Loredana Lipperini e la finzione che racconta il vero

Parla la scrittrice, giornalista e voce di Radio 3, che nel suo ultimo libro tocca uno dei misteri irrisolti del nostro paese. «C’è ancora una questione femminile nella letteratura italiana: le scrittrici sono considerata “donnarelle”».

Lipperini

Loredana Lipperini intervistata a Scrittura Festival

Il 2 settembre 1980 due giornalisti italiani, Graziella De Palo e Italo Toni, sono a Beirut per un inchiesta sul traffico d’armi seguendo una pista che partiva dall’attentato alla stazione di Bologna, quando scompaiono nel nulla. Sulla loro scomparsa è messo il segreto di stato e nessuno saprà mai che fine hanno fatto e perché. Graziella aveva soli 24 anni. Loredana Lipperini era una sua collega e soprattutto una sua amica e a quasi quaranta anni da quella tragedia ha deciso di dare nuova voce a quella storia con un libro a metà tra romanzo e non-fiction. L’arrivo di Saturno (Bompiani) è la storia di due giovani amiche negli anni ’70, ma anche un vicenda nera che racconta uno dei misteri irrisolti di questo paese. Loredana Lipperini, scrittrice, giornalista di Repubblica e voce di Fahrenheit su Rai Radio3, è stata ospite a ScrittuRa Festival, a Ravenna, e sarà protagonista a Forlì della festa di Rai Radio 3.

Sei tornata alla narrativa dopo aver scritto molti saggi e per questo romazo per la prima volta hai deciso di non usare eteronimi, cosa ti ha spinto a farlo?
«Ho scritto romanzi sotto un eteronomo per evitare l’effetto di chi dice “eccone un altro che scrive un romanzo” e visto che lavoro come giornalista non volevo mescolare queste due cose. Però anche i saggi che ho scritto erano sempre in forma non saggistica. L’editore mi diceva “sono un po’ troppo narrativi”. Questa storia la portavo dentro di me da quando Graziella è scomparsa e credo che per raccontare quella storia non potevo scrivere un saggio né utilizzare altri nomi perché ero troppo coinvolta direttamente».
Che ricordo hai di Graziella?
«Eravamo due ragazze negli anni ’70. Due amiche geniali, per dirla con la Ferrante. Era un’amicizia intensa e  competitiva, come spesso sono le amicizie tra donne. Nel 2012 ho iniziato a pensare di raccontare questa storia vera utilizzando la forma romanzo».
Con la letteratura si possono dire cose che al giornalismo sono negate?
«Sì. Credo che con la narrativa si possano condividere con i lettori le storie più direttamente, anche quelle reali. Tutti sanno cosa è stato il caso Toni – De Palo (o almeno quelli che lo ricordano), ma nessuno sa cosa è stato per me essere adolescenti in quegli anni in cui ogni possibilità era aperta. Forse con un romanzo si può far in modo che questa storia rimanga e non sia archiviata come un vecchio caso di cronaca. Questa almeno è la speranza».
Hai scritto che “in letteratura nulla è reale” in che modo si intreccia la finzione e realtà in queste pagine?
«Quando si parla di auto-fiction l’autore mente comunque, perché filtra e racconta solo quello che vuole mostrare. Tutti lo fanno. Io ho pensato al modo di scrivere di Emmanuel Carrère, che non è auto-fiction, ma è mettersi dentro la storia, sporcarsi con la storia per mostrare quanto ci sono dentro. Dora, la protagonista, non sono totalmente io, ma sono io. I materiali dell’inchiesta invece sono totalmente reali. Le parole pronunciate da ministri, spie e servizi segreti sono totalmente vere. Sono virgolettate e prese da registrazioni  fatte con micro-registratori dalla famiglia di Graziella a incontri che sono avvenuti realmente. La storia vera è talmente assurda che sembra una finzione. Chi è il falsario? Chi è l’illusionista che ha voluto che la vicenda vera di Graziella fosse distorta? Io ho usato un artificio di finzione per raccontare la verità».
Ci sono parti del libro molto esplicite. Hai avuto problemi legali?
«Le persone di cui parlo sono quasi tutte morte. Alcuni sono vivi ma tutte le cose che scrivo sono vere e documentate e già pubblicate in saggi come quello di Rosario Priore. Lia Rosa, credo sia viva. Non si hanno più notizie di lei. Fu lei a dichiarare: “Che cosa voleva che si facesse con le spie? Le spie si ammazzano”. Questo lei lo ha detto in un’intervista televisiva. Non so come si possa dire una cosa del genere ma lei l’ha detto. Quello che non ha detto è dove è il corpo di Graziella. E non so perché non l’abbia fatto visto che credo che lei lo sappia».
Parlando invece dell’aspetto letterario del libro. Come giornalista hai avuto modo di intervistare praticamente tutti i più grandi scrittori contemporanei, c’è un incontro che ti ha segnato particolarmente?
«Sì, Donna Tartt. Per un motivo personale. Quando ho letto Il cardellino stavo scrivendo Saturno e stavo ragionando sull’esplosione della polveriera di Delft che sarebbe entrata nel libro e sono rimasta esterrefatta nello scoprire che lei avesse deciso di scrivere di Carel Fabritius, il pittore che morì in quell’esplosione. Poi l’intervista a Stephen King, un grande maestro, credo sia stata la più bella della mia vita».
I protagonisti del libro sono tutte donne, nei tuoi saggi ti sei spesso dedicata alla tematica di genere. Credi ci sia ancora una “questione femminile” irrisolta nella letteratura italiana?
«Decisamente sì. Credo che il caso di Elena Ferrante lo dimostri. Si parla sempre della sua identità e poco della sua opera. Sono certa che se avesse scelto un eteronomo maschile non ci sarebbe stata la vergognosa campagna contro di lei che c’è stata nel giornalismo italiano. Le donne scrivono molto e leggono molto i colleghi maschi, ma la cortesia viene ricambiata raramente. Le scrittrici vengono considerate meno degli scrittori. Sebastiano Vassalli disse della Ferrante “donnarella tremula” le scrittrici sono considerate “donnarelle”. In pochi lo dicono apertamente, ma molti lo pensano».
Da molto tempo ti stai battendo per tenere alta l’attenzione sui terremotati di Umbria e Marche. Come mai questa battaglia? Ti senti isolata in questo?
«Il motivo è personale. Sono le mie terre, dove sono nata e sono totalmente abbandonate dal 1997. Isolata sì e no. Ci sono alcune scrittrici che si battono assieme a me, però c’è l’indifferenza assoluta di chi pensa che ormai sia tutto risolto, mentre niente è ancora stato fatto. Questo dovrebbe fare un intellettuale, tenere alta l’attenzione su storie dimenticate».

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