La fiaba musicale sulla guerra “dei topi e delle rane” per riscoprire anche Leopardi

Ne parlano il drammaturgo Giam­piero Pizzol e il compositore Alessandro Spazzoli

Alessandro Spazzoli

Il compositore Alessandro Spazzoli

Leopardi? Fa ridere. La figura del poeta malinconico e solitario non è sufficiente a dipingere un quadro esaustivo su chi fosse realmente Leopardi, uno scrittore eclettico, complesso e con risvolti ancora da riscoprire. Con la fiaba musicale La guerra dei topi e delle rane commissionata dal Teatro Alighieri di Ravenna – in coproduzione col Teatro Comunale di Ferrara – al drammaturgo Giam­piero Pizzol e al compositore Alessandro Spazzoli, il pubblico potrà ammirare un aspetto inedito del poeta di Recanati (in scena lunedì 18 e martedì 19 dicembre alle 10.30 per le scuole e lunedì 18 dicembre alle 20.30 per il pubblico – altro articolo a pagina 16).

L’opera contemporanea trae spunto dal racconto dal titolo impronunciabile: Paralipomeni del­la Batracomiomachia, un poemetto satirico che Leopardi inizia nel 1831 a Napoli e finisce nel 1837, dettandolo dal letto di morte. Riprende in chiave ironica il Batracomiomachia che in greco antico significa appunto “Batta­glia dei topi e delle rane”, un antico testo che era erroneamente attribuito ad Omero. Leopardi racconta tramite questa divertita riscrittura i tentativi di rivoluzione falliti negli anni ’20 del­l’Ottocento. Gli austriaci diventano i granchi, descritti come razza “metallica, occhiterga, im­pet­to­sguarda, ottipede, bicipite, intrattabile”, i Borbone sono rane e i patrioti liberali italiani sono topi.

La trama ricorda una orwelliana “Fattoria degli animali” ante litteram: I liberali-topi, sconfitti dalle rane-pontificie e dai granchi-austriaci, eleggono su base costituzionale il re Rodipane, di cui diventa primo ministro il conte – dall’evocativo nome – Leccafondi, intellettuale progressista e impegnato in politica; i granchi intervengono per reprimere questo regime, di cui non possono tollerare l’esistenza, mettendo in rovinosa fuga i topi. Il conte Leccafondi allora va in esilio per cercare aiuto per la sua patria oppressa, incontra Dedalo, e scende persino nel regno dei morti a chiedere consiglio ai topi defunti, che però rispondono alle sue domande con una fragorosa risata. Alla fine essi gli consigliano di rientrare in patria e rivolgersi al generale Assaggiatore.
Leccafondi riesce a ritornare a Topaia e dopo mille insistenze ad ottenere l’aiuto di Assaggiatore. Il poemetto si interrompe qui, perché come spiega Leopardi, al manoscritto da cui aveva tratto la storia manca la parte finale che è però stata aggiunta in questa edizione da Pizzol.

«Le riflessioni dell’autore sulla guerra con le sue futili cause e inaudite violenze, le domande sulla pace e sulla natura dell’uomo, sono attuali e colpiscono anche oggi chi segue lo svolgimento di questa opera che Leopardi, non essendo ormai più in grado di scrivere, dettava addirittura sul letto di morte sorridendo delle vicende di questi piccoli personaggi» spiega Pizzol.

«I modelli di riferimento che ho usato per comporre la musica – aggiunge Spazzoli – sono stati tutti quei lavori che nella storia dell’opera hanno segnato un’evoluzione del linguaggio (Mozart o Stravinsky ma se ne possono citare tantissimi altri). Credo che oggi il teatro musicale debba fare un costante riferimento alla tradizione di quattro secoli che ci precede, ma non debba sentirsi legato a nessun genere specifico».

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