giovedì
06 Novembre 2025

Un «prisma di narrazioni» in una cornice d’amore: il primo romanzo di Mercadini

Il celebre interprete esordisce in narrativa con un testo che è un’apologia dell’errore e spazia dalla creazione del mondo a Michelangelo, con il suo stile sempre molto riconoscibile

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MercadiniCon le sue oltre 150 serate l’anno, molte delle quali in Romagna, il “poeta parlante”, autore e interprete Roberto Mercadini, cesenate, classe 1978, laurea in ingegneria, da queste parti è a dir poco noto e amato nelle sue molteplici vesti artistiche a cui si aggiunge ora anche quella di romanziere.  Da un paio di mesi è in libreria per Rizzoli Storia perfetta dell’errore (andata esaurita le prima tiratura se n’è subito resa necessaria una secnda) e la dicitura sotto il titolo dice appunto “romanzo”. Anche se, e da qui cominciamo la nostra chiacchierata, questo libro è “mercadiniano” fino al midollo, e quindi intriso di ironia e conoscenza, e definirlo romanzo rischia di non rendere esattamente l’idea. Perché all’interno ci sono i temi cari all’artista cesenate come la Bibbia e la letteratura, insieme alla storia del pianeta terra e dei dinosauri, digressioni filosofiche, scientifiche, curiosità. E però, c’è anche una storia d’amore ambientata al giorno d’oggi.
Roberto, ma come possiamo definire la forma di questo libro?
«È difficile perché a me piacciono le cose che sono molte cose contemporaneamente. Diciamo che è un romanzo, ma come Moby Dick, che non è un romanzo veramente. Diciamo che è un libro dentro un altro libro, un romanzo d’amore che contiene un prisma di narrazioni».
La storia d’amore sembra una cornice narrativa che tiene insieme gli altri racconti che rimandano anche molto direttamente a tuoi monologhi…
«È così. Inizialmente la mia idea era fare un libro solo con i racconti, che in alcuni casi sono proprio tratti dai monologhi che porto in giro (per esempio quelli biblici, ndr). Ma poi l’editor di Rizzoli mi ha suggerito di trovare un’idea narrativa che potesse tenerli insieme e l’unica che mi è venuta in mente è stata quella di trasformarli in lettere d’amore. E a quel punto sono nati i due personaggi, Pietro e Selene…».
L’uno che rappresenta la perfezione, l’altra l’errore, ma anche la passione e l’istinto, affetta com’è da Ied (disturbo esplosivo intermittente). Chi sei tu dei due?
«Beh, nei personaggi ci sono caratteristiche mie e delle persone che mi stanno intorno. Il modo di raccontare di Pietro è mio, ma penso anche al modo in cui, per esempio, mangia Buddha (l’amico del protagonista, ndr) e in generale nella curiosità per le cose poco frequenti e curiose che ho sempre avuto, e poi c’è anche qualcosa di Selene. C’è qualcosa di me un po’ in tutti i personaggi».
Tutto il libro è di fatto un elogio all’errore, alla deviazione, all’inaspettato che fa deviare il cammino per poi portarci però alla meta. E allora la domanda è: qual è l’errore del libro?
«Direi proprio il fatto di averlo dovuto trasformare rispetto a come lo avevo pensato. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di lasciar perdere. Come infilare la Bibbia, i dinosauri, in un romanzo d’amore? È stato un aiuto contro di me, per citare un passaggio del libro. Alla fine questa idea di mettere i racconti in lettere d’amore che il protagonista scrive alla sua innamorata per convincerla a tornare da lui ha funzionato…»
La sensazione è che così forse sia più chiaro il legame che tanti contenuti storici o filosofici hanno poi con il quotidiano…
«In effetti, ne ha arricchito le sfumature, hanno acquisito significati che prima non avevano. Prendiamo un esempio come la nascita di Eva, c’è per forza una differenza tra quello che può passare se sono io davanti a un pubblico di duecento persone o se invece è Pietro che la scrive con l’obiettivo di riconquistare la donna amata».
Quali sono le parti che ti sei più divertito a scrivere?
«Forse quella sulla storia dei dinosauri, la loro estinzione e i mammiferi giganti. Ci ho messo tantissimo, ho studiamo molto perché io non sono un paleontologo ma quelli nel libro sono tutti veri. Anzi, ne avevo trovati molti di più ma non ho potuto metterceli dentro tutti. E poi mi è piaciuto moltissimo scrivere i dialoghi perché è stato come trascrivere una conversazione che stavo ascoltando, non avevo neanche bisogno di concentrarmi. E questo perché una volta che crei un personaggio, che ti entra dentro, che te lo vedi, beh, poi loro quando parlano con qualcuno dicono quello che è naturale che dicano dato come sono e come sono i loro interlocutori. Ho avuto l’impressione di non inventare niente…»
A un certo punto ti togli un sassolino contro chi recensisce i libri su Amazon o in rete senza mettersi per un secondo in discussione, al contrario di Pietro che invece sempre parte da un grande rispetto per chi scrive. E a te, come stanno andando le recensioni su Amazon e in generale le reazioni dei lettori?
«Sì, l’accoglienza è stata sorpredente, mi sono arrivate tante belle parole sia pubbliche sia private e anche nella famosa recensione di Amazon. Tra i complimenti che ho ricevuto due sono quelli che mi fanno particolarmente piacere. Il primo chi mi dice: «Si sente che è un libro tuo». Avevo paura di snaturarmi, che chi mi segue, le persone che mi sono affezionate, non mi riconoscessero, rimanessero deluse. E l’altra cosa è: «Si legge d’un fiato, ho rischiato di perdere l’autobus perché non riuscivo a smettere di leggere», perché l’altra mia paura era che fosse un lavoro cervellotico per la struttura, che questo sistema di tre tipi di storie risultasse incomprensibile».
Il libro è ambientato in Romagna. Selene è di Ravenna, la città irraggiungibile e da cui è impossibile uscire. Tu che dici di detestare i luoghi comuni, questa volta ci sei cascato?
«Ma perché non è un luogo comune, questo! Diciamo che ho tentato di dire qualcosa di riconoscibile… Ho scelto di ambientare il romanzo in Romagna perché è l’unico posto che avrei saputo descrivere. E ho voluto fare una lei di Ravenna e un lui di Rimini per ricordare in qualche modo Paolo e Francesca».
Decisamente fuori dagli schemi è una riflessione che fai sul mare visto dai contadini, a Rimini, dove viene definito grosso modo una massa di terra inutile, che non si può coltivare, e una massa d’acqua che nemmeno toglie la sete…
«Ah, sì, è un passaggio che si trova anche in una mia poesia. La letteratura è piena di poesie e scritti sull’emozione di chi si trova davanti al mare, ma mi capitò di chiederlo con una nonna che al mare era andata per la prima volta a vent’anni e proprio questo mi disse… “una grand massa d’acqua” e basta. Del resto una volta ci andavano solo per raccogliere i legni secchi dalla spiaggia».
Tra i monologhi che stai proponendo c’è anche Odissee anonime, che parla del tema dei migranti. Cosa significa portarlo in giro in questo frangente storico in cui il tema dell’immigrazione è diventato argomento di scontro quotidiano anche grazie al nuovo ministro?
«È uno spettacolo che scrissi nel 2017 e che oggi sembra diventato ancora più attuale. Per me fu l’occasione di imparare molte cose che non sapevo su come funziona anche dal punto di vista burocratico. Naturalmente penso che il teatro debba avere anche un senso civile e civico, a me fa piacere quindi portare in giro questo spettacolo, che di fatto è soprattutto un’operazione di consapevolezza: non faccio nomi, mi limito a spiegare come funzionano le cose e metto in fila dei fatti. Si tratta di qualcosa che tutti dovrebbero sapere, credo anche un leghista potrebbe condividerlo, se lo guardasse senza un atteggiamento pregiudiziale. Il punto è che ci sono cose che danneggiano tutti e non solo gli immigrati, ed è questo che tutti dovremmo capire».

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