlein hanno votato sicuramente tanti che si sono mobilitati (più alta del previsto l’affluenza con 13.719 elettori, comunque 6mila in meno delle primarie del 2019) per contrastare l’attuale governo, mentre Bonaccini aveva mostrato il volto più dialogante del partito, rivolgendo parole di stima a Meloni. Verosimilmente, a guidare parte del voto ravennate e in generale emiliano-romagnolo (unica grande regione del nord in cui ha prevalso con il 56,4 percento) è stata la fiducia verso Bonaccini in quanto amministratore. Come a dire che qui il cambiamento del Pd lo vogliamo, ma fino a un certo punto, perché in effetti ancora oggi a guardare tanti indicatori economici l’Emilia-Romagna, dove i Dem hanno sempre governato, se la passa comunque meglio di altre zone e, insomma, non ci si può lamentare. L’uomo solo, e un po’ decisionista, al comando in fondo ci piace.
Cosa succederà adesso è difficile da prevedere. Già due segretari del partito in passato hanno lasciato il Pd per fondare formazioni loro. Uno di questi, Bersani, supporter della Schlein, potrebbe ora rientrare con Articolo 1, che ha sicuramente contribuito alla vittoria della giovane candidata. Al centro invece lo spazio è occupato da Renzi e Calenda e dalle loro due formazioni che si sono presentate unite alle elezioni e amano definirsi Terzo Polo ma che al momento sembrano attraversate da qualche screzio tra i leader a livello nazionale. E anche su questo, chissà.
In un territorio dove gran parte dei sindaci e degli amministratori si erano schierati con il candidato perdente sarà interessante vedere come si svilupperà il “nuovo” Pd a guida Schlein. Ammesso e non concesso che la differenza sia percepibile nelle scelte politiche visto che qui, comunque, Pd e tutti i vari ex a destra e sinistra del partito sono sempre stati alleati e addirittura governano con i 5Stelle. Molto dipenderà anche da quanto e come conteranno i neo iscritti supporter di Schlein nel partito (che comunque, al momento, da queste parti rappresentano solo un quarto, chissà se qualcuno poi cercherà di salire sul carro della vincitrice).
Una certezza resta l’ex ministro ferrarese Dario Franceschini, già capolista in passato anche nella nostra circoscrizione: sarà dei nostri anche a questo giro essendo stato uno dei big a supporto della neo-neosegretaria.
Il 4 e 5 marzo, sipario al teatro Alighieri sulle “travolgenti” coreografie dell’israeliano Rami Be’er
Una scena da “Asylum” (foto Eyal Hirsch)
Sul palcoscenico del teatro Alighieri di Ravenna Rami Be’er porta Asylum, la coreografia creata per la compagnia di cui è direttore artistico. Sabato 4 marzo, alle 20.30, e domenica 5, alle 15.30, la travolgente energia degli interpreti della Kibbutz Contemporary Dance Company saranno incanalate in un lavoro che, interrogandosi sul destino di coloro che richiedono asilo, esamina concetti quali identità ed estraneità, senso di appartenenza e libertà su musiche di Ólafur Arnalds, Bon Iver, Ludovico Einaudi, Teho Teardo.
La compagnia israeliana che Yehudit Arnon, sopravvissuta ad Auschwitz, fondò nel 1973 in un kibbutz sulle colline della Galilea (dove ha ancora sede e accoglie artisti da ogni parte del globo) è considerata uno dei migliori centri di danza al mondo, anche grazie alle distintive coreografie di Be’er, che ne sono diventate il marchio di fabbrica.
Una su cinque è nata nel 2022, una su tre ha sede nel capoluogo, sei su cento hanno titolari stranieri: la fotografia della Camera di Commercio
Sono 65 le startup innovative in provincia di Ravenna, muovono complessivamente un giro d’affari di circa 16 milioni di euro, pari a 260mila euro per azienda, con un capitale sociale medio di 72mila euro. 26 hanno sede legale nella città capoluogo, 18 a Faenza, 4 a Lugo, 6 ad Alfonsine, 5 a Cervia e 1 nei Comuni di Brisighella, Castelbolognese, Fusignano, Massalombarda, Riolo Terme e Russi. Sono 12 quelle nate corso del 2022 e per circa il 14% sono guidate da ragazze e ragazzi con meno di 35 anni. Il 69 percento sono attive, in particolare, nella produzione di software, nella consulenza informatica, nella ricerca e sviluppo, nei servizi informativi ed in altre professioni tecniche e scientifiche, ma a proteggere il genio innovativo ravennate sui mercati internazionali sono soprattutto le startup depositarie di brevetti oppure quelle titolari di software registrato, che costituiscono il 23% della consistenza complessiva delle startup innovative a fine 2022. Il 18,5% di esse, invece, è a prevalenza femminile nei posti di comando ed il 6,2% del totale sono imprese a titolarità straniera. È quanto emerge da una recente indagine condotta dall’Osservatorio dell’economia della Camera di commercio di Ravenna sui dati del Registro imprese.
Possono ottenere lo status di startup, le società di capitali costituite da meno di cinque anni, con fatturato annuo inferiore a cinque milioni di euro, non quotate ed in possesso di determinati indicatori relativi all’innovazione tecnologica previsti dalla normativa nazionale vigente. Possono essere organizzate anche in forma cooperativa e devono avere come oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. I vantaggi sono molteplici: minori oneri per la costituzione, rapporti di lavoro subordinato di più semplice attuazione, credito di imposta per ricerca e sviluppo, incentivi all’investimento, raccolta diffusa di capitali di rischio tramite portali online.
«La provincia di Ravenna – ha sottolineato Giorgio Guberti, commissario straordinario della Camera di commercio – ha tutte le carte in regola per diventare un “territorio delle startup”: beneficia di una forte specializzazione manifatturiera, poggia su un sistema avanzato della ricerca di base e applicata, vanta una elevata attrattività turistica ed istituzioni educative di livello, ha un costo competitivo dei servizi e delle facilities, gode di un’alta qualità della vita e di un sistema del welfare diffuso. Valorizzare le risorse e le competenze dei territori è un impegno necessario che qualsiasi progetto di sviluppo deve assumere come prioritario, facendo della creazione d’impresa e del consolidamento delle imprese esistenti un importante fattore di crescita. Quel che serve è un contesto favorevole all’imprenditorialità: chi ha “intenzione imprenditoriale”, infatti, ha bisogno di servizi, di esempi, di modelli di riferimento e di approvazione sociale (una visione positiva della funzione dell’imprenditore). Fare impresa non è solo e principalmente un fenomeno economico: è un fatto culturale che si alimenta di motivazioni e valori, come la ricerca dell’indipendenza professionale, il desiderio di incidere sulla realtà economica e sociale, l’orientamento al merito, la promozione del cambiamento».
I nuovi spazi sono dedicati alla preservazione della fertilità e al trattamento dell’infertilità maschile
All’ospedale di Lugo sono operativi due nuovi ambulatori al centro di procreazione medicalmente assistita (Pma), rispettivamente dedicati alla preservazione della fertilità e al trattamento di problemi legati alla infertilità maschile. Lo rende noto l’Ausl Romagna.
Il percorso legato alla preservazione della fertilità è rivolto ai pazienti che devono eseguire terapie gonadotossiche (cioè che possono ridurre la fertilità, come radio o chemioterapia). La procedura consente loro di crioconservare i propri gameti (ovociti e spermatozoi) prima che la terapia oncologica possa danneggiarli.
Si tratta di un servizio riservato espressamente ai pazienti inviati principalmente dai reparti di oncologia, oncoematologia e senologia (ma anche neurologia o reumatologia). Questo percorso consente non solo la presa in carico tempestiva dei pazienti che devono in breve tempo accedere alle cure oncologiche, ma si prefigge anche di seguire questi pazienti negli anni successivi, per monitorare il loro potenziale riproduttivo, trattare pazienti con predisposizione genetica ad esaurimento ovarico precoce o pazienti che, magari in età pediatrica, sono stati sottoposti a terapie impattanti sulla fertilità senza avere potuto preservare i gameti.
Il secondo ambulatorio è rivolto al partner maschile della coppia in cerca di gravidanza. Da sempre nella coppia infertile l’attenzione maggiore è riservata alla donna e spesso si soprassiede ad un adeguato percorso diagnostico del partner maschile. Questo nuovo ambulatorio nasce dalla collaborazione tra il centro Pma di Lugo diretto dalla dottoressa Valeria Rambelli e l’Unità Operativa di Chirurgia Urologica Mini-invasiva di Lugo-Ravenna guidato dal dottor Giorgio Bruno.
Si tratta di un ambulatorio multidisciplinare che vede la copresenza di un ginecologo, un andrologo e un biologo (ma che può poi avvalersi anche della consulenza di genetisti e endocrinologi) che valuteranno contestualmente il paziente per deciderne il percorso diagnostico e terapeutico più adeguato.
Gli iscritti al primo anno useranno gli spazi nella sede dell’associazione di categoria in viale Randi in attesa degli ampliamenti all’ospedale
I cento studenti iscritti al primo anno del corso di laurea in Medicina a Ravenna, percorso attivo dal 2020, frequenteranno le lezione del secondo semestre 2022-2023 nella sede della Cna in viale Randi nell’aula Bedeschi messa a disposizione dall’associazione di categoria per far fronte all’aumento di iscritti in attesa che vengano attuati gli ampliamenti previsti all’ospedale Santa Maria delle Croci.
Matteo Leoni, presidente di Cna comunale di Ravenna, è intervenuto oggi, 3 marzo, in occasione della ripresa delle lezioni: «Abbiamo risposto con grande piacere alla richiesta dell’Università di Bologna e Fondazione Flaminia di ospitare i tanti studenti che si sono iscritti al corso di laurea di Medicina del Campus di Ravenna; crediamo fortemente che i campus universitari in Romagna siano di straordinaria importanza per rendere competitivo ed attrattivo il nostro territorio formando ed attraendo talenti e competenze. Per Cna il tema della formazione e del rapporto con il mondo produttivo è un elemento fondamentale ed in questo caso il corso di laurea di Medicina consente di mantenere ed accrescere alti standard di servizi sociosanitari che sono un fattore imprescindibile della qualità della vita ed elemento attrattivo di talenti per il territorio ed il sistema economico e produttivo».