Da Fellini a Longanesi: ritratti di romagnoli doc

Jpg13Il volume di Mario Fasanotti Tra il Po, il monte e la marina. I Romagnoli da Artusi a Fellini (Neri Pozza)

«Se dici che hai sete e ti danno da bere il vino al posto dell’acqua sei arrivato in Romagna». C’è qualche caratteristica che rende romagnolo un romagnolo? Se lo sono chiesti in molti, senza darsi risposta che andasse al di là del motto di spirito. È vero però che diversi romagnoli hanno avuto una forte influenza nella cultura, nella politica e nello sport. Una casualità? Non secondo Pier Mario Fasanotti, giornalista milanese – dunque lontano da ogni sospetto di “patriottismo romagnolo” – che nel suo ultimo libro Tra il Po, il monte e la marina. I Romagnoli da Artusi a Fellini (Neri Pozza) ha stilato una serie di ritratti di romagnoli famosi. Tra questi quello che pare suscitare più ammirazione da parte dell’autore è sicuramente il regista Federico Fellini, che raccontava di essere nato su un tratto ferroviario del litorale romagnolo, ossia tra Viserba e Riccione: «una bugia innocente, fantasiosa e facile da smontare visto che quel giorno, il 20 gennaio, i treni erano in sciopero». Fellini fu artefice dell’immagine della Romagna nel mondo, quella nostalgica di Amarcord e quella dei ragazzi festaioli e perdigiorno de I vitelloni. Tra gli scrittori riportati da Fasanotti non possono mancare Pascoli, il poeta Tonino Guerra e il giornalista più irriverente, Leo Longanesi di Bagnacallo (di cui ricorre quest’anno il sessantesimo anniversario dalla morte) che diede alla luce aforismi che hanno saputo raccontare meglio di chiunque altro l’Italia rivoluzionaria nell’animo e al tempo stesso immobile: “Qui tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola”.Non mancano i criminali romagnoli come il bandito Stefano Pelloni detto il Passatore, Mussolini e il gerarca fascista ravennate Ettore Muti che aveva la fama di essere «il più ignorante tra i gerarchi fascisti», primato da non sottovalutare. La vicenda più interessante, e forse un po’ meno nota, è quella della figlia di Mussolini Edda Ciano che rimasta vedova si innamorò di Leonida Bongiorno, un partigiano comunista, e fu trascinata in una storia d’amore paradossale e irrazionale, come spesso sa essere l’amore. Interessante anche la lettura che l’autore dà di Francesca da Rimini, ricordando che a lei Dante dedicò i versi tra i più belli e tristi della Divina Commedia, nel Canto V dell’Inferno: «Io venni in luogo d’ogni luce muto». Tra gli altri compaiono anche «L’asso dei cieli» Francesco Baracca, pilota divenuto simbolo della città di Lugo che l’autore descrive come “giovane alto, prestante nel suo fisico statuario, un poco snob, due baffetti a ravvivare un’espressione facciale leggermente rigida, era molto corteggiato dalle donne”. L’ultimo capitolo è dedicato a Marco Pantani. Il giornalista si concentra soprattutto sul giallo della sua morte. Pare che Pantani nell’ultimo periodo avesse annotato una frase sul suo quaderno, tratta da Il mestiere di vivere di Cesare Pavese: «Tutto ciò che temiamo finisce sempre per accadere». Una frase drammaticamente premonitrice del suo amaro destino.

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