La “donna dei record” folgorata da Bergman, che ha realizzato il suo sogno

Samantha Casella, regista faentina pluripremiata, firma il suo primo lungometraggio, con Maria Grazia Cucinotta. Anteprime del film il 26 e 27 ottobre a Faenza e Ravenna

Samantha Casella Regista

Samantha Casella a Venezia

Nella stampa di settore molti critici cinematografici scrivono di fortuna, sorte generosa: “segue il periodo fortunato di Samantha Casella”…
Citare il fato benevolo è sminuire un poco il talento visionario di questa giovane donna cineasta (notate queste tre parole, notatele assieme) nata a Faenza nel 1981.
Samantha ha studiato sceneggiatura e tecniche narrative alla Scuola Holden di Torino e regia a Firenze, alla Scuola Immagina. Col saggio di fine corso, il cortometraggio Juliette (2001), inizia un percorso professionale ricco e frenetico che la porta a realizzare circa una trentina di lavori (tra corti, documentari, videoclip e video arte), con successi internazionali come I am Banksy (2019) e To a God Unknown (2020) distribuiti nelle sale americane e vincitori di numerosissimi riconoscimenti. Ora il salto («saltino», dice lei) al lungometraggio.
Dentro la roboante e prestigiosa cornice dell’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, negli spazi dell’Ente Spettacolo (dove ha ricevuto il Premio Cinema Italiano e il Premio Tangoo per il Cinema) è stato presentato ufficialmente Santa Guerra.

Venezia79 e il tuo esordio al lungometraggio. Che emozione è stata? Come ti senti Samantha?
«Sono stati giorni frenetici, molto intensi, in cui tutto scorre ad una velocità diversa e nel mentre l’emozione è passata un po’ in secondo piano. Ad ogni modo mi ritengo fortunata per aver avuto la possibilità di presentare il mio film in una vetrina così prestigiosa».

Come i tuoi lavori precedenti, Santa Guerra alterna onirico e reale. Una storia intima, femminile ambientata in un luogo senza tempo, con molti riferimenti simbolici e mitologici. Da dove nasce l’idea? Puoi raccontare qualcosa di questa donna schiacciata dal peso di un trauma passato?
«Nel momento in cui To A God Unknown aveva iniziato a vincere tanti premi in giro per il mondo, mi è stato suggerito di tentare di fare quel saltino dal corto al lungometraggio. Siccome da anni ero in contatto con uno sceneggiatore e regista che vive a Roma, Antonio Micciulli, lui isolò un soggetto che riteneva adatto a me: un viaggio nel subconscio di una donna incapace di superare un trauma. Da lì sono partita. Ho pensato che funzionale a questo viaggio fosse una perdita. Il film non dà risposte su come sia avvenuto il lutto, ciò che importa è quello che avviene nella coscienza della donna, il suo senso di colpa che potrebbe farla sentire responsabile di qualcosa che nemmeno ha mai fatto».

Ci parli del cast e della lavorazione? C’è Maria Grazia Cucinotta e anche due figlie d’arte come Emma Quartullo ed Eugenia Costantini. Avete girato in Emilia-Romagna e in California?
«Varie scene d’ambiente e alcune scene inerenti al mio personaggio provengono da paesaggi californiani o riprese in studio a Los Angeles. In Romagna abbiamo invece girato con tutti gli altri attori, a partire da Maria Grazia Cucinotta che per me è legata a un sogno d’infanzia, ossia Il Postino, un cinema che osservavo da lontano, irraggiungibile, livelli per me impensabili con dentro un po’ d’Italia, che erano appunto lei e Troisi. Merita anche di essere citata Ekaterina Buscemi: le sono stati richiesti due drastici cambi di look per enfatizzare il suo volto, che considero splendido, e credo emerga la sua energia. Emma Quartullo era alla sua prima esperienza in un film ma ha un talento innato e la sua figura nel film rispecchia quella bellezza innocente, quasi illibata, che necessita il suo personaggio. Quanto a Eugenia Costantini posso dire che ha fatto pulsare il cuore del film. Ci sarebbero tantissime cose da dire… Lei, abituata a dei cast composti da almeno 20 persone solo per quanto riguarda i tecnici, ha accettato di venire a Faenza su un set in cui io mi occupavo di tutto, dalla regia, alla fotografia, alle riprese. Basta pensare che in alcune scene c’era bisogno di un’ombra e quell’ombra era la mia. Poi a un certo punto le ho detto: Eugenia, ho deciso di cambiare delle cose in sceneggiatura. E anche in quel caso si è fidata. Alcuni monologhi poi li abbiamo riscritti insieme. Lei è un’attrice incredibile: cerebrale e istintiva. Penso che questa sua fiducia abbia contribuito a far sì che Santa Guerra sia il film che avrei sempre voluto fare ma senza di lei non avrei avuto il coraggio di fare».

Santa Guerra Film

Un inquadratura del film “Santa Guerra”

La tua attività è quasi febbrile: tantissimi cortometraggi, molti pluripremiati – sei stata definita come la donna dei record –, ora un lungometraggio. Quando e perché hai deciso di diventare regista?
«Da bambina rimasi affascinata da una scena di un film di Ingmar Bergman e mi appassionai al cinema. Poi la vita mi ha portato in tutta un’altra direzione finché, non so nemmeno io come, mi sono trovata a studiare prima sceneggiatura poi regia. La mia attività febbrile deriva dal mio rapporto con il tempo, una sorta di ossessione, temo sempre non ci sia abbastanza tempo davanti a me. La frase sui record è per tutti quei premi che ha vinto To A God Unknown! Ma quello è un altro caso che si è abbattuto nel mio percorso, un caso perché sono surreali 237 premi… Macché record io ho ancora tutto da fare, da imparare!».

Ti definisci visionaria e interessata al lato oscuro delle cose. I tuoi gusti artistici vanno verso una zona “crepuscolare”, verso il misterioso e il perturbante. Da dove trai ispirazione?
«Non so se sia una vera e propria ispirazione, è come una esigenza che sento dentro di me. Tentare di tramutare in immagini certe atmosfere, certe sensazioni. È un po’ tutto un mescolarsi di vissuto, paure, desideri, esperienze di vita».

Chi sono le tue muse?
«A livello registico ho tre amori assoluti: Ingmar Bergman, David Lynch e Terrence Malick; seguiti da Kubrick, Kieslowski e Tarkovskij. Però le mie muse sono anche tanti autori da Dostoevskij a Esenin, da Faulkner a Steinbeck a Virginia Woolf. E poi amo l’arte: influenzata da L’idiota di Dostoevskij andai a Basilea solo per vedere il Cristo nel Sepolcro di Holbein e posso dire che tuttora quel dipinto mi sconcerta. Ma amo molto anche Caravaggio, Goya, Schiele, Modigliani, Bosch, Chagall, Dalì, von Stuck…».

Faenza, Torino, Firenze, Los Angeles, Venezia… Vivi negli Stati Uniti vero? Ora promuovi il tuo film in Italia, sarai on the road o ti fermi anche nella piccola Romagna…
«Posso dire che Los Angeles è la mia seconda casa, anche se non è una questione di hit parade; io mi sono sentita a casa in ogni luogo in cui ho vissuto, ma Los Angeles ha un posto speciale nel mio cuore. Ora come ora promuoverò il film, si parte da Faenza e Ravenna (vedi programma in fondo all’articolo, ndr) e poi toccherà diverse città italiane. Allo stesso tempo farà un percorso anche nei festival, ho avuto richieste in India, in Spagna, in Grecia, in Canada e ovviamente negli Stati Uniti. In Romagna mi fermerò poco, ma tornerò sempre».

Proiezioni in anteprima a Faenza e Ravenna

Mercoledì 26 ottobre, dalle 21, Santa Guerra, il primo lungometraggio di Samantha Casella, verrà presentato in anteprima nazionale al cinema Sarti di Faenza, alla presenza della stessa regista faentina. Il giorno dopo, giovedì 27 (sempre dalle 21) appuntamento con la regista e il suo film al cinema Mariani di Ravenna

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